ROMA – Un uomo solitario e freddo, metodico e libero da scrupoli o rimorsi. Lui, il killer, aspetta nell’ombra, osservando il prossimo bersaglio. Più aspetta però e più gli sembra di perdere la testa. E la sua freddezza. Ritiratosi in Repubblica Dominicana, si vedrà coinvolto in una vicenda personale tra Cuba, Venezuela e gli Stati Uniti che ne metteranno in dubbio le certezze. Parte da qui The Killer, il nuovo progetto di David Fincher con Michael Fassbender, Tilda Swinton e Charles Parnell che dopo il passaggio a Venezia 80 arriva ora su Netflix. Alla Mostra è stata la prima volta per Fincher, a ventiquattro anni dalla proiezione speciale di Fight Club al Lido nel 1999 che lo consacrò all’attenzione del grande pubblico dopo il trionfo di Seven. The Killer arriva ora tre anni dopo il mai troppo celebrato Mank, e da subito è stato oggetto di enorme interesse.

Perché? Beh, soprattutto per come il regista ne ha parlato: «Un noir brutale, elegante e sanguinario che segue un assassino professionista in un mondo che ha perso la bussola morale. L’esempio di un solo uomo, armato fino ai denti e che lentamente discende nella follia». Parole da cui si evince una certa passione da parte di Fincher, parole che trasudano amore vero per il concept. E non è un modo di dire, perché The Killer, tratto dalla graphic novel francese Le Tueur del 1998 ideata e disegnata in dodici volumi da Luc Jacamon e Alexis Nolent, finalmente edita in Italia ora con il titolo The killer. L’integrale: Vol. 1 (Mondadori) racconta vita e tormenti di un assassino senza nome (che scopriremo essere poi Christian) ed è molto più che un semplice concept per il regista americano.

The Killer è il film della vita, quello agognato e inseguito da una carriera intera. Dal 2007 per la precisione. Solo che al tempo non era ancora un progetto Netflix e avrebbe dovuto passare al cinema. In origine infatti l’avrebbe dovuto produrre la Plan B di Brad Pitt con Paramount Pictures in co-produzione e distribuzione globale, all’indomani dell’arrivo in sala di Zodiac, quasi a rappresentarne l’ideale seguito e l’altra faccia della medaglia. Al tempo di The Killer c’era già uno script a firma Alessandro Camon (executive di American Psycho e Thank You for Smoking) ma non andò mai in porto. Fincher infatti preferì lasciar perdere per dedicarsi a Il curioso caso di Benjamin Button lasciando cadere The Killer nel dimenticatoio, fino al 2021.

Quattordici anni dopo rieccolo come parte di quell’accordo quadriennale firmato da Fincher con Netflix nel 2020 su cui si espresse così: «Sì, ho un accordo esclusivo con Netflix che durerà altri quattro anni. E a seconda di come verrà accolto Mank, potrei andare da loro con la coda tra le gambe chiedendogli cosa posso fare per redimermi, oppure rivolgermi a loro con l’atteggiamento dello st***zo arrogante che vuole fare altri film in bianco e nero». Le 10 nomination e i 2 Oscar vinti da Mank hanno fatto il resto e la seconda opzione è evidentemente stata d’obbligo. Stavolta lo script è a firma Andrew Kevin Walker che con Fincher ha già collaborato come sceneggiatore di Se7en e la serie Netflix antologica Love, Death & Robots e script doctor di The Game, Fight Club e Panic Room (in cui fece perfino un cameo).

Un collaboratore di fiducia quindi, specie per una posta in gioco così alta, e non solo per l’importanza del progetto per Fincher. L’attenzione mediatica di The Killer ha infatti ruotato intorno alla presenza scenica di Fassbender. Un coming-back in grandissimo stile, ma non per Fincher: «Sinceramente non lo vedo come un ritorno per lui. Per quanto mi riguarda l’unica ragione per cui non lo si è visto molto in giro di questi tempi è perché ha tutta un’altra carriera oltre a questa. Ci siamo sentiti fortunati ad avere Michael nel cast. Lo volevamo. Senza di lui probabilmente non avremmo mai realizzato The Killer. Le sue sono abilità eccellenti. Michael è uno strumento, riesce a muoversi in un mondo molto limitato e isolato – tangenziale al nostro – ed è in grado di darti qualsiasi sfumatura di colore caratteriale richiesta dal momento scenico».

Manco a dirlo, una prova maiuscola quella di Fassbender che in un attimo spazza via quel periodo di pellicole scialbe e senz’anima in cui era incappato (L’uomo di neve, Assassin’s Creed) – con la sola eccezione del malickiano Song To Song – rispolverandone il talento straordinario. Un riscatto a pieno titolo agevolato dall’impostazione scelta da Fincher che intorno alla sua presenza scenica vi costruisce e carica addosso l’intero racconto. Ed ecco così un thriller atipico popolato di attese, improvvise accelerazioni, respiri, voyeurismi, silenzi esistenziali e suggestioni melvilliane dal ritmo dosato con un Fassbender assassino a pagamento sociopatico e metodico, triste solitario y final, dal volto emaciato e sciupato. Un Frank Costello contemporaneo dalla faccia demonica – carnefice e vittima della propria esistenza desolata – glaciale scrutatore degli uomini e del mondo che riflette sulla vita e le relative complicazioni nel suo voice-over di pensiero costante e continuo.

Una scelta, quella del voiceover, su cui si è espresso così il regista: «Mi piacciono perché ti danno accesso ai monologhi e ai conflitti interni al personaggio. Ma la mia domanda è sempre: Perché sentiamo che quando abbiamo intercettato i pensieri di un personaggio che dicono la verità su di lui quando poi conosciamo molte persone che mentono a sé stesse? Mi piace in The Killer l’idea di un assassino che, per differenziare ciò che fa dagli omicidi seriali, deve, in qualche modo, creare un codice per sé stesso. Mi piace l’idea di quel codice o dei mattoni nel muro che vengono smantellati dai suoi bisogni, le sue necessità, i propri doveri». Da qui il ruolo del mantra ripetuto ossessivamente dall’agente scenico protagonista.

Quel: «Attieniti al piano. Gioca d’anticipo. Non improvvisare. Combatti solo se sei pagato per combattere. Non fidarti. Niente empatia. L’empatia è debolezza. La debolezza è vulnerabilità. A ogni passo del percorso chiediti: io cosa ci guadagno?», la cui valenza in dato assoluto finisce con l’essere progressivamente depauperata lungo il dispiego dell’intreccio di un relativo incerto, fallibile, dove l’agire metodico diventa emotivo e il razionale irrazionale. Non ultime le scelte musicali. Dalla sua infatti The Killer si serve del meglio del meglio degli Smiths di Morrissey (Well I Wonder, Heaven Knows I’m Miserable Now, This Charming Man) come salva-vita emotivo dell’assassino di Fassbender: «Non penso ci sia una library di musica che abbia allo stesso tempo natura sardonica e spirito come quella di Morrissey. Mi piaceva l’idea di usare quelle canzoni come uno strumento per alleviare le ansie del protagonista».

Tutte componenti che finiscono con l’amplificare, a dismisura, la portata filmica di The Killer di cui probabilmente abbiamo appena visto la superficie. Ennesimo tassello della poetica di un Fincher ispirato che del genere crime è ormai maestro, innovatore e demiurgo come dimostrato egregiamente tra Se7en, Zodiac, Gone Girl e Mindhunter, reso leggenda da un Fassbender in stato di grazia (e che presto rivedremo in Chi segna vince di Taika Waititi), pura gioia per gli occhi. Un instant-cult, un film mitologico dal cuore di puro cinema di cui sentiremo parlare ancora a lungo…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film
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