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Andrea Di Stefano: «Io, la sfida di The Informer e l’importanza dell’emozione»

Tra ricordi, azione e sentimento: Hot Corn ha incontrato il regista a Milano per parlare del film

Joel Kinnaman e Andrea Di Stefano sul set di The Informer

MILANO – Capelli rasati, un cappello a falda larga e un gilet grigio su una camicia scura. Andrea Di Stefano, seduto sul bracciolo di una poltrona , riflette sempre qualche secondo prima di rispondere alle domande. Lo abbiamo incontrato a Milano dove ha presentato The Informer, il suo secondo film da regista dopo l’ottimo esordio con Escobar nel 2014. Ancora una volta un thriller, ancora una volta una storia che intreccia criminalità e sentimenti. Protagonista il Pete Koslow di Joel Kinnaman, ex soldato specializzato in operazioni speciali che lavora come informatore per l’FBI per smantellare il traffico di droga della mafia polacca a New York. Un film solido per un cast di prestigio che spazia da Rosamund Pike a Clive Owen passando per Common. E mentre Di Stefano si conferma regista ambizioso e valido, si prepara al salto sul piccolo schermo. «Sto lavorando ad una serie tv per Prime Video. Sarà ambientata nella Milano degli anni Ottanta e si muoverà tra il crime e la commedia. Un po’ alla Coen, per intenderci».

Andrea Di Stefano durante l’intervista a Milano

I RICORDI «Leggendo le interviste a Sergio Leone in cui parlava dei personaggi dei suoi western, diceva che s’ispirava ai coatti di strada a Trastevere. Quando racconto questi modi per me c’è sempre l’aspetto ludico della mia infanzia. Da ragazzino, a Roma, sono stato inseguito da dei bulli di un altro quartiere. Mi nascosi per ore nella macchina di mia madre che aveva la serratura rotta. Quella scena poi la misi in Escobar. Ogni volta cerco sempre di portare esperienze vere, perché è una cosa che mi affascina».

Un’immagine di The Informer

I DETTAGLI «Quando ho iniziato a lavorare al film, il copione aveva degli snodi narrativi migliorabili. Sono stato nel carcere di Sing Sing per tre giorni dove ho raccolto materiale e parlato con agenti FBI, della DEA e detenuti per scoprire dettagli che poi ho inserito nel film: dal microfono nascosto nei jeans alle luci spente in casa. Tutte cose che avvengono nella realtà ma non sono presenti nel linguaggio stereotipato del cinema. Tutte informazioni accumulate come piccole perle narrative che poi ho incastrato nella struttura narrativa del film».

Clive Owen in The Informer

GLI SCHEMI «Ho davanti ai miei occhi i film dell’epoca di Sidney Lumet. Il realismo e la visceralità di quel mondo e delle performance anni Settanta. Mi sono battuto per girare a New York e ho avuto grandi difficoltà. Sono stato quasi arrestato per aver messo in pericolo la vita della troupe quando Rosamund (Pike, ndr), in una scena girata sulla 5th Avenue, non attraversa sulle strisce. Oggi quei vecchi film non si possono più fare con per quel tipo di aggressività che metteva la macchina da prese vicino alle macchine. Tutto è stato troppo regolamentato e bisogna stare dentro degli schemi che non ha scelto il regista».

Una scena del film

L’EMOZIONE «Non mi piace andare a vedere film d’azione. E infatti mi mancano tantissime visioni di questo genere. Ma per me è importante, quando vedi lo sforzo di una persona che sta provando a salvarsi la vita, che lo spettatore intuisca quello che ha da perdere. Se leviamo l’emotivo tutto il resto perde di interesse. Non credo che il personaggio di Pete sia scisso: una parte informa l’altra. Riuscire a far affezionare il pubblico al percorso narrativo del protagonista è la mia ambizione. Magari non sempre ci riesco ma è quello da cui parto».

Joel Kinnaman è Pete Koslow

JOEL KINNAMAN «È un attore di enorme talento. Lo avevo visto in The Killing ed è impressionante. Una presenza molto fisica sul set ma ha una sensibilità forte. È molto rilassato rispetto le proprie emozioni, sempre presente a s stesso e preciso nello studio del personaggio».

Joel Kinnaman e Andrea Di Stefano sul set di The Informer

GLI ATTORI «La mia esperienza di attore mi ha aiutato sul set. Quello dell’attore è un lavoro difficilissimo. Recitare è facile, lo può fare chiunque. Recitare bene e gli attori che si prendono la responsabilità di immedesimarsi in una storia e portare il pubblico in quel viaggio emotivo è, invece, estremamente complicato. Quando c’è quell’alchimia, l’artista si sente denudato, per questo bisogna essere molto l’ascolto perché in quella condizione ha anche delle ottime idee. E io li ascolto molto, ma bisogna essere diretti e dirgli se fanno una cazzata».

LA PRIGIONE «Le scene in prigione le abbiamo girate in un carcere inglese abbandonato che ricordava Attica e in cui abbiamo riprodotto tutto quello che avevo visto a Sing Sing ma che non potevo fotografare. Le notti le passavo a disegnare, a buttare giù schizzi. Abbiamo trovato le novanta comparse grazie ad un’associazione che aiuta gli ex detenuti. Sullo schermo si vede il loro atteggiamento rilassato, un realismo impagabile. Gli ho chiesto di mostrarmi come si passavano la droga e poi gli ho dovuto chiedere di andare più piano (ride ndr). Uno di loro mi ha fatto parlare con altri detenuti in Alabama via FaceTime con un telefono che tenevano nascosto. Mi hanno fatto vedere le condizioni in cui vivono: una distesa di letti a castello ammassati, e mi hanno ringraziato per quello che stavo raccontando. Così ho capito che stavo andando nella direzione giusta».

Una scena del film

IL CINEMA DEL CUORE «Che tipo di spettatore sono? Vedo tutto e solitamente mi abbandono sempre alla narrazione. Da Kim Kiduk a Martin Scorsese, da Matteo Garrone ad Alice Rorwacher. Vedo anche i film per bambini che non vede nessuno e obbligo i miei figli a venire con me. L’aurora di Murnau è il mio film preferito. Ma anche con Charlie Chaplin e Federico Fellini mi rilasso come se ascoltassi Mozart».

  • Qui potete vedere il trailer di The Informer:

 

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