MILANO – L’ascesa al potere di criminali senza scrupoli, la contrapposizione bellicosa tra due personaggi – amici di lunga data – uno che intraprende la retta via, l’altro che si lascia affascinare dal torbido soffio del male: ma cos’è davvero I gangsters di Robert Siodmak? Un cult (poco citato) che rivisto oggi (ma in streaming non lo trovate) non tralascia gli stilemi del film noir classico e spinge oltre la rappresentazione cinematografica, oltre i dettami del Codice Hays, che negli anni Quaranta prevedeva il severo divieto che gli spettatori provassero simpatia nei confronti dei delinquenti, del crimine e di atteggiamenti palesemente corrotti. Esattamente come avviene qui.
Il fascino ingenuo e disciplinato di Burt Lancaster – che proprio con I gangsters fece il suo grandioso esordio sul grande schermo a 33 anni – catalizza l’empatia con il pubblico e incarna, insieme alla bella e sfuggente Ava Gardner, una delle coppie più celebri del cinema di genere. Tratto – ma solo per la prima parte – dal racconto Gli uccisori di Ernest Hemingway, che si disse soddisfatto dell’esito, il cult di Siodmak è segnato dalle atmosfere cupe e torve tipiche del regista tedesco e dei suoi lavori più celebri. Invecchiato? No, per nulla.
L’impalcatura dell’intreccio è costruita su un lungo flashback orchestrato alla perfezione – anche grazie al supporto di una sceneggiatura formidabile scritta da Siodmak con John Huston – in cui ogni segmento della vicenda è incastonato al precedente con precisione maniacale. E poi, ecco l’insegnamento di Quarto potere: la profondità di campo per moltiplicare i piani di racconto del fotogramma e conferire nitidezza all’immagine. Ma Siodmak paga un tributo anche all’espressionismo tedesco con i chiaroscuri esasperati, costruendo un ibrido assieme al cinema americano anni ’40 che guida lo spettatore attraverso l’incedere onirico della vicenda.
«Sono un veleno per me e chi mi sta vicino. Ho paura di vivere con l’uomo che amo. Lo rovinerei». Ava Gardner – fossetta sul mento e sguardo da femme fatale – è una dark lady avida e senza scrupoli, altro elemento centrale di un film che è stato capace di resistere con tenacia alle intemperie del tempo, un trionfo di scelte stilistiche e qualità dell’intrattenimento da far stropicciare gli occhi anche allo spettatore più modernista. In fin dei conti, I gangsters segna le orme su un tracciato fertile, in seguito ricalcato da molti cineasti, di genere e non. Dallo stesso racconto di Hemingway furono poi tratti anche I killer (1956) di Andrej Tarkovskij e Contratto per uccidere (1964) di Don Siegel. Imperdibile.
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