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Michael C. Hall: «Io, Dexter e quella volta che David Bowie mi chiese di cantare…»

Da Six Feet Under alla nuova serie Safe: l’attore americano racconta le tappe della sua carriera

Michael C. Hall a Cannes durante l'incontro con la stampa.

CANNES – Da becchino a serial killer: i ruoli dark di Michael C. Hall sembrano seguire una logica ben precisa e la tradizione prosegue anche con Safe, nuova serie targata Neflix e presentata in anteprima al Cannes International Series Festival, disponibile probabilmente dal 10 maggio sulla piattaforma streaming. Questa volta l’attore americano interpreta il padre di una ragazzina scomparsa e chissà non si ritrovi di nuovo faccia a faccia con la morte, suo malgrado. Disinvolto e dotato di un sorprendente senso dell’umorismo, dal vivo Hall non incute la stessa soggezione dei suoi alter ego televisivi, anzi. Tranne, ovviamente, quando alza il sopracciglio con aria dubbiosa: in quel caso scatta l’istinto di sopravvivenza e viene voglia di prendere la via d’uscita più vicina.

Michael C.Hall con Amanda Abbington in Safe.

SAFE «Partiamo dalla nuova serie, Safe, per me uno dei set più gioiosi su cui sia mai stato: ridere ci aiutava ad allentare la tensione dei temi affrontati. Ho accettato il ruolo perché stavolta sono una persona normale circondata da situazioni assurde. Insomma, una volta tanto non è colpa del mio personaggio. E mi hanno anche permesso di esercitarmi con l’accento britannico. Recitare è terapeutico perché permette di sperimentare cose che nella vita non farei mai – perché troppo pericolose – e di rielaborare esperienze traumatiche, come la morte di mio padre».

SIX FEET UNDER «Una serie che resterà sempre nel mio cuore perché fu il primo ruolo importante. Quando è finita ho pensato: «Ecco, non troverò mai nient’altro di tanto speciale, ho toccato l’apice della carriera». Non pensavo di tornare in TV, invece subito dopo è arrivato Dexter e ora ecco Safe, con la parentesi di The Crown. All’epoca di Six Feet Under, ancora le serie non mescolavano comedy e drama come invece fece Alan Ball, che dimostrò che persino il momento più buio della vita può essere affrontato con una buonda dose d’umorismo».

Con Peter Krause in Six Feet Under. Era il 2002.

L’ATTORE PREFERITO «Ho sempre ammirato l’Incredibile Hulk, fin da quando ero un bambino e, secondo me, Dexter è una sorta di sua versione contemporanea, quindi interpretandolo ho esaudito un mio desiderio. All’epoca però di idoli ne avevo tanti, da Robert Duvall a Gene Wilder, che mi ha fatto sognare con Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato. Credo che sia anche merito loro se poi ho deciso di fare questo mestiere».

Hall in un altro momento dell’incontro.

DAVID BOWIE «Il momento più emozionante della mia carriera? Me lo ha regalato David Bowie, che ho interpretato nel musical Lazarus. Era sempre con noi alle prove ed era presente anche alla prima. È morto una settimana e mezzo prima che finissimo. Uno shock. In alcuni momenti mi sembrava si fosse autoesiliato, come Dexter, aspettando la morte. Non si comportava come una star e un giorno, senza che me ne accorgessi, mi si è avvicinato mentre mi esibivo. Si è messo a suonare e mi ha detto: «Canta la canzone per me». Alla fine mi sono reso conto che mi stava facendo da corista, aveva gli occhi chiusi e si gustava il momento. Che regalo immenso».

Hall con Bowie alla prima di Lazarus, 2015.

IO E DEXTER «Dexter e Dave di Six Feet Under hanno molto in comune, non solo perché sono circondati dalla morte. Entrambi hanno un rapporto complicato col padre e posso capirli, perché io ho perso il mio da ragazzo. Entrambi i personaggi mi hanno insegnato tanto e per diventare Dexter mi sono anche messo a seguire uno sconosciuto a New York, per strada, di notte, appena uscito da un bar. Non che gli sia entrato in casa o lo abbia smembrato, per carità, ma ho capito quanto sia facile perché in una metropoli nessuno presta la minima attenzione a nulla».

Con John Lightow in Dexter, 2009.

LO SPIN-OFF «Non saprei come far tornare in scena Dexter: il capitolo finale è come me lo sono sempre immaginato e come si sapeva già dalla fine della settima stagione. Se mi piacerebbe rivederlo? Forse, non lo so. Aspetto l’idea giusta, ma comunque ci è voluto del tempo per de-dexterizzarmi. Una parte del mio cervello sapeva che quelle cose orribili erano frutto di finzione, ma un’altra credo ne fosse intossicata. Per certi versi è stato liberatorio: Dexter non si è mai preoccupato di essere autentico, viveva barricato dietro ad una facciata…»

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