ROMA – Non si può certo dire che il cinema di David O. Russell si sia caratterizzato, negli anni, di pellicole in grado di segnare l’immaginario collettivo in modo indelebile. Un cinema di grande appeal, protagonista durante la stagione dei premi, eppure mai davvero memorabile, anzi, spesso caratterizzato da controversie come i malumori di George Clooney, Lily Tomlin e Amy Adams tra Three Kings, I Heart Huckabees e American Hustle. Non a caso, tutti film deboli di Russell, come il recente Amsterdam che ne ha segnato il ritorno alla regia sette anni dopo il (quasi) dimenticato Joy. Poi però ci sono le eccezioni, come Amori e disastri, il combattivo The Fighter che consegnò a Christian Bale il suo primo (e unico) Oscar e soprattutto quel Il Lato Positivo che rese grandi Bradley Cooper ma soprattutto Jennifer Lawrence, insignita dell’Oscar come Miglior attrice protagonista.
Eravamo all’inizio del secondo decennio degli anni Duemila. Cooper, dopo tanta gavetta tra piccolo-e-grande schermo tra Alias e Una notte da leoni, tentò – riuscendoci – il grande salto nel cinema drammatico tra The Words e il sempre più sottovalutato Come un Tuono. La Lawrence era già in rampa di lancio tra la prima nomination agli Oscar conquistata nel 2011 con Un gelido inverno e la presenza contemporanea di due franchise di peso come X-Men – L’inizio e Hunger Games. Infine proprio Il Lato Positivo che ne incrociò le carriere e i destini in un piccolo-ma-grande sodalizio ripetutosi poi sullo schermo tra American Hustle, Una folle passione e Joy. Non ultimo Russell che ne inseguì la realizzazione per quattro anni dopo essere rimasto folgorato dall’opera originaria: L’orlo argenteo delle nuvole, un romanzo di Matthew Quick (edito nel 2009 da Salani).
La differenza la fece il successo di The Fighter. Lo rese un candidato credibile agli occhi della The Weinstein Group che da principio, quando il romanzo di Quick fu opzionato dallo stesso Harvey Weinstein su suggerimento dell’executive Renee Witt nel 2008, immaginò uno fra Anthony Minghella e Sydney Pollack alla regia. Dei maestri insomma. Registi tutti d’un pezzo, esperti, a cui affidare un concept delicato nel suo perfetto mix di indagine sociale, umorismo e romanticismo. Questo finché, in quello stesso anno tra marzo e maggio, non scomparvero prematuramente entrambi. Quindi Russell che produsse venticinque differenti draft di sceneggiatura pur di rendere al meglio, a mezzo filmico, la magia delle parole su carta di Quick. Un progetto, Il Lato Positivo (lo trovate su Prime Video), estremamente personale per Russell che vide nella problematicità di Pat Peoples (Solitano nell’adattamento) un’opportunità di incontro e comprensione con suo figlio Matthew Antonio Grillo Russell.
Esattamente come Pat, anche Matthew convive con un disturbo bipolare e ossessivo compulsivo. Da qui l’idea di un Il Lato Positivo concepito da Russell come lettera d’amore di un padre al proprio figlio in un invito a non arrendersi («Devi fare tutto il possibile, lavorare al massimo e se fai così, se rimani positivo, allora vedrai spuntare il sole tra le nuvole» recita una linea dialogica del film) e ad aprirsi alla vita anche quando tutto appare nero e senza speranza. Una chiave di lettura facilitata anche dal senso idiomatico del titolo originale. Quel Silver Linings Playbook interpretabile come l’insieme delle strategie che Pat – e lo spettatore immedesimatosi con lui – dispone per riconfigurare gli stati di negatività in un particolare momento della sua vita, rendendoli carburante e forza propulsiva con cui guardare alle difficoltà come opportunità di crescita e di auto-miglioramento.
Perché in fondo è un film di recupero, ricongiunzione e rinascita Il Lato Positivo. Attraverso gli occhi sinceri e addolorati dell’agente scenico principe – quel Pat Solitano portato in scena da un Cooper tanto intenso, esplosivo e fisico, quanto dolce e raccolto – esploriamo le conseguenze e il dolore derivanti da un incidente («Io ho avuto un solo incidente. Un incidente ti può cambiare la vita» dice uno scambio dialogico). Pat perde tutto: la moglie Nikki (Brea Bee), la casa, il lavoro, e torna a vivere con i suoi genitori, Patrizio (Robert De Niro) e Dolores (Jacki Weaver), dopo aver trascorso otto mesi in un istituto psichiatrico. È l’azzeramento di qualsiasi progresso compiuto nella sua vita. Una vita vissuta a pugni stretti. Terreno narrativo fecondo, da manuale in termini drammaturgici, da cui Russell sguinzaglia un arco di trasformazione che ne rimette i pezzi passo dopo passo.
In quell’evoluzione Russell fa scoprire a Pat il senso di sacrificio, l’affetto che pensava perduto di suo padre Patrizio fatto di chiacchiere sui Philadelphia Eagles e scaramantici rituali – ascritto tutto in quel ritratto incorniciato, nel climax de Il Lato Positivo, non più appoggiato sul mobile, ma lì, in alto, appeso accanto a quello del più compiuto fratello maggiore Jake (Shea Whigham) – e dell’importanza di saper leggere il momento: «Ti dico che devi dar retta ai segnali. Quando la vita ti manda un momento come questo è un peccato se non l’afferri, ti perseguiterà sempre, come una maledizione. Hai una grande sfida da affrontare, proprio adesso, in questo momento, proprio qui. Quella ragazza ti ama, ti ama davvero. Mi raccomando, non fare put***ate» dice il padre al proprio figlio in quel dolce momento che precede il finale, e quella ragazza è Tiffany.
La porta in scena una Lawrence brillante, divertente, seducente, chiassosa e sboccatissima capace di toccare Pat nel profondo sino a scuoterlo dal suo stato di impasse emozionale, re-insegnandogli ad avere fiducia in sé stesso e a capire e ad aprirsi al mondo attraverso la cura, l’affetto e la disciplina del ballo. E Tiffany non è di certo meno problematica di Pat. È in lutto per la morte del marito Tommy, incasinata, caotica, sofferente anche lei di bipolarismo e in cerca di ricostruzione come dice Pat in una linea dialogica: «A volte le ragazze così vogliono divertirsi e altre volte non va perché hanno un’ala spezzata e sono ferite, sono un bersaglio facile. In questo caso, in questo particolare caso, credo che quell’ala sia in via di guarigione amico mio e devi assicurarti che sia riparata. È sensibile, intelligente, è un’artista, è una ragazza fantastica e tu devi averne rispetto».
Un riallineamento vitale che è incrocio inscindibile di destini, reso nelle forme di un’amicizia salvifica di totale adesione l’uno all’altro che ci mette poco a diventare amore nonostante qualche piccolo incidente di percorso disseminato da Russell lungo il dispiego dell’intreccio. Questo sino al climax, il momento topico de Il Lato Positivo costruito con rigore e affetto, in una rivelazione avvolta dalle note melodiose di Misty di Johnny Mathis e giocata tutta di rincorse, sospiri, parole dette all’orecchio, dichiarazioni spiazzanti, straripante alchimia scenica e lettere che ci ricordano come a volte, nella vita, il solo modo di assecondare la pazzia è fare qualcosa di pazzo tu stesso. E a tal proposito, è vero, dodici anni dopo sembra quasi impensabile immaginare qualcuno di diverso da Bradley Cooper e Jennifer Lawrence per i ruoli di Pat e Tiffany, ma in origine le cose sarebbero dovute andare (molto) diversamente.
I primi Pat e Tiffany a cui aveva pensato Russell corrispondevano infatti al nome di Vince Vaughn e Zooey Deschanel, per poi passare a quel Mark Wahlberg suo feticcio attoriale (Three Kings, I Heart Huckabees e The Fighter) e Anne Hathaway voluta fortissimamente da Weinstein che firmò perfino un accordo per prendere parte a Il Lato Positivo. La differenza la fece la proposta irrinunciabile di Christopher Nolan che pensò a lei per la parte di Selina Kyle/Catwoman in Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. Senza la Hathaway, anche Wahlberg a quel punto si tirò indietro in favore di Broken City, non prima però di aver provato a forzare la mano di Russell e Weinstein chiedendo un aumento milionario del cachet pur di restare. Infine proprio gli originali e unici Pat e Tiffany: Cooper e Lawrence e con loro il cuore del film.
Un’opera unica, forse nemmeno troppo celebrata Il Lato Positivo, sulle conseguenze dei traumi, sul sapere leggere i segnali al momento giusto e sull’amore come unica cura, cucito tutto sul ruolo che la domenica assume per Pat nel monologo in apertura e chiusura di racconto. All’inizio, infatti, in quella semi-soggettiva stringente nella camera dell’istituto psichiatrico, Pat sembra quasi aggrapparsi nell’idealizzazione della domenica, nella famiglia che si riunisce tra involtini e il culto dei Philadelphia Eagles, perché annebbiato, addolorato, incapace di trovare una soluzione al suo problema coniugale, bloccato in un loop di rimuginio: «Vuoi scherzare!? La domenica?! Adoro la domenica! Vivo per la domenica! La famiglia si riunisce, Mamma fa gli involtini, Papà si mette la maglia e guardiamo la partita, si mi fa impazzire, e si, ero negativo…tu neanche lo sapevi che l’adoravo, Nikky, ma è così, è solo che non apprezzavo né lei, né te prima».
Poi però arriva la consapevolezza in Pat, il percorso, la ricostruzione e l’accettazione dei propri limiti, delle cose che contano davvero, quelle per cui vale la pena lottare. E in quel momento – in quel totale della villetta ricolma di calore e gente – la domenica cambia pelle. Non più un bozzolo di comfort, un giorno idealizzato, ma qualcosa di vero e di tangibile, pienamente accolto nella sua gioia conviviale nonostante il dolore affrontato: «Il mondo ti spezza il cuore in ogni modo immaginabile, questo è garantito, e io non so come fare a spiegare questa cosa, né la pazzia che è dentro di me e dentro gli altri, ma indovinate un po’? Domenica è di nuovo il mio giorno preferito! Penso a tutto quello che gli altri hanno fatto per me, e mi sento, tipo, uno molto fortunato…», e noi con lui, nel guardare al lato positivo della vita.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film
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