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Chinatown | Jack Nicholson, Faye Dunaway e i cinquant’anni del film di Roman Polański

John Huston, la storia, la lavorazione, il retaggio, il titolo. Riscoprire un mito su Paramount+

Jack Nicholson è il Detective Jake Gittes in una scena di Chinatown, un film di Roman Polański del 1974
Jack Nicholson è il Detective Jake Gittes in una scena di Chinatown, un film di Roman Polański del 1974

ROMA – Nel 1971, nel suo picco creativo da Head of Production della Paramount Pictures, il mitologico vicepresidente della major, Robert Evans, contattò lo scrittore e sceneggiatore Robert Towne a proposito de Il Grande Gatsby. Gli fece un’offerta da capogiro: 175.000 dollari per la stesura dello script. Un’offerta irrinunciabile. Non per Towne però, che dalla sua sentiva di non essere all’altezza per riprodurre in immagini su carta lo stile e il ritmo di Francis Scott Fitzgerald. Il progetto passò poi a Francis Ford Coppola che ne seppe tirare fuori uno script eccezionale, trasposto a mezzo filmico da Jack Clayton nel 1974. Circa un anno dopo, Evans stipulò un accordo con la Paramount che gli permise di rimanere come vicepresidente e al contempo lavorare da produttore indipendente. Scelse ancora Towne, stavolta per un progetto diverso che di lì a poco sarebbe diventato un caposaldo del cinema mondiale: Chinatown.

Jack Nicholson e Faye Dunaway in una scena di Chinatown
Jack Nicholson e Faye Dunaway in una scena di Chinatown

Per Chinatown (lo trovate in streaming su Paramount+ e Prime Video), Towne chiese un compenso di appena 25.000 dollari. Era una sua storia, originale. Una rivisitazione del genere hard-boiled ispirata da un articolo della rivista West (Raymond Chandler’s L.A.) e dal romanzo South California Country: An Island on the Land di Carey McWilliams del 1946. Una folgorazione, per Towne, tanto da arrivare a inviare una lettera a McWilliams contenenti le seguenti parole: «South California mi ha davvero cambiato la vita. Mi ha insegnato a guardare il luogo in cui sono nato e mi ha convinto a scriverne». Ma non solo, c’è anche un fondo di storia tra le maglie narrative di Chinatown. Al punto che negli anni il film è stato spesso associato al genere della ricostruzione storico-documentaristica che non al semplice – e di più facile definizione – lungometraggio di finzione.

John Huston in un momento del film
John Huston in un momento del film

Il personaggio di Hollis Mulwray (Darrell Zwerling) – il cui destino, della narrazione di Chinatown, è nodo gordiano e anello di congiunzione delle due indagini – è ispirato, infatti, alla vita dell’immigrato irlandese William Mulholland. Un sovrintendente e ingegnere capo del Dipartimento dell’Acqua e dell’Energia di Los Angeles che agli inizi del Novecento supervisionò la costruzione dell’acquedotto di 230 miglia che, ancora oggi, trasporta l’acqua dalla Owens Valley a Los Angeles, ma non solo. Mulholland è anche tristemente associato al disastro della della diga di St. Francis del 12 marzo 1928. Quel giorno, in mattinata, Mulholland supervisionò la diga su insistenza del guardiano della stessa, Tony Harnischfeger, preoccupato per la sua stabilità dopo aver scoperto alcune crepe alla base. Mulholland non riscontrò irregolarità, ma quella sera stessa, poco prima di mezzanotte, si verificò un massiccio cedimento che inondò la valle del fiume Santa Clara.

Nel cast anche Darrell Zwerling
Nel cast anche Darrell Zwerling

Nell’inondazione fu travolta la città di Santa Paula. L’incidente causò la morte di 431 persone e la fine della carriera di Mulholland. Per la narrazione di Chinatown – oltre che della deviazione dell’acqua dalla Owens Valley tramite acquedotto – Towne si ispirò ad un altro poco limpido avvenuto nella contea di Los Angeles. Tra la fine del 1903 e l’inizio del 1904, l’acqua venne rilasciata intenzionalmente per scacciare i proprietari terrieri e creare supporto per una diga attraverso una siccità artificiale. Questo fece crollare i livelli delle acque sotterranee, facendone innalzare il prezzo in maniera repentina. Mulholland, indagando, scoprì che a causa di valvole e saracinesche difettose nel sistema idrico losangelino, grandi quantità di acqua venivano rilasciate nel sistema fognario di trabocco e poi nell’oceano. Una casualità frutto di un cedimento insomma, non in Chinatown però, dove Towne ricalibrò gli eventi in chiave dolosa.

Chinatown di Roman Polański fu distribuito nei cinema statunitensi il 20 giugno 1974
Chinatown di Roman Polański fu distribuito nei cinema statunitensi il 20 giugno 1974

E avrebbe anche voluto dirigerlo Towne, tanto da immaginare già il flusso di immagini di Chinatown prendere vita con quel Jack Nicholson fresco del successo di L’ultima corvée (di cui aveva curato lo script) come volto e corpo del Detective Jake Gittes. Scrisse per lui il ruolo, immaginandolo nella parte. E l’idea fu anche avallata da Evans, ma non quella di Towne alla regia del film. Per Chinatown, il vulcanico executive voleva un nome di primo livello. E quindi John Huston (poi scelto come interprete del massiccio Noah Cross), Peter Bogdanovich e Mike Nichols. Infine Roman Polański che seppe di Chinatown proprio da Nicholson con cui, da tempo, voleva lavorare e che Evans, dopo l’esperienza di Rosemary’s Baby, sapeva essere l’unica scelta possibile per un neo-noir alla luce del sole così peculiare. Serviva il suo occhio oscuro e cinico per raccontare la Los Angeles di Towne.

Un momento del film
Un momento del film

Non è una Los Angeles come tutte le altre quella di Chinatown. Basti pensare che la vera Chinatown losangelina fu demolita tra il 1933 e il 1936 per lasciare il posto alla Union Station. L’attuale Chinatown, situata a pochi isolati di distanza, fu inaugurata nel 1938. Il film è ufficialmente ambientato un anno prima, nel 1937, e non è un caso. L’idea del titolo – oltre che dello scambio dialogico «Cosa hai fatto a Chinatown?/Il meno possibile…» – nasce dall’incontro di Towne con un vice-poliziotto ungherese che lavorò in pattuglia nella vera Chinatown, sempre alle prese con dialetti coloriti e bande di ogni genere. Dalla sua fonte Towne apprese come: «La Polizia avrebbe fatto meglio a non alzare un dito a Chinatown, lì non si riusciva mai a capire veramente cosa accadesse», ovvero: era impossibile capire se ciò che si faceva avrebbe aiutato o sfavorito lo sfruttamento delle vittime.

Il cameo di Roman Polański
Il cameo di Roman Polański

Quello stato di disarmante, arrendevole e inesorabile incertezza ci viene tutto restituito nel concitato e convulso climax da Polański in quella linea dialogica divenuta ormai leggendaria – «Forget It Jake, It’s Chinatown/Lascia perdere, Jake, è Chinatown» – che tra un happy-ending strozzato, verità edipiche rivelate e un colpo di pistola alla testa, vede il trionfo del male e della corruzione d’animo di uomini-bestie dinanzi agli eroi giusti, tutti d’un pezzo. Perché in fondo, più che del genere hard-boiled e dei suoi topos ricalibrati in chiave moderna in un intreccio solido, teso, che cattura e avvolge lo spettatore tra enigmi e false piste, passioni, pulsioni e suggestioni; più della Prospettiva Chandler con cui Polański sceglie di raccontare Chinatown dal punto di vista soggettivo dell’investigatore, quindi dell’agente scenico principe come da tradizione classica chandleriana – che si traduce anche nelle soluzioni d’immagine –, è (soprattutto) di bene e male che racconta Chinatown.

«Forget It, Jake, It's Chinatown!»
«Forget It, Jake, It’s Chinatown!»

Una dicotomia che Polański sceglie di raccontare nella sua forma più estrema, tra l’acqua come simbolo di purezza e vita che scorre lungo le pareti e le vie di una Los Angeles – al contrario – caldissima, torrida e allegorica nella sua sospensione temporale di falso storico e fedeltà documentale, e le azioni di cui è teatro tra tradimenti e omicidi, suicidi e incesti, gelosie, fragilità e pazzia. Distribuito nelle sale statunitensi da Paramount Pictures il 20 maggio 1974, fu talmente straordinario in termini filmici, artistici oltre che commerciali (a fronte di un budget di appena 6 milioni di dollari, il film ne portò a casa quasi 30), Chinatown, da diventare oggetto di dibattito critico nei successivi cinquant’anni. Lo storico di cinema Sam Wasson, ad esempio, vi dedicò un intero saggio dal titolo Il Grande Addio: Chinatown e gli ultimi anni di Hollywood (edito da Jimenez Edizioni nel 2021).

Faye Dunaway in un momento di Chinatown
Faye Dunaway in un momento di Chinatown

Il Grande Addio identifica Chinatown come l’ultimo, vero, grande film della New Hollywood. Una tesi che da una parte ci sentiamo di sposare per come Towne prima e Polański poi, riuscirono ad unire la tradizione del cinema d’intrattenimento del periodo classico del cinema moderno americano dei noir di Robert Siodmak (I Gangsters), Howard Hawks (Il Grande Sonno) e John Huston (Il Mistero del Falco), con il linguaggio e le estetiche filmiche degli anni Settanta new-hollywoodiani. In realtà, però, in un ottica più specifica, Chinatown è semplicemente la seconda parte di quel processo di revisione del genere noir avviato un anno prima da Il Lungo Addio di Robert Altman che scelse di raccontare una Los Angeles inedita, poco brillante e scialba, fotografata di neri smorzati e colori ammorbiditi, teatro anch’essa di una narrazione neo-noir che è discesa negli inferi torbida e feroce, eppure fatta di umorismo e dissacrante ironia.

Jack Nicholson in una scena di Chinatown
Jack Nicholson in una scena di Chinatown

Più che la fine della New Hollywood, quello offerto da Il Lungo Addio e Chinatown fu semplicemente l’ennesimo (grandissimo) guizzo di ispirazione creativa. Perché per la vera fine della New Hollywood serviranno ancora un paio d’anni. Anni – cinque – che permisero la realizzazione di opere come La Conversazione, Lo Squalo, Il Cacciatore, Star Wars e Apocalypse Now entrate di diritto nell’immaginario collettivo di ognuno di noi. Ad oggi, cinquant’anni dopo, Chinatown resta uno dei più grandi film della storia del cinema per intensità scenica, temi trattati, interpretazioni, scene cult. È tutto quello che il cinema è e dovrebbe essere sempre: immaginazione, brivido, emozione, ed evasione da un mondo a volte fin troppo brutto per essere vero. Qualcosa di cui era ben consapevole Polański: «Penso che se mi chiedessero il poster di quale film vorrei che fosse depositato sulla mia tomba, direi Il Pianista, quello dopo è Chinatown».

Una scena di Chinatown
Una scena di Chinatown

Eppure, lì per lì, per Polański non fu esattamente facile accettare l’idea di tornare a Los Angeles. L’ultima volta fu nell’agosto del 1969, dopo che Sharon Tate fu brutalmente assassinata dalla Famiglia Manson. Ma si trattava anche di rimettersi in pista dopo i flop commerciali (ma non artistici) di Macbeth e Che?, oltre che lavorare con Evans che sapeva perfettamente avrebbe compiuto qualsiasi sforzo necessario pur di garantire a Chinatown la miglior resa filmica possibile. Su ammissione dello stesso Polański: «La prima volta che ho sentito di aver realizzato tutto tecnicamente bene è stato Rosemary’s Baby. La prima volta che ho realizzato un film che mi avrebbe reso felice è stato Per favore, non mordermi sul collo! Chinatown è stato il primo film in cui non ho avuto problemi durante tutta la produzione perché ero totalmente supportato dal produttore e avevo tutto a mia disposizione».

Jack Nicholson e Faye Dunaway in un momento di Chinatown
Jack Nicholson e Faye Dunaway in un momento di Chinatown

Il resto lo fece lo script di Towne che all’ultimo draft era di 180 pagine. Da queste, Polański rimosse il voice-over di Gittes e riordinò la narrazione in modo che il pubblico e Gittes svelassero i misteri allo stesso tempo. La cosa piacque poco a Towne che discusse senza sosta su ogni possibile svolta narrativa, ma alla fine cedette, specie sul climax. Towne aveva immaginato un lieto fine per Chinatown con Noah Cross che muore ed Evelyn che sopravvive nella sua fuga in auto. Non Polański però, che voleva invece un finale oscuro, buio, frutto del dolore inelaborato della sua Sharon. Sentiva che non c’era niente di speciale in un neo-noir in cui i buoni trionfano. Serviva un finale tragico perché Chinatown si distinguesse. Dopo che Towne si rifiutò di scrivere la scena, (abbandonando il film a lavorazione in corso), ci pensò lo stesso Polański a farlo.

Jack Nicholson e Burt Young in una scena del film
Jack Nicholson e Burt Young in una scena del film

«Sapevo che se Chinatown voleva essere speciale – e non solo un altro thriller in cui i buoni trionfano nella bobina finale – Evelyn doveva morire» e ci vide benissimo. Un’ultima curiosità legata a Chinatown riguarda la lavorazione. Nicholson e Polański ebbero talmente tante discussioni che a un certo punto, mentre Nicholson era in camerino a guardare i suoi amati Los Angeles Lakers sulla televisione portatile e tutti, sul set, lo aspettavano accumulando ritardi su ritardi, Polański non ci vide più. Entrò in camerino con uno spazzolone e gli sfracellò la televisione sul pavimento ordinandogli di tornare a lavoro. Se tutto questo vi appare eccessivo, sappiate che con Faye Dunaway le cose andarono molto ma molto peggio. Il suo divismo raggiunse livelli inimmaginabili. Al punto che si dice che quando andava in bagno, si rifiutava di tirare lo sciacquone perché era compito dei suoi assistenti farlo per lei.

Faye Dunaway in una scena di Chinatown
Faye Dunaway in una scena di Chinatown

Quando Polański lo scoprì, fece in modo di fargliela pagare a dovere. Durante una scena in macchina la Dunaway chiese una pausa per andare in bagno. Polański disse di no, più volte. In tutta risposta, la Dunaway, chiese una tazza, ci urinò dentro, aprì lo sportello, si piazzò davanti al regista e gliela gettò in faccia! La faida divenne leggendaria al punto che in una discussione si presero per i capelli e Polański le strappò delle ciocche. In un’altra occasione, quando lei gli chiese la motivazione del suo personaggio, lui esplose dicendole: «Dì solo quelle fo**ute parole! Vuoi una motivazione? Il tuo stipendio è la tua ca**o di motivazione!». Non a caso la Dunaway parlò a più riprese dell’esperienza di Chinatown come avvilente: «Roman era un vero e proprio autocrate che forzava sempre tutto. Si andava dal fisico al mentale, era prepotente e abrasivo, voleva manipolarci».

Nei cinema italiani il film fu distribuito il 13 dicembre 1974
Nei cinema italiani il film fu distribuito il 13 dicembre 1974

Il risultato fu però una performance nevrotica, piena di scatti emotivi, perché è così che sarebbe dovuta essere Evelyn nella mente di Polański, e fu leggendaria infatti: fragile, difettata, coraggiosa ma indomita, piena di speranza e amore. E quando come compagno scenico hai un Nicholson intenso come non mai, tutto diventa talmente naturale da sembrare semplice. Tutto il resto è Chinatown.

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