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L’ultima Notte di Amore | Pierfrancesco Favino, Milano e un viaggio al termine della notte

Crimine e cuore, buio e luce, spari e silenzio: dietro le quinte del film di Andrea Di Stefano

L'ultima Notte di Amore
Pierfrancesco Favino e Francesco Di Leva ne L'Ultima Notte di Amore.

ROMA – Di Franco Amore si dice che è amore. Di nome e di fatto. Di se stesso racconta che per tutta la vita ha cercato di essere una persona onesta. Un poliziotto che – in trentacinque anni di onorata carriera – non ha mai sparato a un uomo. Mai uno sbaglio. Ma quella notte, quell’ultima notte in servizio prima della pensione, sarà la più lunga e difficile della sua vita e finirà con il mettere a rischio tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana, l’amicizia con il collega Dino. In quella notte, quell’ultima notte, tutto si annoda freneticamente tra le strade di una Milano cupa in cui sembra non arrivare mai la luce. L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano – presentato alla Berlinale e al cinema dal 9 marzo – inizia da qui, da una storia che sembra sottendere non solo il crepuscolo del personaggio, ma anche del poliziesco all’italiana immaginato come tale.

L'ultima notte di Amore
Andrea Di Stefano in azione sul set. Foto Loris Zambelli.

Il film, prodotto da Indiana Productions, Memo Film, Adler e Vision e accolto dagli applausi a Berlino è su diretta ammissione del regista Di Stefano una sorta di controcanto: «Sì, il controcanto dei polizieschi americani. Una visione molto italiana. Potremmo perfino definirlo uno Spaghetti Noir», ha precisato durante l’incontro via Zoom con la stampa italana. La narrazione, solida e rocciosa, riecheggia al passato dei poliziotteschi del nuovo cinema italiano degli anni Settanta, quello amato da Tarantino e firmato dai vari Fernando Di Leo ed Enzo G. Castellari, ma il film non è affatto una lettera d’amore al passato, anzi, mantiene saldamente fede allo spirito cinematografico contemporaneo: «In realtà non ho fatto riferimenti specifici a classici come Milano Calibro 9, ma sì, ci sono senza dubbio delle situazione evocative. Sono film a cui ho guardato sempre con molto interesse, pieni di energia e di personaggi iconici…».

L'ultima notte di amore
Pierfrancesco Favino all’ombra del Duomo.

Un’impronta autoriale insomma, quella di Di Stefano (la sua filmografia parla per lui, anche quella da attore con Bellocchio, Infascelli e Schnabel) che qui rimane in perfetto bilico tra passato e presente, tradizione e innovazione: «L’ambizione con L’ultima notte di Amore era creare qualcosa che fosse profondamente italiano, drammatico, cupo. Ad ogni film che faccio cerco di mettere i personaggi sull’orlo del precipizio e vedere cosa succede». E qui, al centro della scena, c’è Franco Amore, un Pierfrancesco Favino stratosferico dalla mimica impareggiabile, avvolto dell’aura caratteriale di un eroe tridimensionale e variegato, complesso, ambivalente, versatile: «Un eroe che ha molti dubbi, ha le sue zone d’ombra, è divertente, ma anche romantico con la sua donna eppure anche ingenuo se crede che nella vita non dovrà mai reagire». Un uomo che, come tutti i personaggi in scena, cerca di trovare dentro di sé la forza per cambiare il proprio destino, da cui il quesito: «Siamo circondati dal successo. Cosa succede se vediamo qualcuno che fallisce?».

Linda Cariddi, figura centrale e amore di Amore.

È proprio da qui, da questa domanda, parte il viaggio de L’ultima Notte di Amore. Un viaggio lungo una notte intera, diluita dal mezzo cinematografico orchestrato dal rigore registico di un Di Stefano alla prima prova nel cinema di casa nostra dopo i precedenti internazionali con cast a cinque stelle di Escobar e The Informer. E allora ecco una digressione temporale che riavvolge i passi alla luce del giorno, con un ritmo cadenzato, graduato. Espediente efficace nel gettare in modo semplice e funzionale le basi drammaturgiche di una narrazione piccola, intima in termini strutturali, colorata nelle sfumature tonali che vanno dalla commedia al dramma, ma grande nei valori portati in scena: «Il film inizia con quest’uomo che viene messo di fronte a una scelta, ad un compromesso morale che mette tutta la sua vita in difficoltà». Vale a dire: essere un buon poliziotto oppure un buon padre di famiglia? Cosa vuoi essere davvero, Franco Amore?

Favino con Francesco Di Leva che interpreta il compare Dino.

La risposta sta proprio nel viaggio al termine della notte del film che vede Di Stefano serrare le fila, mettere la quinta, dipingendo un crime-heist dal ritmo tesissimo, sporco, sudicio, macchiato di sangue e fango e raffiche di proiettili, dove l’anima di Amore si macchia di delitti indicibili dai sensi di colpa lancinanti, illuminato – unicamente – dai fari delle auto in corsa in galleria, in una sinfonia di clacson ossessivi di orrore e morte. C’è la crisi dell’uomo, il decadimento della morale, la necessità di tener cara la pelle la ricostruzione dell’evento delittuoso, passo dopo passo, alla maniera del miglior Hitchcock. «Volevo fare un poliziesco realistico ambientato nell’Italia contemporanea, ispirato dall’amore per i film di Kurosawa ed affascinato dai meccanismi tensivi di Hitchcock e ho cominciato a scrivere la sceneggiatura. Poi, durante uno dei primi giorni di riprese, tutto è cambiato ed il film è diventato mio. Ammirando l’umanità dello sguardo di Pierfrancesco, ho finalmente realizzato che avevo scritto un film su mio padre».

Con il cappello o senza cappello: Di Stefano in azione.

Non ultimo, badate bene, ecco un autentico gioiello di tensione come la scena madre della sparatoria in galleria che pone i sigilli su un film che ha tutti gli ingredienti per essere un instant-classic da manuale. Alle spalle della narrazione intessuta da Di Stefano, c’è anche una storia vera, o comunque, una storia ispirata a fatti reali: «Abbiamo lavorato allo script in collaborazione con membri delle Forze dell’Ordine, Polizia, Carabinieri, perfino dell’Intelligence, per portare alla luce una storia di malavita e crimine che fosse realistica nella contemporaneità di Milano, una città di moda e di grandi gruppi industriali e sportivi, che non è affatto come ce l’aspettiamo…». Il confronto con un agente di Polizia ha fatto scattare qualcosa nel regista. La molla creativa, l’idea, lo spunto, l’intuizione alla base del racconto: «Mi ha dato l’idea di raccontare la storia di un poliziotto che entra in una scena del crimine non come agente, ma come persona già al corrente di quel che è avvenuto. Un po’ come quando, nei film, vedi l’assassino che resta sulla scena del crimine e osserva».

L'ultima notte di amore
Sul set: Di Stefano e Favino prima di una scena.

Ma se è vero – com’è vero – che Favino è il volto copertina – letteralmente – della pellicola, da non sottovalutare il valore del cast che fa salire ancor più il film: ecco la presenza di un altro grande attore come Francesco Di Leva (di nuovo in coppia con Favino dopo Nostalgia), un intenso Antonio Gerardi ormai rodato nel cinema di genere, una piccola-ma-preziosa Camila Semino Favro in un ruolo cruciale nell’economia del racconto e, non ultimo, una grandissima (e indimenticabile) Linda Caridi: «Il mio personaggio?», ha spiegato l’attrice, «Scritto in maniera molto forte. Da un lato mi ha permesso di connettermi a qualcosa che ha a che vedere con le mie origini, in un mondo creativo ritmico e musicale che in qualche modo sentivo, dall’altra mi ha accompagnato ad esplorare una tridimensionalità piena di sfumature…». Tanti ingredienti, molti elementi in un mosaico che rende L’ultima Notte di Amore grande cinema italiano, un cinema fatto di identità precise, tanto mestiere, idee, intuizioni e arte purissima.

  • STORIE | PadreNostro, Favino e l’Italia degli anni Settanta
  • INTERVISTE | Di Stefano: «La sfida di The Informer»
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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