ROMA – Il 1993 rappresentò un punto di rottura nell’industria hollywoodiana. Tra la recessione incombente e la crescita del fenomeno del videonoleggio (che nostalgia), da indagini di mercato il presidente della Columbia Pictures, Mark Canton, si rese conto di come fosse cambiato il trend: un film dal rating G/PG («Per famiglie/Consigliata la presenza di un adulto») aveva maggiori possibilità di guadagnare oltre 100 milioni di dollari al box-office rispetto a un NC-17/R («Vietato ai minori accompagnati e non»). Non a caso, arrivati al 1993, i tre film di maggiore incasso di tutti i tempi in terra americana erano proprio per famiglie: E.T. – L’extra-terrestre (di cui potete leggere qui), Star Wars e Mamma ho perso l’aereo. Ricomincio da capo di Harold Ramis – uscito il 4 febbraio del 1993 – rappresentò in tal senso l’inizio del cambiamento: il ritorno del cinema per famiglie al primo posto a discapito di sesso, violenza e torbido.
Visto da subito come un successo silente – e pur presentandosi in un’annata difficile contro avversari di livello come Last Action Hero, Free Willy oltre che l’attesissima accoppiata targata Steven Spielberg Jurassic Park/Schindler’s List (di cui potete leggere qui) – Ricomincio da capo vide il suo budget di appena 15 milioni e mezzo decuplicarsi al box-office viaggiando spedito verso gli oltre 105 milioni di dollari world-wide che rigenerarono le casse di una Columbia in crisi nera. Un risultato strepitoso specie considerando la natura da high-concept della narrazione la cui logline apre un intero mondo di possibilità pur nella sua evidente semplicità di intenti: «Un meteorologo scorbutico resta incastrato in un loop temporale nel Giorno della marmotta». Prima di tutto però occorre fare un passo indietro, perché la domanda che immaginiamo vi state ponendo tutti a questo punto è: cos’è esattamente il Giorno della marmotta?
No, non è una festività creata appositamente da Harold Ramis e lo sceneggiatore Danny Rubin per ragioni narrative. In America è noto come il Groundhog Day e casca annualmente il 2 febbraio. È un giorno curioso festeggiato a Punxsutawney (Pennsylvania) sin dal 1887 che Ricomincio da capo (presentato a Los Angeles il 4 febbraio 1993) ha finito con il rendere mondiale e immortale. La tradizione ha origine da credenze associate alla Candelora e parte da un’antichissima rima scozzese che recita così: «Se alla Candelora il cielo è limpido, ci saranno due inverni nell’anno». Il risultato? Una folla di curiosi si avvicina al rifugio di una marmotta (marmota monax). Se questa emerge e non riesce a vedere la sua ombra perché il tempo è nuvoloso significa che l’inverno finirà presto, altrimenti, se il cielo è limpido e riesce a vederla, vorrà dire che l’inverno continuerà ancora per sei settimane.
Sullo sfondo della più pura espressione curiosa del folklore americano ecco quindi un Ricomincio da capo che nel raccontarci del meteorologo Phil Connors inizialmente primadonna, snob e viziato reso leggenda da un Bill Murray in stato di grazia comica come solo tra Ghostbusters e Tutte le manie di Bob, vede l’annidarsi di un loop temporale ingolfato e (apparentemente) senza via d’uscita che nella ripetitività di gesti ed eventi come trovata narrativa tra il comico e il drammatico vede infine Phil evolvere a uomo migliore e vero, onesto. È solo quando Phil comprende davvero il senso delle sue azioni e del suo potere come singolo individuo, quando smette di contrastare il loop scegliendo invece di lasciarsi trascinare dalla corrente e abbracciare la vita mutando la propria inerzia caratteriale da passiva (ed egoriferita) ad attiva (e solidale), che il ciclo viene spezzato.
Solo a quel punto, a detta di Rubin: «Il peggior giorno della vita di Phil è l’inizio del ciclo perché è costretto a cambiare e ad abbracciare il mondo. Quando però inizia a percepirlo veramente, quando si innamora di Rita/Andie MacDowell, ogni momento della giornata diventa il giorno più bello della sua vita». Per un’opera surreale, per certi versi un’analogia spirituale del Bodhisattva buddista alla maniera di Point Break – Punto di rottura (di cui potete leggere qui il nostro Longform), anche se secondo Rubin non c’è mai stato alcun intento elevato nel determinare le inerzie narrative di Ricomincio da capo: «Volevo solo raccontare una storia buona, sincera e divertente sulla vita umana e su quei periodi in cui una persona rimane intrappolata in un ciclo. Non si tratta solo di un uomo che ripete lo stesso giorno, ma di una storia su come vivere».
Fu proprio questa una delle ragioni che spinsero Murray ad accettare la parte di Phil, la ripetitività degli eventi: «Credo che Ricomincio da capo risuona ancora perché riguarda l’idea che dobbiamo solo riprovare…è un’idea così bella e potente, come fosse un’interpretazione allegorica di come le persone ripetono lo stesso giorno più e più volte perché hanno paura del cambiamento». In tal senso, larga parte del retaggio trentennale del film riguarda proprio la durata di quella ripetizione, di quel loop temporale che di Ricomincio da capo è la specificità, la trovata geniale. Dalla sua Ramis ha sempre creduto che l’arco temporale del film ricoprisse dieci anni ma: «Considerando anche il tempo libero e gli anni fuorvianti che Phil ha vissuto prima di capire e quelli di studio e pratica, saranno trascorsi almeno trenta-quarant’anni».
Per Rubin invece quello del loop divenne ad un certo punto un problema politico: «Se chiedevi agli studios: Quanto credete duri la ripetizione? Ti rispondevano: Due settimane. Ma il punto del film per me era che tu dovevi sentire che stavi sopportando qualcosa che stava succedendo da molto/troppo tempo. Per me doveva essere, non so, cento anni, una vita intera!» ed è proprio la vaghezza del loop uno degli elementi chiave del viaggio filmico di Ricomincio da capo, perché non c’è alcuna giustificazione narrativa nel modo in cui Phil è intrappolato: è solo il tempo necessario perché diventi una persona migliore. Da dove nasce però l’idea alla base del film? Facciamo un passo indietro. Perché nel 1990, appena trasferitosi a Los Angeles, Rubin entrò in un cinema per vedere un film, solo che l’attesa si fece lunga.
Per ingannarla si portò dietro un libro che aveva appena comprato: Scelti dalle tenebre di Anne Rice del 1985. Tornato a casa iniziò a riflettere sull’immortalità dei vampiri, su cosa si potrebbe fare con il loro tempo se fosse illimitato, su come non erano null’altro che persone normali che avevano bisogno di aderire a regole ordinarie o a confini morali e soprattutto se l’immortalità non avrebbe reso tutto quel tempo noioso se non peggio, inutile, se quella persona non fosse stata capace di apportare cambiamenti sostanziali alla sua vita: il viaggio di Ricomincio da capo inizia da qui. Nello specifico all’indomani del suo primo script venduto (Occhi per sentire) quando il suo agente lo indirizzò verso un progetto che avesse potuto presentare come biglietto da visita. Iniziò così a lavorare sull’idea di un uomo dalla vita eterna che cambia, ma si rese presto conto come fosse poco pratica.
Il motivo? Il budget sarebbe schizzato alle stelle nel rappresentare eventi chiave storici e futuri. Serviva qualcosa di più semplice per quello che sarà poi Ricomincio da capo. Si ricordò così di uno spec-script che scrisse un paio d’anni prima su di un uomo che ogni mattina si svegliava per scoprire che era lo stesso giorno che si ripeteva, e ripeteva, e ripeteva. Scelse di combinare le due essenze filmiche degli script in modo da avere quel protagonista e quel contesto narrativo, descrivere, cioè, l’eternità come un ciclo continuo, un loop – che poteva offrire maggiori potenzialità comico-drammatiche – anziché una linea retta attraverso la storia: vale a dire lo scheletro strutturale di Ricomincio da capo! Poi l’intuizione: aprì il calendario e scelse la festività più vicina: «2 febbraio, è il Giorno della marmotta», una buona opportunità narrativa perché per quanto nota era una festività con poca attenzione mediatica.
E poi il contesto scenico di Punxsutawney, una cittadina piccola ma ricca – specie nel periodo del Giorno della marmotta – l’ideale per intrappolare Phil Connors nel loop senza fine di Ricomincio da capo. Nelle successive otto settimane Rubin approfondì contesto scenico e caratterizzazione dei personaggi, impostò il tono da black comedy sulla scia di Sangue Blu di Robert Hamer del 1949 e soprattutto cercò una causale, una ragione specifica che potesse essere tecnologica, magica, se non perfino celeste. Infine scelse per nessuna e per un motivo ben preciso: «Nessuno di noi sa esattamente come siamo rimasti bloccati qui». L’unica certezza è che Phil si sarebbe svegliato ogni mattina ascoltando alla radio I Got You Babe di Sonny & Cher e per un motivo ben preciso: «È una canzone che parla d’amore e utilizza molte battute ripetute, esattamente come il mio Ricomincio da capo».
Inizialmente Ricomincio da capo non aveva il tono da commedia ampia poi reso grande da Ramis e Murray. Preferì qualcosa di più stravagante Rubin. Scoprì ben presto come gli elementi più divertenti erano anche quelli più facili da pensare, come i molteplici tentativi di suicidio, o l’uso della sempre più crescente conoscenza di Phil di Punxsutawney per sedurre le donne, perfino nei tentativi di fuga dal Pennsylvania che puntualmente lo riportavano al punto di partenza. Ne venne fuori un primo draft molto incentrato sulla solitudine di un Phil capace di rompere il loop solo quando si fosse trovato in grado di aiutare altre persone nella sua stessa condizione. Anche la scansione temporale era decisamente più definita attraverso un incedere per libri letti giorno dopo giorno dopo giorno. Il risultato? Nell’originale Ricomincio da capo Phil è intrappolato nel suo loop per quasi 80 anni.
Anche il finale era radicalmente diverso, conferendo a un primo draft di Ricomincio da capo già molto succoso un certo sapore da cinema moderno americano a metà tra La vita è meravigliosa di Frank Capra del 1946 (di cui potete leggere qui) e il serial The Twilight Zone: Phil avrebbe confessato il suo amore a Rita interrompendo il suo loop, a sua volta però Rita l’avrebbe rifiutato perché non ancora pronta a riaprirsi all’amore dopo una triste delusione amorosa, finendoci lei nel loop. Un finale aperto quindi con un ribaltamento della coscienza del racconto da Phil a Rita in funzione del tema. Lo script fu utilizzato dall’agente di Rubin per organizzare incontri con i produttori e – dopo che nel 1991 questi lasciò lo show-biz – da Rubin stesso per assicurarsi un nuovo agente tra cui Richard Lovett della Creative Arts Agency.
A Lovett in realtà non interessava minimamente rappresentare Rubin ma gli piacque lo script. Pensò bene di farlo leggere a un suo cliente particolarmente dotato in quanto a comedy: Harold Ramis. Un Ramis in un turning point cruciale nella sua vita e carriera visto che non ne voleva più sapere delle commedie anti-establishment e anti-istituzionali alla Polpette (di cui potete leggere qui), Stripes – Un plotone di svitati, Palla da golf e National Lampoon’s Vacation, sentiva che avevano fatto il loro tempo. In più il suo ultimo lavoro da regista (Club Paradise) fu un fiasco colossale. Voleva altro come autore. Qualcosa che fosse diverso, insolito e commuovente, o per dirla con un semplice titolo: Ricomincio da capo. Lo colpì particolarmente la spiritualità dello script, il romanticismo presente, ma era necessario che ci fosse molto più umorismo.
Arrivarono due offerte, una della Columbia grazie a Ramis che avrebbe garantito un budget di 32 milioni di dollari a scapito del controllo creativo e una di un piccolo studio indipendente che offrì un budget di poco meno di 3 milioni di dollari ma con la possibilità che Rubin potesse mantenere e difendere le sue idee. Rubin accettò la prima e come previsto la Columbia pretese modifiche. Inizialmente si pose sulla difensiva Rubin. Temeva che avrebbero rimosso quelli che vedeva come snodi cruciali della narrazione de Ricomincio da capo. Ramis però, che credeva e non poco in quell’idea, supervisionò personalmente la riscrittura pretesa dalla Columbia in modo da bilanciare il desiderio di originalità (legittimo) di Rubin con la richiesta degli executive di una commedia più ampia e accessibile a tutti. In particolare Ramis suggerì un impianto narrativo sulla base del Modello Kübler-Ross delle cinque fasi del dolore del lutto.
Immaginò come si sarebbe sentito Phil in quello stato di intrappolamento costante e continuo, senza via d’uscita, seguendo la scia della negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione, in modo da dare a Ricomincio da capo una struttura meglio definita della ciclicità vaga del primo draft di Rubin. Rimosse del tutto il finale con Rita intrappolata in un nuovo loop in modo da permettere il senso di catarsi agli spettatori, ma ritenne saggio mantenere gli elementi più oscuri del draft come gli esilaranti suicidi di Phil perché spiazzanti e ottimi nel controbilanciare i momenti sentimentali con Rita. Rubin consegnò un nuovo draft datato 2 febbraio 1991, fu il suo ultimo. Contrattualmente gli era permesso di scrivere un altro draft ma la Columbia preferì affidarsi unicamente a Ramis ponendo fine al coinvolgimento di Rubin. Il risultato? Alleggerì i momenti dolci con un tono cinico e scontroso così da smorzare il sentimentalismo.
Ma soprattutto, oltre a sottolineare maggiormente l’atteggiamento compiaciuto di Phil come uno strumento per tenere lontani gli altri, Ramis riorganizzò la struttura dello script in una narrativa tradizionale a tre atti in modo da dare a Phil il classico arco narrativo come un protagonista comico che merita la sua punizione, seppur, chiaramente, tenendo conto delle specificità temporali al centro del concept di Ricomincio da capo. Modificò anche l’attacco del racconto con un incipit che in principio era in medias res con il loop già in corso. La trovata fu qui del produttore associato Whitney White che immaginò fosse divertente creare contrasto tra il prima e il dopo. Ma soprattutto, laddove lo script originale era sermonico e dispregiativo, la riscrittura di Ramis lavorò proprio su un tono ottimistico così da spostare il focus su compiacimento di Phil e il nucleo romantico.
Fu proprio questa versione dello script ad attirare l’attenzione di Murray che, a dire il vero, non fu affatto la prima scelta per il ruolo di Phil. In origine fu preso in considerazione Tom Hanks, la prima scelta di Ramis, che però, vista la scia di personaggi benevoli da lui interpretati fino a quel punto, l’idea di una sua redenzione nel climax era scontata e preferì passare altro. Al secondo posto Michael Keaton che vide in Phil un personaggio: «Ironico, sardonico e disinvolto», perfetto per lui, ma proprio non riuscì a comprendere la ratio di Ricomincio da capo. Rifiutò la parte ma, dopo il successo di critica e pubblico, dichiarò di essersene pentito amaramente. Infine proprio Murray che a detta di Ramis: «È un tale miserabile figlio di put**na dentro e fuori lo schermo che una sua redenzione è difficile da prevedere».
Dalla sua Rubin avrebbe voluto Kevin Kline per la parte immaginando Phil come un uomo non particolarmente cattivo, solo un uomo normale in una situazione ben oltre lo straordinario. Ramis lo rassicurò: «Non preoccuparti. Questo è ciò che può fare Bill. Può essere molto cattivo, ma farti comunque piacere». A quel punto, contenti del risultato ottenuto, la Columbia contattò temporaneamente Rubin per eventuali note che arrivarono, prontamente, incise di sincero sarcasmo. A Murray piacquero talmente che chiese che venisse riassunto come sceneggiatore. C’era un problema però. Gli executive non capivano la ragione del perché Phil rimanesse intrappolato, a detta di Trevor Albert infatti: «Perché la giornata si ripete in Ricomincio da capo? Mi piace, ma non capisco perché rimanga bloccato in questo loop». Ramis e Rubin lavorarono in questa direzione immaginando delle causali che però non furono mai usate nel montaggio definitivo.
Contemporaneamente il rapporto tra Ramis e Murray iniziò a incrinarsi, perché se Ramis vedeva Ricomincio da capo come una commedia pura, Murray avrebbe preferito un far emergere maggiormente l’aspetto spirituale/contemplativo del film, sfociando infine in una serie di telefonate mattutine di Murray parecchio moleste. Nemmeno la lavorazione fu esente da frizioni. Murray era nel bel mezzo del suo divorzio con Margaret Kelly, era infelice e triste. Questo lo rese ancor più scostante e irregolare contraddicendo spesso Ramis («Semplicemente irrazionale, meschino e non disponibile al dialogo» disse di lui) e, presentandosi il più delle volte in ritardo sul set, creò dissidi con tutti, da un giovane Michael Shannon all’esordio assoluto a Stephen Tobolowsky. Celebre in tal senso l’aneddoto di Murray che, entrato in un panificio, comprò tutti i pasticcini disponibili per lanciarli contro gli spettatori riuniti, con il povero Tobolowsky costretto a fargli da spalla.
E questo è nulla. Chiese alla MacDowell di schiaffeggiarlo sul serio ogni qualvolta se ne fosse presentata l’occasione scenica, si inventò nuove imprecazioni colorite nella scena in cui Phil mette il piede in una buca piena d’acqua gelata e – a quanto pare – Punxsutawney Phil, la marmotta de Ricomincio da capo, lo morse due volte alla mano in due ciak differenti della stessa scena. Non ultimo Ramis, che ne aveva fin sopra i capelli dei suoi atteggiamenti, chiese ai bambini nella scena della battaglia delle palle di neve di lanciarle con forza. Poi l’inevitabile. La fine del rapporto tra i due amici di lunga data legati da un sodalizio artistico ventennale. Pure che Murray diede poi ragione a Ramis sulla scelta di realizzare Ricomincio da capo come una commedia pura e cruda, i due smisero di parlarsi da quel momento.
Murray non lo contattò più né lo citò mai nelle interviste promozionali di Ricomincio da capo e in quelle successive. Ramis invece lo criticò apertamente, ma sempre nel rispetto di un amico. Tante, in tal senso, le interviste in cui Ramis affermò perfino di sognare il giorno in cui lui e Murray si sarebbero potuti riparlare. A detta degli amici più stretti, tra cui il produttore Michael Shamberg, sembrerebbe che Murray fosse rimasto deluso dal presupposto che il suo miglior lavoro da interprete fosse nato solo in collaborazione con Ramis, o che – addirittura – Ramis potesse essere considerato responsabile e artefice del personaggio pubblico di Murray, ma non fu mai così, anzi, Ramis cercò sempre di rendere Murray il più divertente possibile sapendo benissimo che la sua improvvisazione avrebbe potuto salvare anche lo script più scialbo.
Dalla sua provò a contattarlo offrendogli il ruolo da protagonista in The Ice Harvest del 2005 (andato poi a John Cusack) che Murray rifiutò per bocca indiretta del fratello minore, l’attore Brian Doyle-Murray. Non ci fu occasione in cui Ramis non parlò del suo amico, utilizzando parole al miele nel sottolineare come i suoi lavori con Sofia Coppola e Jim Jarmusch rivelassero più del Murray privato che non le commedie che lo resero grande tra gli anni ottanta e novanta. Dopo oltre due decenni di silenzio i due si riappacificarono a pochi mesi dalla morte di Ramis che avverrà il 24 febbraio 2014 per complicanze dovute alla vasculite. Resta il rimpianto di un Ricomincio da capo iconico e divertente nelle sue immagini filmiche ma dolorosamente triste se non perfino malinconico per ciò che ne è scaturito, un’altra grande storia di cinema.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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