MILANO – Tra gossip, opinioni e critiche feroci, una caratteristica fondamentale della carriera di Mickey Rourke non è mai stata evidenziata: la qualità. Preceduto dalla fama di bello e impossibile, di pugile incompiuto, di mostruoso esempio di chirurgia plastica, il ritorno al grande cinema in The Wrestler e la nuova ondata di popolarità dovuta ai Sin City e a I Mercenari hanno rischiato di oscurare la filmografia di un attore che – negli anni Ottanta – ha avuto il pregio di far convivere un intossicante fascino maschile con interpretazioni tormentate e memorabili. Un esempio? Provate a recuperare oggi un cult come Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola (lo trovate in streaming su Prime e Apple TV a noleggio), dove Rourke era “quello della motocicletta”, figura mitica per il fratello minore Matt Dillon e destinata a una fine drammatica.

E poi pensate, subito dopo, a un altro cult: L’anno del dragone di Michael Cimino, da sempre troppo sottovalutato, praticamente un western-noir avanti anni luce, che anticipa i temi della violenza e del melting pot, ribaltando l’immagine di un’America accogliente e inclusiva. E finora nessuno meglio di Rourke è riuscito a indossare tanto bene i panni di Hank Chinaski, alter ego di Charles Bukowski, dedito alla dissoluzione, all’alcol e alle donne, completamente privo di autostima: recuperate anche Barfly – Moscone da bar di Barbet Schroeder (ma in streaming non esiste), perché è il primo ruolo che rispecchia l’uomo Mickey, autentico e trasparente al punto che verrebbe da pensare si tratti di un film sul suo privato, dimenticandosi che in realtà è un adattamento autobiografico dell’autore americano.

Basta così? No, anzi: andate anche a ricercarvi Angel Heart – Ascensore per l’inferno, tra i migliori lavori di Alan Parker, tra Raymond Chandler e l’horror satanico: oggi sembra un’allegoria della parabola autodistruttiva di Rourke. E che dire del dimentoicato Johnny il bello, firmato Walter Hill (questo potete vederlo in flat su Prime Video), dove è un criminale devastato da malformazioni facciali che, con un nuovo volto e una diversa identità, cerca di rifarsi una vita? Ed era solo il 1989, vent’anni prima del film-confessione di Darren Aronofsky. Vogliamo ribadire l’effetto Rourke sul popolo femminile? Date una sbirciata veloce a Nove settimane e mezzo, per avere una vaga idea di quanto eccitasse le fantasie di Kim Basinger, all’epoca una delle donne più belle del pianeta.

L’oblio personale di Rourke degli anni Novanta è noto a tutti, la sua dissoluzione anche, e la ritrovata fama nel terzo millennio forse è un po’ sospetta, a metà strada tra il rispetto per l’icona del passato e il divertimento per il freak. Poi negli ultimi dieci anni lo abbiamo visto trascinarsi un po’ ovunque, da film di serie B come Bastardi di guerra a fianco di altri reduci anni Ottanta come Dolph Lundgren e Luke Goss alla riscoperta della Marvel (paradosso) in Iron Man 2, fino a The Legion dove appare con una benda sull’occhio e anche a cose più preziose come l’episodio con Toni Garrn in Berlin, I Love You (ve ne avevamo parlato qui in una puntata di Cinetrips).

Eppure, nonostante tutto, nell’attesa di osservarlo diretto da Roman Polanski in The Palace – che sarà a Venezia – serve rivederlo, ancora e ancora, in The Wrestler. Lui, a testa alta, distrutto, affaticato, perdente in quel capolavoro che abbatte le barriere tra finzione e realtà, degno vincitore del Leone d’oro del 2008 (ma a lui fu negata la Coppa Volpi come attore, andata a Silvio Orlando per Il papà di Giovanna di Pupi Avati) e che sempre e per sempre sarà un colpo al cuore: «So quello che faccio e questo è l’unico posto dove non mi faccio del male. Al mondo non gliene frega un cazzo di me». «Ma io sono qui, non significa niente per te?». «Questo è il mio mondo. Devo andare…».
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- VIDEO | Qui Mickey Rourke nel trailer di The Palace di Polanski:
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