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Roma di Federico Fellini, o di quell’esotico viaggio nella romanità dimenticata

La Capitale immacolata, l’ultimo cameo di Anna Magnani: la genesi di un’opera immortale

Roma di Federico Fellini
Roma di Federico Fellini

MILANO – Poco meno che diciannovenne (li avrebbe compiuti due settimane più tardi) un giovane Federico Fellini mise piede a Roma. Era il gennaio 1939. Ma non era da solo. Nella Capitale ci arrivò con la madre Ida e i due fratelli Riccardo e Maddalena. La famiglia Fellini prese così alloggio in via Albalonga 13, nel rione San Giovanni. Evento di cui, pochi anni più tardi, Fellini rievocò un curioso aneddoto: «La prima cosa che mi capitò fu di prendere uno sputo in testa da tre ragazzi che non si erano neppure ritirati dalla finestra: fu la scoperta del Romano». Ufficialmente si trasferì a Roma per gli studi universitari. Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza de La Sapienza non diede mai un esame: il suo obiettivo era il giornalismo. Collaborò infatti come vignettista per la rivista satirica Marc’Aurelio arrivando perfino a curare una rubrica tutta sua: Storielle di Federico.

Cassandra Peterson in una scena di Roma
Cassandra Peterson in una scena di Roma

E il cinema? Da ragazzo non era solito andarci con frequenza. Non per disinteresse, sia chiaro, più per ragioni economiche. Arrivato a Roma però tutto cambiò. E non solo perché la Golden Age Hollywoodiana mitizzò ai suoi occhi la figura del giornalista investigativo spingendolo indirettamente verso la Capitale. Il giovane Fellini viveva di cinema. Ci andava nel tempo libero e spesso per film abbinati a varietà. Amava del cinema romano soprattutto l’aspetto esperienziale. Quel suo essere «Una sala ribollente di voci e sudori. Le mascherine, le caldarroste, la pipì dei bambini: quell’aria da fine del mondo, di disastro, di retata». Atmosfera calda e colorata, accogliente e grottesca. Microcosmo delle tante facce di una Roma che come città e popolazione Fellini definì come: «Un faccione rossastro che assomiglia ad Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, e ad Anna Magnani. […] Un volto confortante. Piattaforma ideale per voli fantastici».

Il 'colore' di Roma
Il ‘colore’ di Roma

Sentimento di calore genuino che servì da motore ispiratore per una delle opere meno celebrate eppure dal fascino irresistibile: Roma. Presentata (manco a dirlo) nella Capitale il 9 marzo 1972, Fellini ne descrisse l’inerzia come un esotico viaggio nella romanità. Definizione così formulata per via della genesi creativa. Sembrerebbe infatti che una produzione televisiva americana gli avesse proposto un’inchiesta documentaristica su religione e magia tra Brasile e India. Fellini disse si d’istinto per poi pentirsene da pessimo viaggiatore qual era: «I miei itinerari prediletti sono nel triangolo Roma-Ostia-Viterbo. Sto bene qui”. Il ripensamento però fece scattare in lui come una scintilla di illuminazione artistica: «Perciò la mia risposta potrebbe essere: faccio un film su Roma perché vivo a Roma».

L'esotico e l'inatteso di Roma
L’esotico e l’inatteso di Roma

A detta di Fellini infatti non c’era bisogno di viaggiare per cogliere lo strano e l’inatteso: «Le cose vicine possono presentare aspetti sconosciuti. È proprio in casa propria che improvvisamente si rivelano certe crepe misteriose da fissare con occhio sgomento». Mostrare quindi Roma attraverso l’occhio di uno straniero. Quel passo indietro necessario da cui scaturisce una processione fluida, sconnessa, e narrativamente caotica di momenti che tra l’onirico e il magico, l’autobiografico e il meta-cinematografico, vanno a comporre un colorato mosaico di romanità costellato di stravaganza e varietà.

Pia De Doses in una scena di Roma
Pia De Doses in una scena di Roma

Esperienze e suggestioni in un Roma così giocoso e impertinente di cui Fellini racconta la libertà di essere romani di diritto (e non solo di nascita) in un susseguirsi di poetici luoghi comuni e idoli simbolici. Tra questi proprio le parti del faccione rossastro: Alberto Sordi (dal cameo poi tagliato in post-produzione perché ritenuto eccessivo e di cattivo gusto) e Anna Magnani all’ultima apparizione cinematografica. A Nannarella Fellini consegnò l’onere del climax in un cameo prezioso che racchiude in sé l’essenza stessa della formidabile città: lupa e vestale, aristocratica e stracciona, ma soprattutto buffonesca come quell’ironico Nun ‘me fido pronunciato infine dalla Magnani chiudendo il portone in faccia al Fellini-intervistatore.

Federico Fellini e Anna Magnani
Federico Fellini e Anna Magnani sul set di Roma

Sembra comunque che fossero parecchie le sequenze poi tagliate dal montaggio definitivo di Roma: «Volevamo fare una sequenza sulle circolazioni notturne. Una sulla partita Roma-Lazio con un tifoso che ha perso una scommessa e deve immergersi nella fontana di Piazza degli eroi. Soprattutto è rimasta fuori la sequenza del cimitero del Verano: a Roma la morte ha sempre un aspetto familiare». Ciò che resta di Roma però – e a cinquant’anni di distanza è sempre più crescente ed evidente – è l’imperturbabilità del suo ineffabile incantesimo filmico. Un qualcosa di cui Fellini ci mise al corrente attraverso un parallelismo di sapori tematici tra Le notti di Cabiria e Roma. Di norma, alla fine di una lavorazione, Fellini sentiva il tema del film come esausto, logoro: «Dopo aver fatto Le notti di Cabiria mi sembrava assurdo che la passeggiata archeologica fosse ancora lì».

Festa de noantri

Come se l’intero sfondo romano fosse parte delle scenografia di un teatro di posa. Con Roma è come se fosse venuto a mancare questo senso di dissanguamento artistico: «Per questo film provo la strana sensazione di non aver neppure sfiorato l’argomento. La forma non solo non si è logorata, ma neppure è stata intaccata». Roma è come rimasta immacolata al passaggio fellinano su di lei: «L’umanità di quei palazzi che pensavo di aver posseduto mi si sono rivelati del tutto vergini, intatti». Pronta quindi per nuove storie, nuovi film, nuove magie che solo la settima arte è in grado di dare.

Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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