MILANO – No, non ci sono dubbi sul fatto che The Rocky Horror Picture Show rimanga ancora oggi uno dei musical più amati dalla comunità LGBTQIA+ e sia considerato un vero e proprio classico queer. Dal 1975 ad oggi, il film musicale di Jim Sharman con protagonisti Tim Curry, Susan Sarandon, Patricia Quinn e Richard O’Brien – che trovate comodamente in streaming su Disney+ – ha incantato intere generazioni con le sue musiche, i suoi costumi, la sua storia e – soprattutto – la sua completa e totale celebrazione della “queerness” in tutte le sue forme. E allora, in questa nuova puntata di Queer Corn, cerchiamo di capire cosa ha reso il film un intramontabile classico queer.
La trama di The Rocky Horror Picture Show è ben nota: due novelli sposi finiscono in uno spettrale maniero durante un temporale in cerca di riparo. Si tratta però della casa del dottor Frank-N-Furter, un’amabile caricatura del dottor Frankenstein, dove i suoi ospiti hanno dato vita a una festa alquanto bizzarra per celebrare la sua creazione: un muscoloso e attraente ragazzo dal viso d’angelo, per cui lo stesso Frank-N-Furter prova una morbosa attrazione. Il suo primo pregio, non indifferente per i tempi in cui il film è arrivato nelle sale, è quello di aver all’istante confuso tutte le platee eterosessuali che siano capitate davanti al grande schermo. Niente, non la pubblicità né il marketing, aveva preparato il pubblico all’audace rappresentazione dell’androginia e alla totale libertà nell’esplorare la sessualità e la fluidità.
Ora, nell’epoca della rappresentazione e della lotta senza paura, sembra quasi anacronistico da dire, ma al tempo della sua uscita il film ha letteralmente fatto sì che le persone mettessero in discussione la loro identità, il loro stile di vita e, soprattutto, il loro orientamento sessuale come mai era successo prima. Certo, l’iconica entrata di Tim Curry in lingerie sulle prime note di Time Warp non può non smuovere qualcosa nell’animo di chi guarda, nemmeno all’ennesima visione. Ciò che però ha istantaneamente colpito la comunità LGBTQIA+ è il fatto che il musical e tuttə coloro che vi gravitano all’interno sono queer nel senso più letterale del termine, e lo sono orgogliosamente nel mezzo di una società eteronormativa che a metà anni Settanta aveva appena iniziato a conoscerla.
Se poi vogliamo aggiungere l’irresistibile mix di commedia e horror che pervade il musical dall’inizio alla fine, il risultato non può non essere la ricetta perfetta per fare colpo sulle sensibilità più queer. D’altronde anche il materiale di partenza, il Frankenstein di Mary Shelley, si è guadagnato un posto nella letteratura queer. E in questo senso, a voler ben guardare, un obiettivo se vogliamo più filosofico The Rocky Horror Picture Show se l’era posto: chiedersi cosa accadrebbe se la creatura di Frankenstein conoscesse lo scopo della sua creazione fin dalla nascita. Poi si chiede anche cosa accadrebbe se Victor Frankenstein facesse drag sotto l’effetto di sostanze inebrianti. E anche questa, francamente, è una domanda più importante!
Nel corso degli anni, poi, il musical di Jim Sharman ha ispirato rifacimenti, spettacoli teatrali e vere e proprie forme d’arte che ne hanno portato avanti l’eredità. Da prodotto destinato agli outsider è diventato una vera e propria esperienza visiva, arrivando anche a trascendere lo schermo. Quelle labbra rosso fuoco che aprono le danze sono diventate un momento simbolico della Storia del cinema e del potere dirompente dell’arte queer. Un’onda d’urto di liberazione e orgoglio è stata lanciata nel 1975, i cui riverberi si sentono ancora oggi e si sentiranno per molto tempo a venire, incoraggiando sempre a osare e ad essere sé stessə. Una vera e propria festa a cui non ci stancheremo mai di prendere parte.
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Qui il trailer di The Rocky Horror Picture Show:
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