MILANO – Astuto, irriverente, difficilmente inquadrabile in un genere preciso, in punta di piedi sul filo che separa commedia, dramma e thriller (e anche horror). Quel piccolo enorme gioiello che è Parasite (qui la nostra recensione), regalatoci dal regista sudcoreano Bong Joon Ho – che ha trionfato agli Oscar 2020 con quattro statuette, primo film non americano a vincere quella per miglior film – racchiude in sé le componenti che lo rendono un film perfetto. Ma cosa si nasconde dietro il film? Ideato in origine come opera teatrale, lo script impeccabile fa solo da cornice a un uso magistrale di musiche, inquadrature, colori e ambienti, un unicuum che raramente vediamo sul grande schermo.
La realizzazione del film, definita dal regista un «caos controllato», si compone di elementi relativamente “piccoli”, a partire dal budget ridotto, circa un quinto rispetto al precedente Okja, che gli permette di «filmare al microscopio», concentrandosi sui dettagli. Anche se non può essere relegato a un unico genere, Parasite presenta comunque caratteristiche del thriller o della ghost-story, motivo per cui appare peculiare la scelta di impiegare scene molto lunghe, sebbene siano fatte per permettere allo spettatore di comprendere fino in fondo gli spazi in cui si svolge la storia, arrivando a un totale di 960 tagli nell’intero lungometraggio, quando altre pellicole del genere arrivano a contarne anche il doppio.
In particolare, in un’intervista rilasciata a The Atlantic, il regista ha parlato della realizzazione di alcune scene, legate principalmente alla costruzione delle architetture. Il film, basato sulla contrapposizione tra le abitazioni delle due famiglie, presenta due case profondamente diverse. La costruzione della casa dei Park, la famiglia benestante, è stata particolarmente controversa per l’intenzione di appariscenza, il volerla far sembrare una sorta di castello isolato tramite cui dei giovani ricchi e sofisticati mostrano il loro gusto raffinato. Un profondo senso estetico e minimalista permea gli ampi spazi in cui la famiglia Park si trova a vivere.
Per contro, la casa dei Kim ha una “struttura più semplice”. Primo indice di disuguaglianza tra i due stati sociali è l’assoluta mancanza di privacy, dal momento che i passanti possono vederne l’interno. Interessante è la realizzazione di questa abitazione per una scena in particolare, la discesa sotto la pioggia. Dopo essere scappati dal garage della casa dei Park, i Kim si ritrovano sotto una pioggia più forte del previsto e una volta arrivati nel loro quartiere scoprono che l’intera via, e di conseguenza anche la loro casa nel seminterrato, si è allagata.
Avendo possibilità limitate, la soluzione del regista è stata quella di costruire il tutto all’interno di una cisterna e con l’aiuto del blue screen, «non avevamo altra scelta, quindi alla fine abbiamo allagato l’intero quartiere». Un espediente già consolidato e utilizzato largamente in diversi film, il più famoso di tutti? Titanic. Il seminterrato viene descritto come una sorta di “limbo” per i poveri che riflette la loro situazione economica.
Si trovano esattamente a metà tra il sotto e il sopra ma li accompagna la costante paura di una discesa definitiva. Accoppiando le caratteristiche di genere con la critica sociale, Parasite porta in gioco quelli che sono i suoi temi portanti, l’infiltrazione, la polarizzazione tra ricchi e poveri e la disuguaglianza. Il dramma che Bong Joon-ho rappresenta è più che mai attuale e lo fa con una tecnica da fuoriclasse, un capolavoro grazie al quale oggi, forse, siamo tutti un po’ più ricchi. E scoprire come è stato realizzato ci permette ancora di più di restare abbagliati dalla magia del (grande) cinema.
- Parasite | La colonna sonora del film firmata da Jung JaeiI
- Parasite | Una scena del film diretto da Bong Joon Ho
- Parasite | La recensione
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