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«I’m a bit gobsmacked» | L’Oscar, Brad Pitt e l’ultimo cowboy di Hollywood

Ovvero: del Missouri, di Geena Davis, di Butch Cassidy e della necessità del mito

Brad Pitt
Il primo ruolo: Brad Pitt in Thelma & Louise. Era il 1991.

MILANO – La cosa più bella vista durante una noiosa Notte degli Oscar? I due minuti (scarsi) di discorso di Brad Pitt, un piccolo grande monologo in cui l’attore ha ringraziato Tarantino (chiamandolo Quentin Jerome Tarantino, «you’re one of a kind») e il socio DiCaprio. Poi però l’attore si è spinto oltre, prima facendo un riferimento all’impeachment a Trump (ha citato l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton) poi guardando al suo passato, cosa che non ama fare, ricordando gli anni nel Missouri con i genitori che lo accompagnavano al cinema a vedere Butch Cassidy («I’m thinking of my folks taking me to the drive-in»). Lì, sognando ad occhi aperti davanti a Newman & Redford avrebbe poi maturato la decisione di abbandonare tutto e caricare il pick up per andare a Hollywood.

Brad Pitt
Brad Pitt con l’Oscar per C’era una volta a Hollywood.

«I’m a bit gobsmacked», ha detto a un certo punto, «sono un po’ sbalordito, ma questo premio mi fa tornare indietro nel tempo, a quando i miei genitori mi portavano al cinema a vedere Butch Cassidy e a quando Geena (Davis, nda) e Ridley (Scott, nda) mi offrirono la prima opportunità (per Thelma & Louise, era il 1991, nda)». Visibilmente commosso, Pitt in quel preciso momento è sembrato qualcosa più di un semplice attore che sale sul palco per ricevere il suo primo Oscar: in un attimo è diventato una sorta di simbolo, un ultimo cowboy, quasi come il suo Cliff Booth ritratto nel film di Tarantino, bandiera di una Hollywood differente, capace ancora di mantenere il proprio fascino e la propria epica nonostante tutto e tutti.

Il mito del mito: Pitt con Robert Redford nel 2001 sul set di Spy Game.

Fascino e epica, perché oggi il problema è principalmente uno: l’assenza totale del mito. Da qualche anno gli Oscar soffrono di questo, di un’assenza totale di divismo e di un’ascesa confusa di cinema d’autore e politically correct spesso forzato. Su questa scenografia stagnante, Pitt e la sua storia sono diventati in un attimo più grandi della stessa Notte degli Oscar. E allora ecco la parabola del ragazzo di provincia che sogna Butch Cassidy e un giorno riesce a diventare una star, fino a quando non ritira l’Oscar e si ferma per la prima volta a guardarsi indietro. Il mito si nutre di storie, di leggende, non di gossip, non di rumors (Aniston o Jolie? Questo è il massimo che possiamo fare?), e Pitt lo sa, perché è cresciuto con quella Hollywood negli occhi, quella di Newman e Redford, belli, impegnati e responsabili nelle loro scelte, anche cinematografiche.

Con David Fincher sul set di Benjamin Button. Era il 2008.

Per questo per l’unico acuto della nottata (anche più dell’amato Joaquin Phoenix) dobbiamo ringraziare Brad, il suo«I’m a bit gobsmacked», la sua commozione sincera pensando a trent’anni in cui ha dovuto dimostrare sempre e comunque che non era solo bello, che non aveva solo una gran faccia da cinema, ma era anche bravo, e tanto. Pensate ai migliori film degli ultimi trent’anni, da Fight Club a Tree of Life passando per Bastardi senza gloria, Jesse James, Seven o Babel, e ci mettiamo anche In mezzo scorre il fiume e L’esercito delle 12 scimmie: in quei film c’era lui e non era mai per caso, ma sempre per scelta, la scelta precisa di un uomo consapevole che il mito ha bisogno di sostanza. Sempre. «Once upon a time in Hollywood, ain’t that the truth…».

  • Qui potete ascoltare il discorso di Brad Pitt:

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