MILANO – «Le forme e i colori nascono nelle tenebre». Questa la splendida massima che ci si porta a casa dalla visione di A letto con Sartre (su Prime Video), l’ultima fatica di Samuel Benchetrit datata 2021 dopo la presentazione a Cannes 74 e la vittoria della Foglia d’Oro del festival France Odeon. La motivazione recitava così: «Questo film racconta con spericolata e ribalda leggerezza e un uso affascinante del teatro, la forza dell’amore, l’imprevedibilità degli incontri impossibili. Donne e uomini si cercano e si sfiorano in un frenetico girotondo dei sentimenti, assistito dalla musica ironica, di una grande sapienza di scrittura e di regia». E noi di Hot Corn non potremmo essere più d’accordo con queste parole.
Ci troviamo a Dunkerque, il celebre porto nel Nord della Francia dove si avvicendano le storie di buffi personaggi che giocano a fare i duri, pur covando dentro il germoglio dell’amore, della poesia e dell’arte. Jeff (François Damiens) è un boss che traffica illegalmente nel porto, ma sta imparando a scrivere poesie per conquistare la cassiera di un Carrefour. Del suo entourage fanno parte Jésus e Poussin, che a suon di torture e asfissie, devono convincere i coetanei della figlia di Jeff a venire o meno alla sua festa di compleanno, ma ne approfittano anche per discutere di mantra e pace interiore. E poi c’è Jacky (Gustave Kernern) che, incaricato di sorvegliare la moglie di un creditore insolvente, si ritroverà a condividere con lei (una tenerissima Vanessa Paradis) il palcoscenico nei panni addirittura di Jean Paul Sartre. Ruolo minore, ma non per questo meno intenso, quello della nostra amata Valeria Bruni Tedeschi nei panni della moglie di Jeff.
A letto con Sartre è uno di quei tipici film cui si fa quasi un torto a raccontarne la trama, perché godono di una loro bellezza e autorevolezza più nel come che nel cosa. Non è nuovo a questa forma di bizzarra assurdità e insospettabile leggerezza il regista Benchetrit, di cui avevamo già ammirato anni fa Il condominio dei cuori infranti, che qui non smentisce affatto, anzi riconferma con forza la sua verve poetica. C’è ben poco di normale nei gesti e nelle parole dei personaggi che si avvicendano, da un criminale che conta le sillabe per comporre alessandrini ad un teatrante costretto a far fuori altri aspiranti attori per avere la parte, ma è veramente piacevole abbandonarsi alla visione di un’umanità sui generis, ancorata alla verità dell’arte e della bellezza. Dopotutto, uno splendido cameo di Vincent Macaigne, diventa per il regista l’occasione per dirci che «Tutto è felicità» e soprattutto per consolarci nella speranza che «Le persone possono cambiare».
Omaggiando le atmosfere nordiche del Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki, Benchetrit ci inebria della poesia di chi vede i colori pensando alle persone amate e con la mente ci riporta anche a quel gioiello di Paterson di Jim Jarmusch, pur mantenendo il tocco francese che tanto amiamo e che dà il nome alla nostra rubrica. Ruolo cruciale nel condurci nei meandri di questa splendida follia è infine rivestito dalla colonna sonora e soprattutto dal soave pianoforte di Gonzales, classico e contemporaneo allo stesso tempo. Un sorriso finale vi verrà poi strappato dalla riuscitissima rappresentazione musicale, nel suo essere volutamente pessima, della commedia su Simone de Beauvoir e Sartre: quanto somiglia a quel magnifico musical su un pasticcere trotskista di morettiana memoria…
- Volete leggere altre Opinioni? Le trovate qui
- Volete scoprire French Touch? Lo trovate qui
Qui sotto potete vedere il trailer del film:
Lascia un Commento