ROMA – A Cannes 76 Wim Wenders si è presentato in concorso con il suo miglior film dal 2014 de Il sale della terra sulle gesta fotografiche in bianco-e-nero di Sebastião Salgado. Quel Perfect Days ora in sala con Lucky Red (ve ne abbiamo parlato qui) da intendersi come un’ideale chiusura del cerchio su ammissione dello stesso Wenders: «Abbiamo girato Perfect Days a Tokyo sessant’anni dopo che Yasujirô Ozu ha realizzato il suo ultimo film (Il gusto del sakè) a Tokyo nel 1962. Non è una coincidenza se il nome del nostro protagonista sia Hirayama come molti dei protagonisti del cinema di Ozu». Un omaggio sottinteso al cinema di Ozu che traspare dalle maglie narrative di Perfect Days. Non la prima volta però. Prima c’era Tokyo-Ga (lo trovate su Prime Video) che nel 1985 vide Wenders prendere di petto il cinema di Ozu e di riflesso la cultura giapponese.

Un opus filmico, quello del cineasta nipponico, descritto così da Wenders nel voice-over in apertura di racconto: «Se nel nostro secolo ci fossero ancora cose sacre. Se esistesse qualcosa come il sacro tesoro del cinema, per me questa sarebbe l’opera di Yasujirô Ozu. Ha realizzato 54 film. Muti negli anni Venti. Bianco e nero negli anni Trenta e Quaranta. A colori fino alla sua morte avvenuta il 12 dicembre 1963, giorno del suo sessantesimo compleanno». Un cinema semplice fatto di storie semplici, mezzi ridottissimi e Tokyo come arena scenica composto da immagini pure, utili, vere, in cui ci si possa riconoscere e scoprire qualcosa di sé. Un cinema, quello di Ozu, testimonianza tangibile del declino della famiglia giapponese e con essa dei valori dell’identità nazionale di cui è riproposizione nostalgica dalla portata universale. E qui entra in gioco l’espediente narrativo di Tokyo-Ga.

Parallelamente a una celebrazione a tutto tondo di Ozu e del suo cinema composta da scene di Viaggio a Tokyo che aprono e chiudono la narrazione, un’intervista al feticcio di Ozu, l’attore Chishū Ryū, a proposito della direzione degli attori di Ozu e una al DoP Yuharu Atsuta sull’impostazione della scena, Wenders dispiega un’acuta riflessione socio-antropologico-culturale sul depauperamento della cultura giapponese che a partire dagli anni Settanta si è resa protagonista di una progressiva occidentalizzazione facsimile di usi e consuetudini. Immagini offese, vuote, false, prive di verità, che arricchiscono Tokyo-Ga in un susseguirsi inflazionato di particolari di sandwich di cera, taxi, baseball, Grease, Disneyland, Pachinko e il golf come mero gesto tecnico. Da qui la ratio di Tokyo-Ga concepito da Wenders, più che come il diario di un film, una ricerca dei residui di Ozu e del suo Giappone romantico a vent’anni dalla sua morte.

Il risultato è nessuna. Di ciò che era il Giappone raffigurato nel sacro tesoro del cinema che è stato il cinema di Ozu, resta ben poco se non la nostalgia e i ricordi. Qualcosa che se appare evidente negli anni Ottanta giapponesi filmati da Wenders, figuriamoci oggi, trentotto anni dopo (ironicamente!) Cannes che vide Tokyo-Ga – oggi lo ritrovate in streaming su AppleTV+, Prime Video, CHILI – presentato in concorso nella sezione Un Certain Regard accanto all’altro documentario cinefilo eccellente in salsa nipponico, A.K. di Chris Marker – che in Tokyo-Ga appare in un cameo così come Werner Herzog – incentrato tutto su Kurosawa e la lavorazione del leggendario Ran, testimonianza eccellente di un presente meta-cinematografico divenuto passato storico ma immortale, custodito per sempre nella memoria comune di cinefili e appassionati.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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