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Parasite, il coraggio degli Oscar e la sconfitta di Netflix. E finalmente Brad Pitt

Bong Joon-ho, Phoenix e Pitt? Sì, ma le sorprese della Notte degli Oscar rimangono poche

Joaquin Phoenix, Renee Zellweger e Brad Pitt in posa con i loro Oscar.
Joaquin Phoenix, Renee Zellweger e Brad Pitt in posa con i loro Oscar.

MILANO – Alla fine l’emozione maggiore è arrivata unicamente dall’imprevisto: la lenta e graduale presa di potere di Parasite che, minuto dopo minuto, ha cominciato a materializzare l’impossibile nella testa degli spettatori degli Oscar. Una vittoria di Bong Joon-ho e del suo cult era prevista (anzi certa) nella categoria miglior film straniero (anzi non più, da quest’anno è internazionale, mah) ma in quella generale no. Le quotazioni erano salite negli ultimi giorni, ma in pochi credevano davvero a un Academy disposta – per la prima volta in novantadue anni – a consegnare la statuetta per il miglior film a un’opera sudcoreana. Invece è successo, com’è successo che Netflix, dopo il clamore per i film di Scorsese e Baumbach – esca praticamente a mani vuote.

Laura Dern con l’Oscar per Storia di un matrimonio. Uno dei pochi premi a Netflix.

A parte Parasite, tutti gli Oscar erano previsti e prevedibili (ma siamo sicuri che Scarlett Johansson non fosse meglio di questa Zellweger?), quello a Joaquin Phoenix era praticamente già stato assegnato alla Mostra di Venezia alla prima di Joker, mentre quello a Toy Story 4 pare un abbaglio così come quello al documentario targato Obama, American Factory, visto che avrebbero meritato The Cave oppure Alla mia piccola Sama. Ma – polemiche a parte (portare The Irishman fino qui per non dargli nulla pare crudele, così come ignorare Noah Baumbach), lasciateci gioire per l’Oscar a Brad Pitt, un attore troppo spesso sottovalutato a causa del suo aspetto (!) e che pure ha sempre sbagliato poco in carriera.

Tris d’assi: Joaquin, Renee e Brad.

Quattro nomination in quasi trent’anni già erano un crimine, visto che per noi un Oscar già glielo dovevano ai tempi di Gilliam e il folle L’esercito delle dodici scimmie (almeno prese la nomination), senza parlare di Fight Club (nemmeno candidato) e poi di altri film per cui non venne prese in considerazione: Babel – brizzolato, disperato in mezzo al Marocco, L’assassinio di Jesse James e Tree of Life (il suo ritratto di padre severo e tormentato era magnifico). E non citiamo Bastardi senza gloria e Benjamin Button (per il secondo almeno la nomination la prese). La statuetta – che aveva già vinto, ma come produttore per 12 anni schiavo – gli arriva per un ruolo che è anche più grande del film in cui è contenuto: il suo Cliff Booth in C’era una volta a Hollywood è un omaggio al cinema e a una Hollywood che non c’è più, un personaggio larger than life che è anche un po’ il simbolo dell’epica che oggi manca agli Oscar e a una cerimonia che pare diventata quasi un elenco di premi da consegnare, una lista che non prevede magia. Ma il cinema è (ben) altro.

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