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Xiao Wu o del perché dovreste recuperare il primo lungometraggio di Jia Zhangke

Nella nuova puntata di Orient Express, rubrica dedicata al cinema asiatico, torniamo nel 1997

Wang Hongwei nel ruolo di Xiao Wu nel film di Jia Zhangke.

MILANO – La Cina è uno stato talmente complesso e sfaccettato che le sue dinamiche interne sono difficili da comprendere per chi non è del luogo. L’arte del cinema cinese, dopo essere stata sfruttata come strumento di propaganda comunista, riuscì a liberarsi dalla morsa dittatoriale soprattutto a seguito del fallimento rivoluzionario culturale Maoista degli anni Settanta e iniziare un vero percorso artistico, non senza però alcuni interventi di censura da parte del governo. Registi come Zhang Yimou (Hero), Chen Kaige (Addio mia concubina) e Xie Fei si sono concentrati a raccontare la storia antica e i tratti distintivi della loro nazione, mentre altri come Lou Ye (Suzhou river) e Wang Xiaoshuai (Le biciclette di Pechino) hanno mostrato le contraddizioni e i problemi di uno stato ancora molto segnato da gravi disparità e contrasti sociali.

Occhiali e giacca: Wang Hongwei in Xiao Wu.

Questo movimento di denuncia visiva riesce ad uscire dalle mura asiatiche e far così conoscere la situazione cinese in tutto il mondo, fino ad arrivare ai grandi festival e alla vittoria del Leone d’oro alla Mostra di Venezia con Still Life (lo trovate su RaiPlay in streaming), scritto e girato da Jia Zhangke. Still Life è però solo la punta dell’iceberg della cinematografia di Jia Zhangke. Il suo percorso inizia nel 1997 con Xiao Wu o Pickpocket, ora su MUBI – censurato in patria perché colpevole di aver mostrato le condizioni e i cambiamenti sociali in una delle zone più rurali della Cina. Siamo a Fenyang, un luogo lontano, lontano da Pechino, lontano dalla modernità e invaso dalla criminalità. Molti sopravvivono rubando, pochi riescono a restare nella legalità. La polizia è sempre più presente per ripristinare l’ordine e incentivare il cambiamento anche nelle regioni più piccole.

Un altro momento di Xiao Wu nel film di Jia Zhangke.

Xiao Wu è uno dei pochi borseggiatori rimasti, indossa occhiali enormi e una giacca due taglie più grandi. Tutti i suoi amici hanno cambiato vita, alcuni hanno cercato fortuna altrove, altri sono diventati imprenditori locali, ma Xiao non ha nessuna intenzione di diventare un’altra persona e sottostare alle regole della polizia. Questa presa di posizione lo allontana dalla comunità perché diventa una figura scomoda. Persino il suo migliore amico si vergogna di lui e non lo invita al matrimonio per evitare brutte figure con gli ospiti. Xiao Wu si ritrova così a camminare solo per le vie di una città che lo sta lasciando indietro mentre fuma e ricorda i momenti in cui non aveva preoccupazioni. Quei viaggi lo portano una sera ad entrare in un bordello dove conosce Mei Mei, timida prostituta che non riesce a soddisfarlo. La padrona, per scusarsi del mancato servizio, obbliga la ragazza a passare una giornata con lui.

Xiao e l’ultima speranza rimasta: Mei Mei.

Tra i due nasce subito qualcosa, entrambi si sentono dimenticati e, insieme, riescono a riempire il vuoto che sentono. Xiao Wu non è solo una perfetta fotografia della situazione di una Cina senza identità in cerca di un cambiamento forzato e problematico, ma anche una descrizione minuziosa ed intimista di un uomo in dissonanza con la sua epoca. Xiao è la maschera del disagio esistenziale, della volontà di rimanere sé stessi per non adeguarsi, di non accettare il cambiamento di una società colma di contraddizioni. La strada da prendere? Mettere da parte la propria personalità e diventare ciò che è stato deciso da qualcun altro o si diventa il cattivo da arrestare. Mei Mei sarà così l’unica persona a farlo uscire da questo stato di solitudine perché anche lei è rimasta sola, costretta a lavorare in condizioni indicibili per sopravvivere in un luogo che odia.

L’altra faccia della Cina moderna di Jia Zhangke.

Xiao però è destinato a perdere anche questo ultimo barlume di speranza perché è impossibile essere felici dove essere sé stessi è il peccato più grave, dove non si ha la possibilità di essere padroni della propria vita, dove persino il migliore amico, diventato un commerciante, è una pedina costretta a vendere sigarette e donne. A Fenyang, lontano da Pechino, lontano da tutto, non c’è via d’uscita. Il primo lungometraggio di Jia Zhangke è semplice, con un misero budget e nessun attore professionista, ma è girato in modo talmente sincero che rivisto oggi appare come un piccolo capolavoro. Inquadrature lunghe, pesanti e in piano sequenza per catturare ogni attimo di una realtà che sembra distante, ma che invece si è protratta fino ad oggi. La storia di Xiao funziona così benissimo perché è una storia individuale che, minuto dopo minuto, diventa uno spaccato di una situazione sociale sempre più comune. Da riscoprire.

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