MILANO – «Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c’è nel mondo, poso la mia penna. Con permesso, Satoshi Kon». Così ha salutato il mondo per l’ultima volta uno dei registi orientali più talentuosi e geniali dopo aver saputo che un tumore al pancreas terminale l’avrebbe portato via in pochi mesi. Ha salutato ringraziando e facendosi da parte, abbracciato troppo prematuramente dalla morte ma con un senso di gratitudine immenso per ciò che ha vissuto, lavorando fino all’ultimo istante al suo ultimo progetto che non ha mai visto la luce. Dei soli quattro film che ha ideato, disegnato e animato, Paprika – Sognando un sogno (lo trovate su Netflix) è l’ultimo che è uscito ed è anche il vero successo di pubblico e di critica, presentato nel 2006 alla Mostra di Venezia e capace di influenzare il cinema d’animazione per la sua folle struttura tecnica e il cinema hollywoodiano per le sue idee narrative che trascendono gli standard della realtà.
Satoshi Kon con Paprika affronta il complesso scontro cognitivo e ideologico tra realtà e finzione, lo stesso presupposto che ha approfondito anche in Perfect Blue e Millennium Actress, affrontandolo però tramite l’espediente che più si avvicina alla fantasia e all’immaginazione: il concetto di sogno. Il regista giapponese costruisce così una storia che si divide tra il mondo reale e il mondo che si apre solo quando gli occhi vengono chiusi, un futuro non troppo lontano in cui un team di psicoanalisti inventa un piccolo macchinario per entrare nei sogni dei loro pazienti e aiutarli all’interno del loro subconscio per scoprire le problematiche che non riescono a emergere in superficie. È quando però questa tecnologia viene rubata che emerge la sua contradditoria natura etica e la concreta pericolosità delle conseguenze che può causare la possibilità di accedere a qualcosa che trascende la realtà. Molte persone iniziano a impazzire, a vedere i propri sogni mentre sono svegli e a farsi del male senza alcun motivo, chi ha rubato la tecnologia le sta manipolando per connettere tutti allo stesso sogno per portare il mondo intero alla follia.
A indagare e cercare di risolvere questa strana situazione sarà la dottoressa Atsuko Chiba, in cui nel mondo dei sogni si trasforma nel suo alter ego Paprika, che si dovrà tuffare insieme a un suo goffo collega e a un triste poliziotto nel grande sogno che minaccia la stabilità della realtà. L’ossessione verso ciò che trascende la realtà ha inseguito Satoshi Kon fin dai primi manga che ha pubblicato e Paprika, sfortunatamente, chiude un cerchio tematico in maniera brillante e totalmente fuori da ogni logica strutturale e narrativa. Satoshi Kon inserendo il sogno all’interno di un contesto animato riesce a riflettere sul ruolo dell’immaginazione e del suo rapporto con ciò che esiste realmente senza nessun freno, costruendo così un film che supera ogni limite visivo tramite un uso dell’animazione stravagante e fuori schema. Viaggi all’interno di sogni folli, personaggi che attraversano il loro subconscio e viaggiano in quello degli altri, sogni che si intromettono nella realtà fino a riuscire a cambiarla, a plasmarla e ribellarsi.
Un folle viaggio pirotecnico che Kon utilizza come pretesto per mettere in discussione la realtà e il ruolo dell’immagine, il potere che ha il cinema come strumento di trascendenza, uno strumento che come il sogno permette di guardare oltre l’orizzonte conoscitivo. Dentro Paprika il regista giapponese riesce in soli novanta minuti anche a inserire altre importanti analisi sociali. La dicotomia Paprika/Atsuko innesca il tema della maschera, Atsuko trova in Paprika la libertà di essere qualcun altro, la possibilità di fare ciò che un’importante dottoressa non può fare e dall’altro lato una Paprika ancora troppo emotiva e istintiva che trova nella sua controparte reale la maturità che le mancava. Altro tassello importante è il ragionamento che si compie sulla scienza e l’avanzamento tecnologico, specchio delle potenzialità e delle crepe dell’essere umano, incapace di non contaminare ciò che costruisce con il suo lato più oscuro e maligno.
Kon fa emergere lucidamente come ogni avanzamento riesca a causare un passo indietro, come il futuro debba ogni volta scontrarsi e fare i conti con la staticità e l’immobilità dell’essere umano, che non riesce a cambiare e adattarsi a ciò che invece continua a evolversi. Paprika è uno di quei film che dentro di sé ha un valore che trascende lo schermo, da cui è ormai impossibile non accostare all’ultimo atto di un uomo scomparso troppo presto, l’ultima fatica di un regista che ha scritto la storia dell’animazione giapponese, ma il film è talmente magnifico che riesce a staccarsi da tutte queste sovrastrutture ed essere uno di quei progetti che ha lasciato un segno nella storia, di cui esiste un prima e un dopo, perché ciò che Satoshi Kon ha fatto con Paprika e anche con gli altri suoi film è lasciare qualcosa che riesce a cambiare prospettive, a scegliere un’altra strada, ad avere la forza di guardare altrove. Semplicemente a vivere anche dopo la morte.
- ORIENT EXPRESS | Perfect Blue, il capolavoro di Satoshi Kon
- VIDEO | Qui per il trailer dell’anime:
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