ROMA – «Questo film non è mai stato pensato per essere tutto per tutti. Sto solo dicendo che se l’ho fatto è per me stesso. Tutti gli altri si sono invitati!». E furono in tanti ad esserlo, perché era evidente già dalle prime battute di racconto che Le Iene di Quentin Tarantino sarebbe stato molto più che un semplice film. Otto rapinatori, nessun nome vero, solo nomi d’arte colorati (Mr. White, Mr. Blonde, Mr. Pink, Mr. Blue, Mr.Brown). E poi, (quasi) tutti vestiti di nero, in una bettola a discutere di rock anni Settanta, dell’atto della mancia alla cameriera come dovere sociale e della vera ragione dietro a Like a Virgin di Madonna prima di un colpo, di un grosso colpo. Quello che finirà in strage nella solidità di un intreccio popolato di trielli leoniani, sotterfugi e distorsioni narrative a metà tra Rashomon di Akira Kurosawa e Rapina a mano armata di Stanley Kubrick.
Nel mezzo però c’è lo stile di Tarantino: l’avant-pop, la violenza cruda (emblematica la sequenza dell’orecchio tagliato da Mr. Blonde sulle note di Stuck in the Middle with You degli Stealers Wheel), i dialoghi rigorosi e sfrontati, lo humor nero, la brillante vivacità della sua grammatica filmica. Insomma il suo marchio di fabbrica che imparammo a conoscere qui. Che poi è ciò che dovrebbe fare ogni opera prima: colpire nel segno, incastonarsi nelle sinapsi, assurgere allo status di instant-cult, e in questo Le iene riesce benissimo. Del resto, con un titolo originale come Reservoir Dogs nato dalla crasi filmica tra Au revoir, les enfants ovvero Arrivederci ragazzi di Louis Malle (soprannominato da Tarantino come The Reservoir Film) e Straw Dogs ovvero Cane di paglia di Sam Peckinpah, era praticamente impossibile fare di peggio, ma non fu per niente facile.
Facciamo un passo indietro. Perché in origine Le Iene , che già di suo vive di una certa semplicità stilistica, sarebbe dovuto essere ancor più ridotto all’osso nella composizione d’immagine. 30.000 dollari di budget, pellicola da 16 millimetri, un paio di amici come interpreti. Erano queste le intenzioni di Tarantino al tempo – i gloriosi anni della Video Archive di Manhattan Beach e delle visioni fluviali di Sergio Leone, Sergio Corbucci ed Enzo G. Castellari – con il produttore Lawrence Bender nel ruolo di Eddie il Bello (ruolo poi andato al compianto Chris Penn). È proprio lui l’ago della bilancia. Lui diede infatti lo script al suo insegnante di recitazione la cui moglie, grande amica di Harvey Keitel (poi Mr. White), glielo fece avere consigliandoglielo caldamente. Nemmeno a dirlo: se ne innamorò alla prima lettura.
Con Keitel nel cast cambiò tutto e fu decisamente più facile trovare i finanziamenti necessari. Dai 30.000 dollari iniziali il budget schizzò a oltre 1,5 milioni di cui, per buona parte, finirono per ingaggiare un cast di primissimo livello che oltre a Keitel e Penn vedeva pesi massimi del calibro di Steve Buscemi, Michael Madsen, Tim Roth (che sarebbero divenuti poi grandiosi feticci tarantiniani) Lawrence Tierney, Steven Wright, Kirk Baltz, Randy Brooks ed Edward Bunker, un vero criminale che ha trascorso buona parte della sua vita in prigione prima di diventare scrittore (e sceneggiatore) di successo. Ci sarebbe dovuto essere anche James Woods tra i volti de Le iene, cercato con insistenza da Tarantino per il ruolo di Mr. Orange. Ci fu un problema: l’attore seppe della chiamata soltanto a produzione avviata dopo che il suo agente scelse di snobbare l’offerta cestinandola. Venne licenziato senza pensarci troppo.
Fu in ogni caso un set povero. Il budget effettivo de Le Iene era talmente basso che gli abiti di scena facevano parte del guardaroba personale degli attori, tipo la coloritissima giacca da jogging sfoggiata dall’Eddie di Penn. Lo stesso non poteva dirsi per i completi, gli abiti, la divisa d’appartenenza della banda dei colori, ideati dalla stilista Agnès B. e ispirati – a detta dello stesso Tarantino – dalla fusione filmica di The Blues Brothers di John Landis (di cui potete leggere il nostro Longform qui) e di A Better Tomorrow II di John Woo, vestito da Tarantino di una certa aura mitologica: «Se un film d’azione funziona veramente, lo spettatore dovrebbe volere vestirsi come il suo eroe. Dopo aver visto Chow Yum-Fat in quel film comprai immediatamente un lungo impermeabile, degli occhiali da sole, e andavo in giro con uno stuzzicadenti in bocca…».
Non fu però da meno Le iene che – nonostante un’accoglienza fredda al Sundance Film Festival di Redford in quel 21 gennaio 1992 in cui Tarantino venne formalmente accusato di pietoso plagio di City on Fire di Ringo Lam – a cui il nostro rispose per le rime con la celebre frase: «I bravi artisti copiano, i grandi rubano» – ha saputo comunque costruirsi un solido (e prezioso) retaggio trentennale. Negli Stati Uniti arriverà al cinema il 23 ottobre 1992, pochi mesi dopo, grazie alla Miramax Film di Harvey Weinstein. In Italia una manciata di giorni prima, il 9 ottobre, sotto il titolo di Cani da rapina (poi abbandonato in favore dell’originale Le iene).
Chi proprio non riuscì a farsi piacere (del tutto) il film fu proprio Madonna oggetto dell’iconica scena d’apertura che, in risposta alla teorizzazione di Mr. Pink secondo cui «Like a Virgin è una metafora della fava grossa» rispose con calma, dignità e classe aggiustando il tiro del pensiero tarantiniano. Gli fece recapitare una copia del suo album Erotica con una dedica in calce: «A Quentin. È una canzone che parla d’amore, non di fave grosse. Madonna». Come poter replicare? Anche questo fa parte del mito…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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