ROMA – Tutto è iniziato nel 1970. Guillermo del Toro aveva sei anni e, seduto davanti al televisore, fu catturato dalla relazione tra l’umana Kay (Julie Adams) e Gill-Man, l’ibrido metà uomo e metà pesce, protagonisti de Il mostro della laguna nera di Jack Arnold del 1954. Una visione così potente per quel bambino al punto da restare scioccato quando il finale che pensava felice per la coppia si tramutò in tragedia. Quarant’anni dopo, quando Daniel Kraus – partner di scrittura del regista nella serie di libri Trollhunters – gli raccontò di un’idea che aveva avuto da ragazzo su una donna delle pulizie che lavorava in un impianto governativo dove instaurava un’amicizia segreta con un uomo anfibio tenuto prigioniero, ecco che del Toro, impegnato nelle riprese di Pacific Rim, iniziò a scrivere la sceneggiatura de La forma dell’acqua.
Il resto è una storia fatta di tredici nomination agli Oscar e quattro statuette vinte (tra cui Miglior Film) per un film che intreccia gli elementi della favola tanto cara al regista, citazioni cinematografiche e temi attuali. «Volevo creare una storia, bella ed elegante, sulla speranza e la redenzione come antidoto al cinismo dei nostri tempi. Volevo che questa storia avesse la forma di una favola, con un semplice essere umano che si imbatte in qualcosa di più grande e più trascendente di ogni altra cosa nella sua vita. Poi ho pensato che sarebbe stata una grande idea mettere a confronto questo amore contro qualcosa di banale e malvagio come l’odio tra le nazioni, che si esprime al meglio con la Guerra Fredda, e con l’odio razziale, di classe e di genere» ha raccontato il regista che ha ambientato La forma dell’acqua nella Baltimora nel 1962.
Protagonista Elisa Esposito (Sally Hawkins), addetta delle pulizie di un laboratorio governativo affetta da mutismo i cui unici amici sono la collega afroamericana Zelda (Octavia Spencer) e l’inquilino gay Giles (Richard Jenkins). Una vita solitaria e malinconica che cambia quando nel laboratorio viene portata una creatura anfibia dalle sembianze umanoidi con la quale instaura un’amicizia fatta di sguardi e gesti che sboccerà in un sentimento molto più profondo. «Mi piace creare dei film liberatori, che dicono che è bene essere ciò che si è, cosa che, in questo momento, mi sembra molto pertinente» ha sottolineato del Toro che nel suo film intreccia intolleranza e innocenza, bene e male, attualità e temi senza tempo.
Per farlo fonde gli elementi classici del monster-movie con sfumature noir e il calore di una storia d’amore che non ha bisogno di parole che esprimersi in una trama che ha più di un punto in comune con The Space Between Us. Un corto del 2015 ambientato in un futuro post-apocalittico con Juliette Binoche nei panni di una donna delle pulizie che si innamora di un tritone tenuto prigioniero perché le sue branchie solo l’ultima speranza di sopravvivenza per l’umanità. Ma, somiglianze con altri film a parte, quello che caratterizza La forma dell’acqua è la scelta di del Toro di capovolgere le dinamiche dei monster movie degli anni Cinquanta e fare della creatura acquatica l’eroe e del colonnello Richard Strickland interpretato da Michael Shannon il villain.
Bellezza e mostruosità, normalità e imperfezioni vengono ribaltate per raccontare una storia d’amore all’interno di un quadro più ampio in cui lotta per diritti civili, discriminazioni e ingiustizie sono tra i temi affrontati da un regista che da sempre predilige raccontare storie di creature non corrotte dagli aspetti del mondo umano. Un desiderio nato da bambino davanti a quell’amore impossibile tra Gill-Ma e Kay che si ripromise di «aggiustare un giorno», perché «l’acqua prende la forma di tutto ciò che la contiene in quel momento e, anche se l’acqua può essere così delicata, resta anche la forza più potente e malleabile dell’universo. Vale anche per l’amore, non è vero? Non importa verso cosa lo rivolgiamo, l’amore resta se stesso sia verso un uomo, una donna o una creatura».
Qui potete ascoltare un brano della colonna sonora:
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