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C’era una Volta a Hollywood, Tarantino (scrittore) e un pugno di folgoranti parole

Il romanzo, edito da La Nave di Teseo, dimostra quanto il regista sia il più grande storyteller moderno

Quentin Tarantino e C'era una Volta a Hollywood
Quentin Tarantino e C'era una Volta a Hollywood

ROMA – Partiamo col botto. Anzi, partiamo con una buona dose di arroganza d’attacco, che ogni tanto è giusto sfoderarla per difendersi dalla schiera dei cinefili da cameretta, col sogno infranto di essere il nuovo David Lynch. Chi dice che Quentin Tarantino sia un autore sopravvalutato non capisce nulla di cinema, di bellezza e di arte. Forse non capisce nulla della vita. E chi dice che C’era una Volta… a Hollywood sia il suo peggior film non capisce nulla di cinema, di bellezza e di arte. Forse, non capisce nulla della vita. No, non si è incantato il disco, ma chi scrive ci tiene a rimarcare quanto il suo ultimo film (e se fosse definitivo andrebbe bene così…) sia un capolavoro dell’era cinematografica contemporanea, troppo schiava degli algoritmi e dell’usato sicuro, rigirata e girata su sé stessa in attesa che gli autori (appunto) compiano miracoli da grande schermo, ahinoi sempre più rari e poco avvezzi allo stupore. Come possiamo essere così sicuri e così arroganti? Semplice: conosciamo bene la materia e, accantonando il piedistallo, affermiamo con certezza che i gusti non sono gusti: ci sono determinate bellezze grammaticalmente oggettive, scevre dalle sovrastrutture e dai mezzi personali. Punto.

Margot Robbie, Leo DiCaprio, Tarantino e Brad Pitt a Cannes, per la première di C'era una volta a... Hollywood
Margot Robbie, Leo DiCaprio, Tarantino e Brad Pitt a Cannes, per la première di C’era una volta a… Hollywood

E di fatti, non c’è soggettività che tenga davanti alla santissima trinità protagonista di Once Upon a Time in Hollywood: Brad Pitt, Leo DiCaprio, Margot Robbie sono perfetti, bellissimi, a tratti irreali. Incarnano lo stupore e il mistero di un’epoca irripetibile e stimolante; loro incarnano la meraviglia e l’archetipo umano, in uno spettro emozionale che – in quasi tre ore – rende l’opera tanto nostalgica quanto edificante nella sua (ri)scrittura di una tragedia folle. Eppure no, nonostante il sentito sfogo, non siamo qui per raccontarvi ancora del film e della riscrittura tarantiniana del 1969. O meglio, facciamo un passo indietro e – grazie alla Nava di Teseo, che ce lo ha fatto leggere in anteprima – vi proviamo a spiegare quanto il primo romanzo di Quentin Tarantino, C’era una Volta a Hollywood, lo consacri definitivamente come il più grande storyteller vivente. Quindi, ecco tornare i suoi eroi della Hollywood più libera, erotica e iconica della storia: Rick Dalton, l’attore cowboy da film tv la cui carriera è in difficoltà, tanto che il romanzo lo epiteta come “un attore di Eisenhower catapultato nella Hollywood di Dennis Hopper”.

La cover italiana (edita da La Nave di Teseo)

C’è il magnifico Cliff Booth, stuntman, tuttofare e amico di Dalton, che si porta appresso la diceria di aver ucciso sua moglie. Qui, la prima notevole sterzata: Tarantino, che non si era mai troppo espresso, espande la scena e approfondisce la questione. Di più non vi diciamo, naturalmente. Si prosegue poi con Roman Polanski e Sharon Tate: ci sono anche loro, e proprio la Tate nel romanzo viene ampliata e completata, così come è presente un’altra folgorazione, ovvero Trudi Fraser (nel film Julia Butters, una rivelazione) sviluppata come un personaggio ancora più importante e profondo. Essenzialmente, C’era una Volta a Hollywood, è il romanzo quasi definitivo sulla fine dei ’60s e sulla storia del cinema tutto, oltre che essere l’espansione, il prequel e l’intima ispirazione del nono lungometraggio di Tarantino. Un libro che mantiene (e illumina) nelle sue duecento pagine, lo stile narrativo del regista: riff e digressioni, vuoti a perdere e irriverenza, dettagli e cazzotti, maestria linguistica e maestosità emozionale, e ancora l’estasi di un regista capace di innalzare alle stelle il linguaggio dei B-Movie, del pulp e dell’immaginario da grindhouse. Insomma, leggere C’era una Volta a Hollywood è stato come “leggere” un suo film: i tratti distintivi ci sono tutti, e aiutano a capire quanto il regista sia tentacolare nello scrivere.

... E la cover US (edita da Harper) di C'era una volta a Hollywood
… E la cover US (edita da Harper) di C’era una volta a Hollywood

Nel romanzo (un po’ come nel film, a dirla tutta) l’attenzione è spesso catalizzata su Cliff Booth. Che sia uno dei migliori characters di Tarantino non c’è dubbio, ma che sia una sua diretta estensione è cosa lampante nelle pagine che scorrono velocissime. Scopriamo che Cliff è fan assoluto di Kurosawa, e sempre Cliff come Quentin non le manda a dire a quella Hollywood post Seconda Guerra Mondiale, che aveva continuato a fare un cinema avvolto in una patina che aberrava il pop e ripuliva lo sporco, mettendo ai margini talenti come Booth o Dalton ormai costretti a reinventarsi in un cinema che non gli appartiene più. In modo poetico, incalzante e libero, Tarantino si estende nella figura di Cliff Booth, dandogli ancora di più di quanto già non gli abbia dato nel film (tant’è che Brad Pitt ha vinto uno degli Oscar più belli degli ultimi anni). Certo, quello di Once Upon a Time in Hollywood è un racconto che si snoda e tocca più personaggi e più momenti, eppure per Tarantino e per il lettore è Cliff il testimone perfetto di quegli anni, ora meticolosamente ricostruiti in un libro – chissà – destinato a diventare un classico al pari di quelli firmati da Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Elmore Leonard o Edward Bunker, considerato da Tarantino come una sorta di spirito guida.

Julia Butters e Leonardo DiCaprio
Julia Butters e Leonardo DiCaprio nel film

Perché poi ogni sceneggiatura ne contiene all’interno altre tre (qualcuno ha detto Pulp Fiction?), dando alle storie un orizzonte sconfinato, oltre che mutevole e plasmabile. In fondo, Tarantino, fin da Le Iene, ha sempre giocato con le parole e con le immagini, fingendo di essere un cattivo ragazzo quando invece le sue pellicole sono pregne di empatia e di bontà: Django Unchained, Kill Bill, Bastardi Senza Gloria e lo stesso C’era una volta… a Hollywood. Opere incredibili che – al netto di quanto si possa ciarlare – si sono sempre schierate dalla parte dei più deboli provando a cambiare idealmente il corso della storia e del tempo. E allora, grazie ad un romanzo letto tutto d’un fiato, capiamo meglio la fortuna di vivere nella stessa epoca di Tarantino che ci fa tornare lì, a mezz’aria su Cielo Drive, tra le stelle e gli angeli mortali, alzando il volume di una gracchiante KHJ. E siamo noi, al fianco di Cliff e Rick, a correre veloci verso un futuro che, per un attimo solo, non sembrava già scritto. Quentin Tarantino e C’era una Volta a Hollywood, ovvero l’arte della bellezza in un pugno di folgoranti parole.

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