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Last Action Hero | Arnold Schwarzenegger, John McTiernan e quel flop diventato un cult

Shane Black, i contrasti con la Columbia, le citazioni: un film da riscoprire. Trent’anni dopo…

Last Action Hero
Arnold Schwarzenegger in una scena di Last Action Hero.

ROMA – Al momento della distribuzione nei cinema americani, Last Action Hero – L’ultimo grande eroe di John McTiernan, l’ufficio marketing della Columbia Pictures lo pubblicizzò pesantemente come: «Il prossimo grande film d’azione estivo». Tanto era l’entusiasmo intorno al film che molti addetti ai lavori ne predissero l’aura da blockbuster indistruttibile, specie perché il precedente lavoro a cui prese parte Arnold Schwarzenegger – Terminator 2 che confermò la legge non scritta di James Cameron regista da sequel – fu il miglior incasso world-wide del 1991 con i suoi oltre 500 milioni di dollari. Per Last Action Hero, a quel punto – almeno secondo le aspettative generali di critica-e-pubblico – la strada sembrava essere in discesa, era fatta. Tra questi proprio McTiernan che definì il progetto in modo singolare: «Una meravigliosa storia di Cenerentola con un bambino di nove anni in uno script affascinante».

Last Action Hero di John McTiernan fu distribuito nei cinema statunitensi il 18 giugno 1993
Last Action Hero di John McTiernan fu distribuito nei cinema statunitensi il 18 giugno 1993

Gli fece eco Schwarzenegger che non appena ebbe tra le mani lo script firmato Shane Black e Adam Leff, credette essere il migliore capitatogli fino a quel punto nel suo mix postmoderno irresistibile di comedy, action, dramma e satira meta-cinematografica. Distribuito in sala il 18 giugno 1993 però, l’entusiasmo intorno a Last Action Hero si dissolse come una bolla di sapone. Lapidario, in tal senso, il commento dell’eminente critico Roger Ebert, che nella sua recensione pubblicata sul The New Yorker definì Last Action Hero come: «Suona più come un’idea brillante che come un film che è stato pensato. Non evoca il mistero della barriera tra il pubblico e il proiettato come fatto da Woody Allen ne La Rosa Purpurea del Cairo. Per la maggior parte del tempo sembra semplicemente stare in piedi a commentare sé stesso».

Il quarto capitolo del fittizio franchise di Jack Slater
Il quarto capitolo del fittizio franchise di Jack Slater

Appena 137 milioni di dollari world-wide a fronte, però, di un budget di 87, per cinquanta milioni di dollari di utili che a Hollywood, per simili produzioni, sono una cifra praticamente irrisoria. Un flop commerciale insomma e le ragioni furono tante. Schwarzenegger – qui per la prima volta come executive – dichiarò in un’intervista rilasciata poco tempo dopo come la condanna al botteghino di Last Action Hero fosse dovuta principalmente al cattivo tempismo dovuto a tre fattori: le recensioni poco entusiastiche, l’elezione di Bill Clinton (che a suo dire influenzò il pubblico nel vedere le star dei film d’azione come di basso profilo) e Jurassic Park. Il capolavoro avveniristico di Steven Spielberg, distribuito nei cinema statunitensi appena una settimana prima, fece con Last Action Hero quello che E.T. – L’extra-terrestre fece con La cosa e Blade Runner nell’estate del 1982: lo ridusse in brandelli.

Arnold Schwarzenegger è Jack Slater in una scena di Last Action Hero
Arnold Schwarzenegger

Del resto basta andare a spulciare la voce incassi del film di Spielberg: oltre un miliardo di dollari a fronte di un budget di poco più di 60 milioni (63 per la precisione). Un successo strepitoso. Schwarzenegger – così come McTiernan – dalla sua cercò di convincere i produttori a posticipare la distribuzione di Last Action Hero di quattro settimane, perché quel 18 giugno appariva terribilmente critico nella sua vicinanza con Jurassic Park. Alla Columbia furono però le previsioni di incasso ad avere la meglio: una qualunque data successiva a quel nefasto 18 giugno avrebbe fatto perdere loro milioni di dollari di incassi. Fu tutto troppo frettoloso per Last Action Hero, o per usare le parole dello stesso McTiernan: «Il momento peggiore che abbia vissuto a Hollywood. Quella ridicola macchina pubblicitaria della Columbia si impossessò dello script per riassemblarlo a lavorazione in corso».

Il cameo esilarante di Sylvester Stallone e Austin O'Brien in una scena di Last Action Hero
Il cameo esilarante di Sylvester Stallone e Austin O’Brien

Un disastro su tutta la linea secondo McTiernan: «Fu una scelta kamikaze, stupida, assurda, arrivò al cinema cinque o sei settimane dopo che avevo finito di girare e quando poi? Una settimana dopo Jurassic Park. Dio! Per arrivare ad avere una simile profondità di cattivo giudizio servirebbe come minimo un boccaglio!». Dello stesso avviso Shane Black che puntò il dito contro la post-produzione approssimativa organizzata dalla Columbia: «C’era un film lì dentro, che lottava per emergere, il che mi avrebbe fatto piacere. Ma tutto quello che avevano realizzato quegli idi*ti fu una raccolta di scene stridente e casuale». Eppure, nonostante le difficoltà registrate, quel cuore di cui parlava Black, Last Action Hero, è riuscito a farlo emergere: un viaggio fantastico dentro-e-fuori lo schermo sul magico potere del cinema avvolto in un pandemonio di citazioni-e-autocitazioni più o meno esplicite: testuali, grafiche e di suggestione.

Charles Dance in una scena di Last Action Hero
Charles Dance

Da Amadeus a Terminator 2 passando per l’Amleto di Laurence Olivier, Ai confini della realtà, Arma letale, Die Hard, Hard Boiled e Il settimo sigillo, lo script firmato Black e Arnott dà vita ad una narrazione fatta di meta-linguaggi irriverenti che nel prendersi gioco ora delle logiche industriali del cinema action e dei suoi sequel strampalati da catena di montaggio, ora degli stessi topos cardine del genere qui demitizzati tra mondo reale e filmico, ora – perfino – dei ruoli narrativi (la coscienza dell’eroe, il narratore onnisciente), vede emergere alla distanza un Last Action Hero dalla purissima e raffinata arte cinematografica. Un film giocoso ma serio che nasce come ode d’amore fanciullesca al cinema come strumento di evasione dalla realtà, per poi chiudere come cura taumaturgica dei propri dolori e danni. Da dove nasce però l’idea alla base del film?

Ci fu perfino il tempo di fare una parodia con i controfiocchi dell'Amleto di Lawrence Olivier
Ci fu perfino il tempo di fare una parodia con i controfiocchi dell’Amleto di Lawrence Olivier

Al centro del progetto un concept tosto come quello del soggetto di Adam Leff e Zak Penn che immaginarono Schwarzenegger come unico e solo Jack Slater sin dal primissimo draft (che al tempo si intitolava Estremamente Violento). Acquistato da Mark Canton per 350.000 dollari per conto della Columbia – che per prima cosa lo ribattezzò Last Action Hero – fu proposto proprio a Schwarzenegger che dalla sua si ritrovò sul piatto due offerte: Last Action Hero e il mai realizzato Sweet Tooth. Si trattava di una commedia per famiglie che avrebbe visto Schwarzenegger nei panni di un sergente istruttore del Corpo dei Marines che, alla morte del padre, ne scopre l’arcano segreto: era la fatina dei denti. A lui l’ingrato compito di vestirne i panni. Scelse bene, scelse (fortunatamente) Last Action Hero.

Frank McRae in una scena di Last Action Hero
Frank McRae

Script che dalla sua fu oggetto di numerose revisioni, e non solo quella ufficiale di Black e Arnott a cui la Columbia chiese di dare corpo alla componente action – cosa in cui Black tra Arma letale e L’ultimo boyscout aveva dimostrato essere un assoluto maestro – ma non solo. Fu loro intuizione l’idea del biglietto d’oro a metà tra Il Mago di Oz e Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato come espediente per giustificare il salto di Danny (Austin O’Brien ma in lizza ci furono Macauley Culkin e Elijah Wood) nel mondo straordinario dentro lo schermo di Last Action Hero. In seguito si avvicendarono William Goldman – su richiesta dello stesso Schwarzenegger che chiese maggior profondità alla componente caratteriale degli agenti scenici – Larry Ferguson e Carrie Fisher al fine di arricchire la componente comedy del racconto.

Tom Noonan in una scena di Last Action Hero
Tom Noonan ancora una volta nei panni di un serial killer psicopatico dopo Manhunter di Michael Mann

Fu tutto inutile. Il pubblico non premiò Last Action Hero. A nulla valse la pazzesca Big Gun degli AC-DC incisa per l’occasione. I fan di Schwarzenegger non riuscirono ad accettare l’idea che il loro eroe falsificasse sé stesso e il genere d’azione che lo aveva reso grande, prendendosene gioco dentro e fuori lo schermo in un’auto-parodia irresistibile. Servirà tempo prima che il grande pubblico possa raggiungere la maturità necessaria a coglierne l’insita bellezza della sua intuizione narrativa – la specialità di Last Action Hero, la sua originalità – finalmente accettata come qualcosa di grandioso e artisticamente eccezionale, oggi più di ieri, trent’anni dopo. Un film straordinario su tutta la linea da riscoprire a ogni costo.

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