MILANO – Astor e gli squali. Astor e le risse in strada. Astor e il bandoneón. Astor e quella grigliata a Punta del Este dove finiscono in fumo partiture intere. Perché? «Todo lo que hiciste ayer es una mierda. Siempre mirá para adelante». Guarda avanti, sempre. Mai indietro. Tutto quello che hai fatto fino a ieri è merda. E allora Astor e El Zorzal, Astor e le provocazioni, Astor e la voglia di sfidare sempre tutto e tutti, Astor e il tango che fa infuriare gli argentini. Ma cos’è precisamente Piazzolla, la rivoluzione del tango di Daniel Rosenfeld, passato al cinema qualche anno fa e ora (purtroppo) sparito completamente dall’orizzonte streaming? Un documentario? Un biopic? Un film musicale? Niente di tutto questo, o forse sì, perché è una poesia declamata a denti stretti, una vita imponente raccontata a colpi di Super 8 (magnifici, sporchi, polverosi, vitali) e aneddoti, con il figlio Daniel che si perde – anche lui, come noi – in mezzo al flusso di un uomo che fu un fiume.
L’impresa era titanica: come rinchiudere dentro un film una figura delle dimensioni di Astor Piazzolla? Un compositore capace di rivoluzionare parte della musica del Novecento, di dirottare il corso di un genere destinato alla tradizione, di far infuriare un Paese intero, la sua Argentina che mai lo perdonò. «Comunista!», gli gridò a un certo punto un tassista di Buenos Aires, rifiutandosi di raccoglierlo al bordo della strada dopo averlo riconosciuto. La sua grande colpa? Aver tradito il tango. Minuto dopo minuto, Piazzolla emerge nitido, dalle registrazioni audio, dai Super 8, dalle parole del figlio, dal suono di quel bandoneón che il padre di Astor si mise in testa dovesse imparare quando ancora era bimbo a New York e papà lavorava per un mafioso italiano come barbiere.
E allora c’era una volta Astor, che a quattordici anni incontra Carlitos Gardel, El Zorzal. Loro due, argentini di Manhattan, con il divo affermato che chiede al ragazzino di seguirlo e lui dice no per un problema familiare. Si salverà la vita: doveva esserci anche lui sull’aereo che il 24 giugno del 1935 si schiantò uccidendo Gardel e consegnandolo alla leggenda. Invece no, invece Astor procede, beffa il destino e va spedito verso «la música del mañana». Finisce anche a suonare in manicomio – e lo racconta bene in un passaggio del film – dove conosce il poeta Jacobo Fijman. Qui si entra anche nella metafisica del tango, dentro qualcosa che non si sente semplicemente con l’uso delle orecchie, ma piuttosto con il cuore, con la pancia, perfino con lo sterno. Perché? Perché lo sterno vibra come uno strumento accordato mai tanto bene.
E poi ci sono i momenti in cui Piazzolla racconta della pesca dello squalo, passaggi epici quasi à la Hemingway, in cui l’uomo e il mito si confondono, lo stesso bandoneón viene paragonato per peso e dimensione proprio al grande pesce, quasi come se Astor – in una visione potente e salvifica – tirasse su dall’acqua squali e tanghi, rivelazioni e suoni, note e pinne. «Las tardecitas de Buenos Aires tienen ese qué sé yo, ¿viste?». Infine, la faccia di Daniel, come quella di un naufrago, smagrito e con la barba, triste e solitario ad osservare i filmini del padre con quel ricordo pesante di quando se ne andò, sfasciando la famiglia e lasciando tutti senza parole. Come faceva sempre. Semplicemente meraviglioso, una visione dolente e bellissima. Come la vita.
- IL TRAILER | Qui il trailer di Piazzolla, la rivoluzione del tango.
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