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Il Mostro della Laguna Nera | Jack Arnold e i settant’anni di un classico da riscoprire

Julie Adams, La forma dell’acqua, William Alland e quella cena con Welles. Rileggere una leggenda

Il Gill-Man di Ricou Browning e Ben Chapman al centro della scena de Il mostro della laguna nera, un film di Jack Arnold del 1954
Il Gill-Man di Ricou Browning e Ben Chapman al centro della scena de Il mostro della laguna nera, un film di Jack Arnold del 1954

ROMA – A Hollywood, William Alland era conosciuto principalmente come produttore di b-movies di carattere come Alba di fuoco, Cittadino dello spazio, Rancho Bravo, Taranola! e I desperados della frontiera (che vi abbiamo raccontato qui), per citarne alcuni. Quello che forse non tutti sanno però, è che Alland ebbe anche un breve passato da attore. Appena sei apparizioni, ma una decisamente memorabile. Era lui, infatti, l’indimenticato reporter Jerry Thompson di Quarto potere di Orson Welles, ovvero il motore del racconto di quel film, il pretesto narrativo da cui far partire il ritratto filmico di Charles Foster Kane. Che ci si possa credere o meno, il viaggio di Il mostro della laguna nera di Jack Arnold del 1954, parte proprio da qui. Precisamente da una cena tenutasi durante le riprese del film di Welles.

Il mostro della laguna nera di Jack Arnold fu presentato in terra statunitense il 12 febbraio 1954
Il mostro della laguna nera di Jack Arnold fu presentato in terra statunitense il 12 febbraio 1954

A quella cena c’era anche il DoP messicano Gabriel Figueroa (collaboratore storico di Emilio Fernández e Luis Buñuel nda) che raccontò a Alland la leggenda metropolitana di degli strani uomini-pesce che abitavano il Rio delle Amazzoni. Alland ne rimase strabiliato, al punto da appuntarsela quell’idea. Dieci anni dopo da quella cena, nel 1951, produsse i contorni di una storia dal titolo emblematico (The Sea Monster) basata sull’impronta narrativa de La Bella e la Bestia, fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont del 1756, a quel tempo riportata in auge dall’adattamento cinematografico di Jean Cocteau del 1946. Nel dicembre successivo Maurice Zimm lo rese un trattamento, per poi affidarlo alle mani di Harry Essex e Arthur A. Ross che ne affinarono le componenti fino a rendere lo script de Il mostro della laguna nera per come oggi è arrivato a noi.

Un momento del climax de Il mostro della laguna nera
Un momento del climax de Il mostro della laguna nera

Per la regia ai piani alti della Universal-International si fece subito il nome di quel Jack Arnold fresco del successo de La maschera di cera del 1953, abile a padroneggiare la tecnica del 3D, e per una ragione ben precisa: «Nessuno a quel tempo era un esperto nel realizzare film di fantascienza, quindi affermavo di esserlo. Non lo ero, ovviamente, ma lo studio non lo sapeva. Nella maggior parte dei miei film ho cercato di creare un’atmosfera perché penso che se giri un film fantasioso – un film in cui chiedi al pubblico di credere a cose bizzarre – devi farglielo credere. E non puoi farlo solo con la storie o con gli attori, serve un’atmosfera durante le riprese in cui la credibilità del pubblico sarà sospesa al punto che non si dirà: no, è impossibile!».

Una scena del film
Una scena del film

Da qui l’intuizione al centro del concept: «Si basa sulla paura di base che le persone hanno riguardo a ciò che potrebbe nascondersi sotto la superficie di qualsiasi specchio d’acqua. Conosci la sensazione quando stai nuotando e qualcosa ti sfiora le gambe laggiù, ti spaventa a morte se non sai cos’è. È la paura dell’ignoto. Ho deciso di sfruttare questa paura il più possibile ne Il mostro della laguna nera», e con essa giocarne registicamente. Il mostro, infatti, il Gill-Man (uomo branchia lett.), viene fatto vivere da Arnold di deduzione e piccoli espedienti lungo tutto il primo e quasi metà del secondo atto. Su di essi il regista calibra incisivi (e senza tempo nda) jump-scare capaci di inchiodare alla poltrona anche il più irriducibile degli spettatori, per poi mostrarcelo infine, in tutta la sua bellezza squamosa.

Il mostro della laguna nera: la fantascienza sociale lascia il posto a un dialogo serrato tra uomo e natura, noto e ignoto, ma non solo...
Il mostro della laguna nera: un dialogo serrato tra uomo e natura, noto e ignoto, ma non solo…

E poi la narrazione de Il mostro della laguna nera, che parte da una suggestiva sequenza d’apertura scientifica in perfetto bilico intellettivo tra evoluzionismo e creazionismo per poi proiettarsi dritta nel futuro: l’alba dei tempi e l’avvenire dell’uomo. Un momento filmico del suo tempo, quell’epoca visionaria della metà degli anni Cinquanta di benessere e innovazione in cui si immaginava il nostro tempo come fatto di viaggi spaziali e macchine volanti. Da qui, Arnold costruisce un racconto d’avventura e mistero che pur appartenendo alla fantascienza sociale e contaminato di topos ed espedienti del cinema d’orrore (largo uso di soggettive per innalzare la tensione scenica, contesto narrativo ridotto e claustrofobico), non vive, in verità, di una forte e radicata anima politica. Questa viene lasciata sullo sfondo da Arnold, preferendovi una serrata dialettica tra uomo e natura, noto e ignoto.

Julia Adams e Richard Carlson in un momento de Il mostro della laguna nera
Julia Adams e Richard Carlson in un momento de Il mostro della laguna nera

C’è romanticismo invece, come quello tra Kay (Julia Adams) e David (Richard Carlson). Una dinamica amorosa classica e convenzionale, eroica, tipica del cinema moderno americano, dell’uomo/agente di movimento e d’azione e la donna/damigella da salvare. Poi però – ed è qui che entra in gioco l’innovazione, il colore e l’immortalità artistica de Il mostro della laguna nera – c’è quella tra il Gill-Man e la stessa Kay. Un’attrazione magnetica, viscerale, un po’ La Bella e la Bestia – è vero – ma anche un po’ King Kong, in quel continuo rincorrerla e acciuffarla, frutto di desiderio, istinto primordiale e adorazione incondizionata, tra nuotate sincronizzate e timorosi approcci. Sino al climax, con la cattura, in una discesa nelle grotte fatta di silenzi e poesia, in attesa della resa dei conti.

I panni di Gill-Man furono divisi tra Ben Chapman e Ricou Browning
I panni di Gill-Man furono divisi tra Ben Chapman e Ricou Browning

Un’opera strabiliante, Il mostro della laguna nera, fatta di azione, dolcezza, amore e orrore, su ammissione della stessa Adams che sentiva di provare vera empatia verso il mostro: «C’era sempre come un sentimento di compassione per lui. Penso che riuscisse a toccare qualcosa dentro di noi, forse le parti più oscure di noi stessi, quelle per cui desideriamo essere amati e pensiamo che in realtà non potremo mai essere amati…». Non a caso, tra i film del cuore di Stephen King, Ingmar Bergman, ma soprattutto di Guillermo del Toro che nel 2002 provò a girare un remake dal punto di vista di Gill-Man. Il progetto non andò mai in porto, ma quell’idea gli rimase in testa fino a dar vita, quindici anni dopo, a La forma dell’acqua: vincitore del Leone d’Oro a Venezia 74 e dell’Oscar al Miglior film 2018.

«Incapace di percepire la tua forma, ti trovo ovunque intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi con il tuo amore, il mio cuore si fa piccolo, perché tu sei ovunque» (La forma dell'acqua)
«Incapace di percepire la tua forma, ti trovo ovunque intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi con il tuo amore. Il mio cuore si fa piccolo, perché tu sei ovunque.» (La forma dell’acqua)

Su diretta ammissione di del Toro, l’obiettivo de La forma dell’acqua era quello di vedere finalmente realizzato il desiderio di Gill-Man verso Kay traslandolo nell’unione insolita e poetica dell’Uomo Anfibio (Doug Jones) ed Elisa (Sally Hawkins) fatta di comprensione e amore incondizionato capace di andare oltre squame, scaglie e barriere biologiche. Una fiaba moderna nata con una ragione ben precisa: «L’acqua prende la forma di tutto ciò che la contiene in quel momento e, anche se l’acqua può essere così delicata, resta anche la forza più potente e malleabile dell’universo. Vale anche per l’amore, non è vero? Non importa verso cosa lo rivolgiamo, l’amore resta sé stesso sia verso un uomo, una donna o una creatura…». In ogni caso, del Toro non fu di certo l’unico che negli anni abbia provato a realizzare un remake de Il mostro della laguna nera.

Nei cinema italiani Il mostro della laguna nera è stato distribuito il 14 settembre 1954
Nei cinema italiani Il mostro della laguna nera è stato distribuito il 14 settembre 1954

Nel 1982, infatti, fu John Landis ad accarezzare l’idea di un remake in 3D del film. Alla regia? Ovviamente l’allora sessantaseienne Arnold, con lo sceneggiatore Nigel Kneale a occuparsi dello script. Il concept avrebbe riguardato una coppia di creature, una distruttiva e l’altra più pacifica e sensibile, a cui la Marina degli Stati Uniti avrebbe dato la caccia. La contemporanea uscita in sala de Lo Squalo 3-D spinse la Universal a non proseguire in quella direzione. Nei vent’anni successivi ci provarono, nell’ordine: John Carpenter, Peter Jackson, Ivan Reitman, Gary Ross, Breck Eisner, Carl Erik Rinsch e James Gunn. Tutti affascinati da quell’impareggiabile mistura chimica resa in immagini in movimento che hanno finito con il rendere Il mostro della laguna nera un film immortale dal fascino inscalfibile, oggi come ieri, settant’anni dopo.

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