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Ultimatum alla Terra | Klaatu, il racconto di Harry Bates e quel messaggio di pace

Patricia Neal, l’ispirazione di Reagan e una frase cult. Come riscoprire in streaming il classico del 1951

Ultimatum alla Terra
Una delle molte scene cult di Ultimatum alla Terra.

ROMA – «Klaatu, Barada, Nikto». Al pari di «che la Forza sia con te» della saga di Star Wars non esistono forse parole più dolci per gli appassionati di fantascienza. La storia della celebre frase risale a molto lontano. Precisamente al 1951. Decade in cui il cinema fantascientifico era ben lontano dal genere blockbuster che tutti conosciamo risultando, piuttosto, un’unità narrativa alla stregua del B-movie dai marcati lineamenti allegorici con cui trattare la quotidianità e il contesto storico-sociale di riferimento. È da qui che parte il nostro Longform (qui trovate le altre puntate) e il nostro viaggio di Ultimatum alla terra di Robert Wise che segnò forse l’inizio della prima, grande, vita della fantascienza filmica nota anche come fantascienza sociale. Certo, se poi pensiamo un attimo al capostipite del genere non può che essere l’intramontabile Metropolis.

Ultimatum alla Terra di Robert Wise fu presentato a New York il 18 settembre 1951
Ultimatum alla Terra di Robert Wise fu presentato a New York il 18 settembre 1951

L’opera di Fritz Lang del 1927 – ispirazione eccellente di opere come Blade Runner e Akira – da intendersi, in ogni caso, come un caso isolato per l’epoca di riferimento oltre che per lo stesso Espressionismo tedesco. Ci vorranno poco meno di trent’anni per tornare a masticare fantascienza, parlerà inglese-americano e saprà veicolare messaggi politici in difesa della più grande nazione del mondo libero, o così piaceva pensare ad Hollywood. La storia di Ultimatum alla terra parte in realtà dal 1949, anno in cui Julian Baustein, produttore della 20th Century Fox, s’interessò ad un racconto breve di Harry Bates del 1940 dal titolo Addio al padrone con cui denunciare l’ottusità del genere umano dinanzi al rifiuto della pace.

Michael Rennie in una scena di Ultimatum alla Terra
Michael Rennie è l’alieno Klaatu

In fondo, se ci pensiamo un attimo, era un periodo storico-sociale tutt’altro che pacifico. L’America era nel pieno del Secondo Dopoguerra e, nonostante il suo status di vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, nulla lasciava intendere che le cose si fossero rasserenate sul fronte occidentale. Oltreoceano lo spettro della Guerra Fredda e la Paura dell’Atomica generarono panico e divisione, cosa che andrà a sfociare, infine, nella Caccia alle streghe comuniste del Maccartismo. Tutti elementi perfettamente inquadrati dallo script di Ultimatum alla terra redatto da Edmund H. North e Raymond F. Jones, seppur riletti secondo un’inerzia allegoricamente aliena. Il successo di Uomini sulla luna del 1950, fece il resto, convincendo infine Darryl F. Zanuck a dare il via al progetto. Nonostante il successo e i nobili scopi valoriali però, la ratio narrativa alla base di Ultimatum alla terra aveva poco a che vedere con l’opera originaria.

Ultimatum alla Terra è ispirato ad Addio al padrone, racconto breve di Harry Bates del 1940
Ultimatum alla Terra è ispirato ad Addio al padrone, racconto breve di Harry Bates del 1940

Bates sconfessò ogni legame con il film di Wise dissociandosene completamente. In Addio al padrone, ad esempio, la navicella appare immediatamente sulla Terra, dando così un certo alone d’incertezza sulla sua provenienza. Nel romanzo, inoltre, Klaatu viene ucciso immediatamente non appena scende dalla nave. Niente messaggio di pace quindi, né Professor Barnhardt. La differenza più evidente riguarda però il rapporto di Gort con Klaatu, qui declinato in una dinamica relazionale da padrone-schiavo che nell’opera di Wise risulta ad inerzia invertita. Ma soprattutto niente Klaatu Barada Nikto che, citata nei modi più impensabili, dal comando about:robots in Mozilla Firefox, a L’armata delle tenebre di Sam Raimi, è certamente una delle ragioni chiave del retaggio sessantennale di Ultimatum alla terra.

Patricia Neal in una scena di Ultimatum alla Terra
Patricia Neal è Helen Benson

Da dove nasce però l’intuizione di Klaatu Barada Nikto? A leggere lo script di Ultimatum alla terra ci viene perfino data l’ortografia ufficiale della frase nonché la sua pronuncia corretta, nessuna traduzione in lingua corrente/terrestre però. Il professore di filosofia Aeon J. Skoble ipotizzò che fosse come una sorta di safe-phrase. Una parola di sicurezza con cui abortire sul nascere la forza mortale di Gort se attivata erroneamente. Di fatto quindi, quella compiuta da North e resa in immagine da Wise, non era altro che una rilettura in chiave cinematica delle cosiddette Leggi della Robotica di Isaac Asimov: agire cioè – attraverso la semplice frase Klaatu, Barada, Nikto – sull’inerzia che lega a doppio filo l’esistenza dell’essere artificiale con quella umana dandogli infine una morale e dei valori ontologicamente rilevanti.

«Klaatu, Barada, Nikto!», la frase cult del film
«Klaatu, Barada, Nikto!»

Nelle decadi successive le interpretazioni intorno a Klaatu, Barada, Nikto sono andate a moltiplicarsi. È del 1978, ad esempio, un articolo di Fantastic Films dal titolo The Language of Klaatu in cui il suo autore, Tauna Le Marbe, tentò di tradurre tutte le parole utilizzate da Klaatu in Ultimatum alla terra. Nell’articolo la frase Klaatu, Barada, Nikto era tradotta letteralmente come: «Stop barbarism, death, bind/Fermate la barbarie, la morte, il vincolo». Nel documentario Decoding Klaatu, Barada, Nikto, Science Fiction as Metaphor del 2008 se ne discusse ampiamente tra membri del cast, produttori e regista. Wise, in tal senso, sminuì di molto l’enfasi della mitologica frase: «Beh è solo qualcosa che ho inventato. Ho pensato che suonasse bene». Di tutt’altra opinione Billy Gray (il Bobby Benson del film) che dal canto suo ipotizzò che la traduzione della frase fosse: «Klaatu salva la Terra».

Il film di Robert Wise colse appieno l'atmosfera del suo tempo fatta di Maccartismo, paura dell'atomica e rifiuto categorico della pace
Il film di Robert Wise colse l’atmosfera del tempo tra Maccartismo, atomica e rifiuto della pace

L’interpretazione più interessante della frase però ci viene data dallo stesso North in un’intervista allo storico di cinema Steven Jay Rubin. Lo sceneggiatore, pur ammettendo che fosse una cosa inventata sul momento, diede enorme valore a quelle piccole, semplici, parole spiegandole così: «C’è speranza per la Terra se gli scienziati possono essere raggiunti». Patricia Neal (Helen Benson), invece, raccontò come, all’indomani del rilascio in sala, ebbe non pochi problemi a pronunciare la celebre frase. In quella che, peraltro, rappresenta la scena-madre di Ultimatum alla terra – autentico capolavoro di tensione narrativa – non riusciva a smettere di ridere: «Penso sia il miglior film di fantascienza mai realizzato, anche se ammetto che a volte ho avuto difficoltà a mantenere una faccia seria. Michael (Rennie nDr) mi guardava pazientemente mordermi le labbra per evitare di ridacchiare e chiese con vero riserbo britannico: È quello il modo in cui intendi farlo?».

Nonostante questa scena fosse un capolavoro di tensione narrativa, Patricia Neal proprio non riusciva a smettere di ridere
Nonostante la scena fosse un capolavoro di tensione, Patricia Neal non riusciva a smettere di ridere

A livello narrativo è un’opera semplice Ultimatum alla terra, quasi elementare. Una struttura lineare, fluida, che nella costruzione d’immagine offerta da Wise in una regia che racconta ma non prende effettiva posizione, procede spedita nel dispiegare l’intreccio. Perché in fondo, dall’incipit con l’arrivo sulla Terra dell’astronave sino alla climax con il suo addio e «La scelta è nostra» – di turning point in turning point – l’opera di Wise ha come fine ultimo quello di far emergere, in forma quasi didascalica, il messaggio politico del sottotesto: il cessate il fuoco collettivo con cui far riappropriare l’umanità della pace tanto desiderata e urlata nei primi anni del Dopoguerra, ma mai realmente voluta. In tal senso la connotazione di genere fantascienza sociale è come diluita tra le maglie narrative di un Ultimatum alla terra.

Gort il robottone assassino di Ultimatum alla Terra in tutto il suo splendore
Gort il robottone assassino di Ultimatum alla Terra in tutto il suo splendore

Non è un racconto che necessita di pianeti da esplorare (Il pianeta proibito) o di un agire comunitario e americano per annientare un alieno mutaforma (La cosa da un altro mondo) per esplicare i suoi intenti filmici Ultimatum alla terra. Ci sono soltanto Washington, l’America, i delicati equilibri con l’Unione Sovietica e quella paranoia comunista abilmente mascherata – ma comunque lasciata trapelare, intravista sullo sfondo e fatta coesistere – da paranoia aliena verso l’altro: verso Klaatu e il suo robottone Gort. A guidarci nella narrazione come coscienza e osservatore esterno di vizi e virtù, gioie e orrori, della natura umana è proprio l’agente scenico di Rennie, in un impianto registico basilare, dalla grammatica filmica ancora acerba e poco colloquiale, in cui Wise e North ci giocano su sfruttandone l’inerzia in loro favore.

«Ammetto che a volte ho avuto difficoltà a mantenere una faccia seria. Michael mi guardava pazientemente mordermi le labbra per evitare di ridacchiare e chiese: È quello il modo in cui intendi farlo?» (Patricia Neal)
«Ammetto che a volte ho avuto difficoltà a mantenere una faccia seria…»

Il risultato? Un’allegoria di matrice religioso-messianica – indiretta a detta del regista, di tutt’altro avviso lo sceneggiatore – che finisce con l’avvolgere l’arco di trasformazione di Klaatu donandogli una carica valoriale dall’inerzia degna di una nuova parusia. Perché in fondo, a ripensarci un attimo, c’è tutto di una simile strutturazione: Klaatu che arriva dal cielo e parla di pace, dimostra i suoi poteri provocando un black-out globale, si immerge tra la gente comune assumendo il nome di Carpenter/falegname, viene tradito e poi ucciso, infine resuscitato da Gort/God/Dio per poi ascendere (in forma traslata) in cielo, al fine di potenziare di intenti gli effetti stessi della climax di Ultimatum alla terra e quel monologo finale che parla di pace e speranza per un mondo – e un’umanità – migliore.

Nei cinema italiani Ultimatum alla Terra fu distribuito il 20 marzo 1952
Nei cinema italiani Ultimatum alla Terra fu distribuito il 20 marzo 1952

Se è vero che il contemporaneo La cosa da un altro mondo ebbe maggior risalto nella sua inerzia narrativa e Invasione degli Ultracorpi resta, ad oggi, la massima vetta della fantascienza sociale nonché il più intelligente uso dell’elemento maccartista/anti-comunista nel cinema sci-fi, Ultimatum alla terra ebbe il merito assoluto di trasmettere messaggi di pace in un mondo prossimo alla rovina. Oggetto di un remake relativamente infelice nel 2008 diretto da Scott Derrickson con Keanu Reeves e Jennifer Connelly nel cast, fu un’autentica ispirazione per le decadi a venire, tanto da ritrovarci a parlarne ancora oggi a più di settant’anni dal rilascio in sala (fu presentato il 18 settembre 1951). Pensate che il giornalista Lou Cannon e l’ex Segretario di Stato USA Colin Powell erano convinti che sia stato proprio Ultimatum alla terra ad aver spinto Ronald Reagan a parlare di piani d’unione contro un’invasione aliena a Mikhail Gorbachev nel 1985.

«Io sono venuto qui per dirvi questo: a noi non importa quello che fate nel vostro pianeta, ma se tentaste di estendere le vostre violenze questa vostra Terra verrebbe ridotta ad un mucchio di cenere. Potete scegliere: unirvi a noi e vivere in pace o seguitare sulla strada in cui siete e venire annullati. Aspetteremo una risposta. La decisione spetta a voi.»
«Io sono venuto qui per dirvi questo: a noi non importa quello che fate nel vostro pianeta…»

Due anni dopo infatti, ad una conferenza delle Nazioni Unite, il promotore del reaganismo affermò come: «Di tanto in tanto penso quanto velocemente le nostre differenze in tutto il mondo svanirebbero se ci trovassimo di fronte una minaccia aliena all’esterno di questo mondo». Incredibilmente, Ultimatum alla terra riuscì quindi nei suoi intenti unitari extra-schermo tanto voluti dal suo sottotesto umanitario, trentaquattro anni dopo la sua distribuzione, arrivando là dove nemmeno Rocky IV e il suo oramai mitologico climax avevano saputo fare: porre le basi per un unico, grande, mondo libero e democratico (almeno nelle intenzioni dichiarate). Quando si dice saper fare la storia del cinema, e cambiarla sul serio…la storia.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

 

 

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