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Guy Davidi: «Innocence, le contraddizioni di Israele e quelle parole di Jonathan Glazer»

L’esercito, le storie, ma anche Gaza e il 7 ottobre: il regista racconta a Hot Corn il suo documentario

Guy Davidi
Guy Davidi in un bello scatto firmato da Stine Heilmann.

ROMA – Se c’è una voce fuori dal coro, capace di rimanere lucida anche in momenti terribili come questo è quella di Guy Davidi, regista israeliano che nel 2012 fu candidato all’Oscar con Emad Burnat e 5 Broken Cameras – che potete vedere in streaming qui – e che ora è in sala con Innocence, documentario distribuito da Bloom Distribuzione in cui il regista ha raccolto le storie di ragazze e ragazzi che hanno cercato, senza riuscirci, di resistere all’arruolamento nell’esercito per poi suicidarsi. Presentato nel 2022 alla Mostra di Venezia, Innocence è un durissimo atto di accusa contro le politiche di Israele che educano al culto delle armi e della guerra fin dall’infanzia. Un film sconvolgente – soprattutto in un momento in cui i morti a Gaza per mano dell’esercito israeliano sono ormai più di 30mila – di cui abbiamo discusso proprio con Davidi, che ha anche commentato le parole di Jonathan Glazer dopo l’Oscar vinto per La zona d’interesse.

Un’immagine di Innocence, il documentario di Guy Davidi.

L’IDEA – «Mentre stavo montando 5 Broken Cameras – più o meno dodici anni fa – ho iniziato a pensare a quanto mi piacesse lavorare attraverso doppiaggi e narrazioni. Così mi venne in mente di provare a raccontare alcune storie di soldati che si erano arruolati nell’esercito israeliano contro la propria coscienza, in particolare le vicende di quelli che poi si erano suicidati. Pensai che avrei potuto creare un film interamente basato su diari e lettere che avevano lasciato per creare una storia che mettesse in luce cosa esattamente li avesse portati a quella decisione drastica. Ovviamente era una vicenda collegata anche alla mia storia personale: quando avevo diciotto anni non volevo diventare un soldato. Non ero così politicamente consapevole, ma sapevo dai miei anni di scuola superiore che odiavo la propaganda. Odiavo essere portato ai memoriali per ascoltare quel lavaggio del cervello, così ho sviluppato un risentimento verso tutto ciò che fosse militare. Non volevo tenere un’arma in nome di qualcosa che non accettavo. Questo era molto chiaro…».

Uno scatto emblematico di Innocence.

IL SERVIZIO MILITARE – «Ovviamente non è stato un processo facile evitare il servizio militare dato che in Israele è obbligatorio. Ero stato classificato come combattente, ma visto che avevo perso mio padre quando ero giovane, sono riuscito ad evitare di finire nella leva proprio come soldato. Avevo studiato cinema al liceo, così feci domanda per l’unità di documentazione militare, sperando di essere posizionato. Dopo pochi giorni mi sono reso conto di quanto fosse un errore essere lì. Mi sono arruolato a diciotto anni, come tutti gli altri, ed è stato uno shock. La mia esperienza è stata capire che l’esercito è un luogo corrotto, dove sei trattato come spazzatura. Ti insegnano a rubare per la prima volta, in un tentativo continuo di distruggere l’identità e i valori della persona. Già nella prima settimana di addestramento ho iniziato a sentirmi depresso. Quando è arrivato il momento della pratica di tiro, ero incapace.

Guy Davidi
Un altro momento del documentario.

Ricordo gli spari sui campi e le mie lacrime. Solo il pensiero di toccare l’arma mi disgustava. Ho iniziato a chiedere di vedere uno psicologo e di essere congedato, l’unico modo per uscirne senza finire in prigione. Sono arrivato ad un punto in cui ho parlato di suicidio e lo psicologo ha scrollato le spalle. Così gli dissi: “Ricorda che il mio sangue scorrerà sulle tue mani”. Sono scomparso per alcune ore con la mia pistola, ma solo dopo tre mesi di pressioni sono stato congedato per motivi di salute mentale. È stato un processo molto difficile e umiliante. Così quando ho pensato di girare Innocence ho pensato dovesse essere un film che aiutasse gli spettatori a capire perché evitare il servizio in Israele è così difficile e a che tipo di pressione sei sottoposto».

Il regista Guy Davidi.

LE STORIE – «Come ho scelto le storie di Innocence? Ogni casting ha una storia diversa. Con il bambino di quattro anni, Zohar, sono andato a cercare negli asili vicino al confine di Gaza. Volevo vedere cosa significa vivere così vicino alla guerra e volevo anche girare nei kibbutz dove il militarismo ha radici profonde pur facendo parte dell’ala di sinistra. Ho filmato i bambini e mi sono legato a Zohar, perché ha uno spirito libero e un modo forte di esprimersi ed è così dolce e vulnerabile. Lo ami immediatamente. Quando ho scelto Ella, la bambina, ho fatto lo stesso, ma ciò che mi ha convinto a sceglierla è stato scoprire il suo amore per l’equitazione. Si collegava bene ai testi che avevo di Ron Adler sui cavalli. Il processo con i soldati morti è stato molto diverso, ovviamente. Ho cercato molte storie, ho coperto le vicende di più di 700 soldati suicidi. Mi ci sono voluti dieci anni per fare il film e una grande parte del tempo è stata proprio ottenere tutti i diari e i testi e poi selezionare le storie. Il percorso è stato duro perché ho dovuto affrontare i genitori di quei ragazzi. Il loro senso di colpa, la vergogna e la negazione. Una madre mi ha detto che ha smesso di leggere il diario del figlio perché era come una bomba che poteva ucciderla. Molti genitori negavano il suicidio, alcuni lo accettavano ma lo inserivano in un altro contesto, magari problemi mentali, ad esempio, anche se quei diari mostravano chiaramente che le ragioni erano legate al servizio militare».

Uno dei piccoli protagonisti di Innocence.

GAZA – «Ho girato Innocence in molti dei luoghi colpiti da Hamas il 7 ottobre e conoscevo molti bambini di quelle zone. All’inizio temevo di chiedere informazioni perché avevo paura anche di mettere in pericolo le loro vite. Lior Waitzman, un giovane padre che ha fatto anche da sound editor del film è stato ucciso mentre era sulla sua bicicletta. Un’altra componente del cast, mamma di tre bambini, è rimasta chiusa in casa per ore e si è salvata. Qualche giorno dopo fortunatamente ho scoperto che quasi tutti i bambini che si vedono nel film si erano salvati, ma la comunità che si vede in Innocence è totalmente distrutta. La maggior parte di loro vive ancora in hotel e uno dei bimbi che appaiono nel film è stato ucciso assieme alla famiglia. È stato un trauma, ma sapevo che poi sarebbe accaduto qualcosa di terribile anche ai bambini di Gaza. L’esercito israeliano voleva sangue e i bambini sono sempre i primi a pagare il prezzo. Ma il 7 ottobre non è stata una vera sorpresa, era una cosa che io avvertivo da anni. In molti si sono arrabbiati perché Innocence è un film senza speranza, un documentario pessimista, ma per me sarebbe stato falso fare il contrario. Non vedo speranza, solo oscurità. Ho vissuto nell’oscurità per parecchio tempo e ora forse il mondo credo capisca meglio quella sensazione. A livello politico, questi eventi sono solo un’altra prova di quanto disfunzionale sia Israele e di quanto sia pericoloso negare l’oppressione e la sofferenza dei propri vicini…».

Una scena di 5 Broken Cameras, documentario di Davidi candidato all’Oscar.

IO & GLAZER – «Cosa penso delle parole di Jonathan Glazer agli Oscar? Dovete sapere che gli israeliani guardano agli israeliani e agli ebrei come ad un club chiuso. E le regole di questo club sono che devi essere sempre leale alla tua tribù. L’interesse di Israele è incoraggiare l’idea che Israele sia la casa di ogni ebreo. Ma questo ovviamente serve anche per il loro potere politico. Penso che ciò che ha fatto Jonathan spaventi veramente i politici israeliani perché significa tagliare loro una fonte importante di influenza e potere. L’ho visto io stesso quando sono stato nominato all’Oscar nel 2012 come miglior documentario per 5 Broken Cameras. All’improvviso il governo israeliano si è preoccupato talmente tanto che il mio film vincesse, che lo stesso Netanyahu ha contattato i suoi amici a Hollywood per vedere cosa potesse fare per evitare che il film prendesse l’Oscar. Ma noto questa cosa ogni volta che cerco di distribuire i miei film negli Stati Uniti. Mi dicono sempre: «Ci piace il tuo film, ci piacerebbe farlo vedere in America, ma non possiamo…».

  • VIDEO | Qui il trailer di Innocence:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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