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Kill Bill e di quando Quentin Tarantino ha riscritto l’epica moderna

Uma Thurman, Pulp Fiction, e quella tuta giallo-nera che ha fatto la storia del cinema

Kill Bill e l'epica secondo Tarantino
Kill Bill e l'epica secondo Tarantino

ROMA – La tuta giallo-nera, gli 88 Folli, Hattori Hanzo e Pai Mei, la mimica di Uma Thurman. Se volessimo provare a definire Kill Bill Volume 1-2 di Quentin Tarantino – il dittico più famoso della storia del cinema contemporaneo – attraverso una parola, un aggettivo, questa sarebbe senz’altro: mitico. La più pura e giocosa espressione del suo cinefilo estro creativo da sempre inteso dall’Autore come un prezioso spartiacque. Nel cinema di Tarantino esiste infatti un prima e un dopo Kill Bill in cui cambia nettamente l’inerzia della sua produzione filmica: «I miei film abitano in due mondi differenti. Uno è l’universo del Quentin di Pulp Fiction e Jackie Brown, esagerati ma più o meno realistici. L’altro è l’universo del Film. Quando i personaggi dell’universo di Quentin vanno al cinema, vanno a vedere roba ambientata nell’universo del Film. Sono cioè delle finestre su quel mondo».

Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.1
Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.1

«Kill Bill è il primo film ambientato nel Mondo del Film, in cui le convenzioni e i cliché cinematografici vengono abbracciati in maniera quasi feticista, al contrario del mondo di Pulp Fiction, in cui la realtà si scontra con le convenzioni filmiche», così Tarantino nel tracciare una linea guida nel continuum del suo cinema dove, in buona sostanza, se Pulp Fiction siamo noi nell’atto di guardare il film, Kill Bill è quel film. Tarantino rompe così la parete del buio della sala per portarci direttamente nel suo mondo filmico fatto di citazioni e narrazioni suggestive, processo di cui vedremo poi gli sviluppi artistici tra Grindhouse e C’era una volta… a Hollywood. Esiste però anche uno specifico legame tra i due volumi di Kill Bill, un dittico epico dalla ratio ben definita: «Nel Vol.1 ci sono le domande, nel Vol.2 le risposte. I due film sono diversi tra loro».

Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.1
Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.1

«Il primo film crea l’intelaiatura che fa da supporto anche al secondo film. La protagonista si vendica di cinque persone che l’hanno ferita. Ha segnato i loro nomi su una lista e li elimina uno alla volta. Ecco l’essenza della storia. Potrei impreziosirla con altri spunti, ma non sarebbe onesto. Non sopporto quel genere di film. Eliminiamo gli elementi superflui e troviamo il coraggio di raccontare un film di vendetta». Kill Bill però esisteva già nel cinema di Tarantino. Viveva lì, sottotraccia, nella linea dialogica della backstory relativa al passato da attrice di Mia Wallace/Uma Thurman in Pulp Fiction. Era infatti la base del pilot televisivo della fittizia Fox Force 5:«C’era una bionda, Sunset O’Neil, lei era il capo. La volpina giapponese era una maestra di arti marziali. Alla ragazza nera toccavano le demolizioni, era un’esperta. La volpina francese aveva una specialità: il sesso».

Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.2

«Il mio personaggio, Raven McCoy, era la donna più pericolosa del mondo con un coltello». Da Raven a Sposa, va così a configurarsi il primo esempio di film del mondo dei film e di un cinema fatto di particolari e dettagli dove nulla viene lasciato al caso. Come le citazioni. Una miscellanea di elementi che vanno a compenetrare il tessuto narrativo tra Kung-fu e Yakuza movies, Jidai-geki e Spaghetti-Western opportunamente divisi tra il sapore orientale di Vol.1 e quello più Western di Vol.2. nonché l’intero concept il cui telaio drammaturgico vive dell’impareggiabile mash-up di vendetta filmica al femminile tra La sposa in nero di François Truffaut del 1968 e Lady Snowblood di Toshiya Fujita del 1973. Poi ci sono le suggestioni testuali, come quella Sposa senza nome che fa il pari con il leoniano Uomo senza nome, o il suono compenetrante che annuncia l’arrivo di una minaccia imminente di Ironside.

Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.2

E ancora la tuta giallo-nera sulla scia de L’ultimo combattimento di Chen di Bruce Lee del 1978, la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque dita rievocante il semi-omonimo film (Cinque dita di violenza) di Chang-hwa Jeong del 1972, il casting di Sonny Chiba/Hattori Hanzo e Gordon Liu/Pei Mei, pionieri del cinema da combattimento tra Karate Kiba di Ryuichi Takamori e Simon Nuchtern del 1976 e la 36° camera dello Shaolin di Chia-Liang Liu del 1978, sino alle suggestioni di immagine tra l’apertura di racconto di Kill Bill Vol.2 rievocatrice del climax del capolavoro Western di John Ford, Sentieri selvaggi del 1956, e la sequenza dove la Sposa viene sepolta viva da Budd/Michael Madsen. Frammento narrativo suggestivo, sulle note del tema musicale de Il mercenario di Sergio Corbucci del 1968, fatto vivere da Tarantino in una regia claustrofobica dal ritmo serrato la cui riemersione diventa rinascita al sapore di horror romeriano.

Uma Thurman e Gordon Liu in una scena di Kill Bill Vol.2
Uma Thurman e Gordon Liu in una scena di Kill Bill Vol.2

Nel mezzo prende forma la rilettura tarantinana del topos della vendetta – in questo caso d’amore – nell’abbattimento di una dipendenza relazionale tossica fatta d’amicizia, manipolazione, sadismo e possessione, a cui Tarantino cuce addosso un prodigioso viaggio dell’eroe/eroina reso immortale dalla forma di un dittico epico la cui a-linearità episodica diventa super-potenziamento degli intenti narrativi inaugurati ne Le iene e cementificati in Pulp Fiction. Lungo il dispiego dell’intreccio in cui assistiamo alla ricostruzione morfologica e semantica della dimensione caratteriale della Sposa nel doppio ruolo di madre e guerriera infatti, Tarantino gioca con i tempi narrativi e il ritmo dell’epica attraverso caratterizzazioni fumettose dei villain e una graduale ma marcata destrutturazione del racconto. Tra passato e presente, la narrazione di Kill Bill vede dissacranti teorizzazioni sul valore del guerriero a bordo della Pussy Wagon e sull’alta sacralità del combattimento, qui declinato in un inusuale regolamento di conti tra cereali e caffè.

Uma Thurman e Lucy Liu in una scena di Kill Bill Vol.1
Uma Thurman e Lucy Liu in una scena di Kill Bill Vol.1

Ma soprattutto in quell’epico e leggendario final-showdown al ristorante la Casa dalle foglie blu – la scena madre del dittico Kill Bill e senz’altro la più iconica – con cui da cui dar vita ad un grandioso momento di cinema tra ombre cinesi con cui sfuggire alla censura, colori desaturati, regia fluida, acrobazie da sogno e quei pazzeschi 88 Folli a cui la Settima Arte ha destinato loro un posto speciale nella memoria dell’immaginario collettivo. Forte del suo quasi ventennale retaggio (Vol.2 fu presentato al Festival di Cannes il 16 maggio 2004) popolato della suggestione nostalgica di un Kill Bill Vol.3 sempre più inevitabile e spontaneo vista l’ascesa di Maya Hawke, della succosa e mai commercializzata versione per intero dal minutaggio monstre di oltre 4 ore (Kill Bill – The Whole Bloody Affair), e di quella tuta giallo-nera ormai cult, Kill Bill è l’apogeo del Primo Tarantino.

Uma Thurman in una scena di Kill Bill Vol.1

Se infatti Pulp Fiction rappresenta, per certi versi, la consapevolezza di valore della propria visione, Kill Bill ne è il consolidamento. Per una fase creativa costellata di giocose a-linearità e riletture ironiche di topos filmici per il semplice gusto di realizzare solidi intrecci dalle trovate narrative sempre più colorite. Di lì in avanti, tra il (falso) dittico Spaghetti-Western (Django Unchained, The Hateful Eight) di due progetti nati come esplicitamente complementari per poi vivere di vita propria sempre nel segno del cinema di Sergio Corbucci (Django/Il grande silenzio), e la trilogia del revisionismo storico (Bastardi senza gloria, Django Unchained, C’era una volta a… Hollywood) dalle nobili ucronie, Tarantino perderà parte della sua freschezza in favore di un cinema più maturo e corposo, ma dal tocco artistico sempre riconoscibile, suo, e per questo unico.

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