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Great Freedom | Franz Rogowski e l’amore gay ai tempi del nazismo

Il film del regista austriaco arriva finalmente anche in Italia. Da non perdere, su MUBI

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L'omosessualità ai tempi del Nazismo secondo Sebastian Meise: Great Freedom

MILANO – Non è possibile rinnegare ciò che si è veramente, la propria natura. Questo lo sappiamo: i film, i libri e le storie di vita vera, ce lo hanno insegnato migliaia di volte. E quando le circostanze in cui si capita rischiano di mettervi fine proprio a causa di quell’espressione di sé così sacra? No, nemmeno allora. Per questo Hans, il protagonista del meraviglioso Great Freedom di Sebastian Meise, finalmente disponibile in streaming su MUBI, spende la maggior parte della sua vita in prigione, rinchiuso dietro le sbarre. Il suo vero io non gli permette di essere rinnegato, nemmeno quando l’ordine politico della Germania nazista minaccia di eliminare la sua esistenza.

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Omosessualità e Nazismo raccontate in Great Freedom

Presentato al Festival di Cannes 2021, dove ottenne un grande consenso tra pubblico e critica, Great Freedom è una storia semplice, almeno nella sua descrizione: il racconto di un uomo omosessuale nella Germania nazista e del dopoguerra. In Germania vigeva ancora il famigerato Paragrafo 175, l’articolo del codice penale che vietava ogni manifestazione del desiderio omosessuale e Hans, vestito da una grandissima interpretazione di Franz Rogowski, capita nel pieno di quel tumulto. Per lui l’avvento della Liberazione, evento epocale della Storia, non fa molta differenza e appena fuori da Auschwitz, viene immediatamente mandato in carcere.

Una scena di Great Freedom

Non c’era tregua per quelli come lui: la legge rendeva tutte le persone omosessuali illegali e anche dopo la fine del Nazismo continuarono ad essere considerate tali. L’orrore del decennio appena passato non aveva smosso abbastanza le coscienze perché l’omosessualità non venisse più considerata una perversione. Così Hans alterna la sua esistenza tra l’essere rilasciato e tornare subito dopo dietro le sbarre. Sebastian Meise, attraverso dei notevoli cambi nell’aspetto del suo protagonista, riesce a raccontare i salti temporali senza farli troppo pesare, passando dal 1945 al 1969, anno in cui finalmente il Paragrafo 175 venne abolito.

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Le molte anime di Great Freedom

Durante la permanenza in carcere, lo strano rapporto che si instaura con Viktor diventa il baluardo a cui guardare ogni volta che percorre nuovamente la strada verso la cella. Viktor è un omofobo con un problema di droga, ma più passano gli anni in cui si ritrovano a condividere lo stesso destino, più il loro rapporto si trasforma, diventando qualcosa di imprecisato, al confine tra dipendenza e desiderio. C’è tanto di non detto in Great Freedom, ci sono i suoni di una vita oltre il perimetro tracciato dalle sbarre e i silenzi che lasciano spazio ai ricordi delle torture, ci sono gli sguardi indecisi la notte e i sentimenti di cui non si riesce a provare vergogna perché no, in Hans non c’è niente di sbagliato, ma il mondo non è ancora pronto per capirlo.

Un concentrato di sentimenti ed emozioni: Great Freedom

In prigione il tempo smette di avere lo stesso significato, e anche la libertà assume dei contorni sfocati. Forse è per questo che Sebastian Meise non lascia andare la presa su Hans nemmeno nello sconcertante atto finale, quando siamo lasciati a chiederci se la scelta del suo protagonista sia uno sfrontato atto d’amore o il gesto disperato di un’anima che non vede più la libertà come un’opzione che possa contemplare. In ogni caso, facendo appello alla sensibilità più umana che ognuno possiede e dando vita a un’empatia quasi inaspettata, Great Freedom è uno di quei film che non può lasciare indifferenti.

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Qui il trailer di Great Freedom:

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