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Rosemary’s Baby | Roman Polański, Mia Farrow e la rivoluzione silente dell’horror

Il legame con Gli spericolati, John Cassavetes e quel set come una polveriera. Riscoprire un mito

Un estratto della locandina (iconica) di Rosemary's Baby di Roman Polański
Un estratto della locandina (iconica) di Rosemary's Baby di Roman Polański

ROMA – Il 7 marzo 1967 un articolo del Los Angeles Times annunciò che la William Castle Enterprises avrebbe prodotto una versione cinematografica del romanzo Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York di Ira Levin. Un inedito visto che sarebbe stato pubblicato il mese successivo dalla casa editrice Random House. Un’operazione figlia dell’intuito di quel Robert Evans fresco vicepresidente della Paramount Pictures – che nel 1971 seguirà lo stesso modus operandi per Il Padrino di Mario Puzo – ma soprattutto dell’executive (e regista di B-movie horror) William Castle che pur di convincerlo, gli fece avere una bozza del libro sulla scrivania con un paio di mesi di anticipo rispetto ai tempi. In teoria Castle avrebbe voluto dirigerlo oltre che produrlo. Al punto che, oltre a produrre un draft preliminare, per Rosemary’s Baby immaginò Vincent Price come Roman Castevet.

John Cassavetes e Mia Farrow, il cuore di Rosemary's Baby
John Cassavetes e Mia Farrow, il cuore di Rosemary’s Baby

Di parere contrario Evans che temeva che la reputazione di Castle avrebbe sminuito agli occhi di critica-e-pubblico la valenza filmica di Rosemary’s Baby. Scelse lui e la sua William Castle Enterprises per la produzione del film tanto da stanziare quasi 2 milioni di dollari di budget (incasserà 33 milioni e mezzo di dollari al box-office, sarà un successo strepitoso), ma a una condizione: una clausola sul contratto metteva per iscritto che Castle avrebbe potuto unicamente produrre Rosemary’s Baby. Per la regia serviva un nome importante, tanto che si vociferò perfino di Alfred Hitchcock prima che il Maestro del Brivido rispedisse l’offerta al mittente preferendogli il mai realizzato Kaleidoscope. Il secondo nome nella lista era Roman Polański, per cui Evans escogitò un espediente niente male per provare ad attirarlo ad Hollywood. Sapendo che il regista era appassionato di sci, lo contattò per la regia de Gli spericolati.

I titoli di testa di Rosemary's Baby
I titoli di testa di Rosemary’s Baby

Polański, prossimo a partire per le piste innevate del Vermont, acconsentì. Solo che, nel plico che Evans gli fece recapitare, oltre allo script de Gli spericolati, c’erano il draft, gli appunti preliminari di Rosemary’s Baby e una copia del romanzo originale. Lì per lì Polański rimase interdetto: «All’inizio pensai che avessero fatto un errore, perché sembrava una cosa sdolcinata alla Doris Day, ma decisi di leggere un po’ di più per vedere come andava a finire. Alle quattro di notte ero ancora sdraiato sul letto, circondato dalle pagine del manoscritto. Non riuscivo proprio a fermarmi». Il risultato? Firmò l’indomani stesso, per poi lanciarsi nella stesura di un ampio trattamento da 272 pagine ricco di dettagli e ampie sezioni dialogiche e modellandolo sulla struttura del romanzo originale che ultimò nel giro di tre settimane.

Mia Farrow nella scena clou del film
Mia Farrow nella scena clou del film

Un lavoro grandioso a detta dello stesso Levin secondo cui: «Quello di Polański è forse l’adattamento cinematografico più fedele mai realizzato a Hollywood». Di parere un po’ meno entusiasta Castle che ipotizzò che la ragione di una simile resa fu che che Polański, misurandosi per la prima volta con l’adattamento di un’opera di un altro scrittore, era del tutto ignaro che potesse disporre di libertà d’azione e di adattamento. Per la cronaca, la regia de Gli spericolati – cult movie del 1969 con Robert Redford e Gene Hackman – toccherà a quel Michael Ritchie che vedrà il suo debutto sul grande schermo dopo tanta gavetta televisiva. Tornando a Rosemary’s Baby invece, Castle raccontò che il primo incontro con il giovane cineasta polacco fu qualcosa di indescrivibile: «Roman era decisamente originale, dopo cinque minuti stava già raccontando storie folli, a metà tra Shakespeare e il teatro dell’assurdo».

Rosemary's Baby di Roman Polański fu presentato in terra statunitense il 12 giugno 1968
Rosemary’s Baby di Roman Polański fu presentato in terra statunitense il 12 giugno 1968

Ultimato lo script, fu il momento delle scelte di casting. Di base Evans e Polański immaginarono Rosemary’s Baby con Sharon Tate nei panni della protagonista che dà il nome al titolo. La Tate, futura moglie del regista ma già brillante interprete con quella luce negli occhi che Tarantino seppe restituire magnificamente in C’era una volta a… Hollywood, vinse la concorrenza di Jane Fonda (che rifiutò per Barbarella), Natalie Wood, Julie Christie, Party Duke, Goldie Hawn e Tuesday Weld. E sarebbe anche andata così se, parallelamente a una pre-produzione impegnativa e a rilento, le vendite del romanzo Rosemary’s Baby non stavano andando proprio benissimo, tanto da non raggiungere lo status di bestseller nel suo primo mese di vendita. Quindi l’ennesima intuizione di Evans: scegliere come Rosemary un’attrice molto chiacchierata. La scelta ricadde su Mia Farrow in prestito dalla 20th Century Fox e per un motivo ben preciso.

Tra John Cassavetes e Roman Polański fu scontro totale
Tra John Cassavetes e Roman Polański fu scontro totale

Come attrice, in realtà, la Farrow era ancora tutta da scoprire visto che era poco meno che esordiente e il suo ruolo più importante a quel tempo era quello di Allison MacKenzie nel serial televisivo Peyton Place. Però era fresca di nozze con Frank Sinatra, e per l’ufficio marketing della Paramount era un motivo sufficiente per sceglierla come protagonista. Polański acconsentì, ma a malincuore vista la rinuncia alla Tate: scoprì un talento. Su sua stessa ammissione: «Prima di Rosemary’s Baby l’avevo vista solo sulla copertina di Life. Ad essere onesti non ero affatto entusiasta di lei finché non abbiamo iniziato a lavorare. Poi ho scoperto con mia sorpresa che è un’attrice brillante». Al battesimo da protagonista la Farrow si rivelò straordinaria, intensa, luminosa, e soprattutto dotata di grande recitazione fisica nel gestire, specie tra secondo e terzo atto, la gravidanza con annesse conseguenze demoniche.

L'anagramma di una delle scene chiave: All of Them Witches
L’anagramma di una delle scene chiave: All of Them Witches

Accanto a lei, come Guy Westwood, ci sarebbe dovuto essere uno fra Warren Beatty, Richard Chamberlain, James Fox, Laurence Harvey, Dean Jones, Robert Redford e soprattutto Jack Nicholson che tanto avrebbe voluto Evans ma che Polański bocciò per una semplice ragione: «Nonostante tutto il suo talento straordinario, il suo aspetto leggermente sinistro lo escludeva». Infine proprio il sorprendente John Cassavetes, a cui Polański propose la parte dopo averlo conosciuto in un teatro a Londra. Un’esperienza, quella tra Polański e Cassavetes, partita sotto i migliori auspici dopo che lo sponsor Yamaha (in Rosemary’s Baby c’è un product placement più che esplicito in merito) regalò al cast degli scooter. Durante le prime settimane di lavorazione li si potevano vedere scorrazzare in giro per New York a bordo di quegli aggeggi, i problemi arrivarono dopo, e pure belli grossi!

Il momento onirico di Rosemary's Baby
Il momento onirico di Rosemary’s Baby

A detta di Polański: «A lui piaceva improvvisare, a me no. Non si sentiva a suo agio nel ruolo di Guy. Non voleva nemmeno che le sarte lo vestissero. È rimasto tutto il tempo delle riprese con indosso le sue sneakers ai piedi, se gliele toglievi iniziavano i problemi con la recitazione. Era un gran rompicog*ioni John». Questo, unito al metodo di regia perfezionista di Polański, fece esplodere il conflitto tra i due, specie perché ogni intuizione di Cassavetes relativa allo sviluppo del personaggio e alla narrazione di Rosemary’s Baby, venivano puntualmente rispediti al mittente da Polański. Non a caso, quando agli Oscar 1969 fu chiesto a Cassavetes – lì presente per Volti – cosa ne pensasse di Polański e del film rispose molto sentitamente: «Non si può contestare il fatto che Polański sia un artista, ma Rosemary’s Baby non è arte».

Ruth Gordon in uno shot del film
Ruth Gordon in uno shot del film

Come se non bastasse Rosemary’s Baby visse anche dell’infuocato rapporto tra la Farrow e Sinatra arrivandone perfino a causare la fine del matrimonio. I continui ritardi fecero allungare i tempi di lavorazione del film al punto da entrare in conflitto con quelli di Inchiesta pericolosa, in cui la Farrow avrebbe dovuto recitare in coppia con il marito e Lee Remick. Su pressione di Sinatra – che parallelamente esortò la Farrow a lasciare il set, pena la fine del loro matrimonio – la Fox chiese alla Paramount di interrompere la produzione offrendo loro la copertura totale dei costi fino a quel punto intrapresi. Questo generò sul set un clima ostile di incertezza e dolore che venne spazzato via unicamente dalla tenacia di Evans. Riuscì a rasserenare la Farrow («Mia, non lo fare, vincerai l’Oscar con Rosemary’s Baby» le disse) dandole la forza necessaria per andare avanti.

Gli occhi demonici (si dice ci fosse proprio Cassavetes dietro trucco-e-parrucco)
Gli occhi demonici (si dice ci fosse proprio Cassavetes dietro trucco-e-parrucco)

E anche per dire no a Sinatra. Al punto che, in tutta risposta – oltre a rimpiazzarla con Jacqueline Bisset in Inchiesta pericolosaThe Voice le fece avere i documenti per il divorzio direttamente sul set di Rosemary’s Baby dal suo avvocato personale, Mickey Rudin. L’Oscar purtroppo non arrivò, tanto che ad oggi la scelta di non candidare (e infine assegnare) Mia Farrow come Miglior attrice protagonista, resta uno dei peggiori errori/orrori compiuti dall’Academy, ma poco importa. Oltre che parte centrale della cosiddetta Trilogia dell’Appartamento (Repulsion, L’inquilino del terzo piano) di matrice urban horror, Rosemary’s Baby è un’opera straordinaria, claustrofobica e ombrosa che si serve dei topos della rom-com ribaltandone l’inerzia in funzione di psicosi e paranoie sataniste di differente percezione. Ma soprattutto un caposaldo del cinema horror esoterico in cui l’orrore non viene mostrato esplicitamente alla maniera de L’Esorcista, ma lasciato trasparire, appena accennato.

Per Mia Farrow fu il ruolo della svolta
Per Mia Farrow fu il ruolo della svolta

L’orrore di Rosemary’s Baby vive nella sua natura narrativa ambigua («Non è un film del tutto serio, l’ho girato in modo che lo spettatore potesse considerare Rosemary come una persona con problemi che si è immaginata tutto. L’ho reso più ambiguo del libro, per questo non ho mostrato il figlio nel finale» dirà Polański al riguardo). Vive nell’evoluzione caratteriale di Guy (un grande Cassavetes nonostante tutto) da affettuoso a ironico sino ad essere impercettibilmente manipolatore, nelle linee dialogiche che lasciano intendere interi mondi di dolore, nelle costruzioni d’immagine divenute leggendarie (una su tutte la rivelazione affidata all’anagramma Steve Marcato/Roman Castevet), ma soprattutto in quel finale tanto agghiacciante in termini emotivi quanto ridicolmente grottesco nel mostrare la già evidente natura deviata dei vicini di casa di Rosemary sotto una nuova luce. Manco a dirlo, dopo l’anteprima stampa del 21 maggio 1968, il film andò incontro a fiumi di polemiche.

Sidney Blackmer nel climax del film
Sidney Blackmer nel climax del film

Dal National Catholic Office for Motion Pictures fu condannato apertamente per le seguenti ragioni: «L’uso perverso che il film fa delle credenze cristiane fondamentali, specialmente negli eventi che circondano la nascita di Cristo, e la sua presa in giro di persone e pratiche religiose». Paradossalmente alcuni cattolici, a proposito dell’idea narrativa di trattare Satana come un’entità reale, andò controcorrente affermando come: «Rosemary’s Baby è la riaffermazione del pensiero religioso tradizionale». Allo stesso modo il British Board of Film Censors eliminò dalla copia distribuita in terra britannica i 15 secondi in cui Rosemary è posseduta dal diavolo nell’indimenticabile scena onirica. A proposito del finale invece, lo scrittore Ray Bradbury scrisse al tempo un articolo sul Los Angeles Times in cui riteneva che Rosemary sarebbe dovuta fuggire con il bambino nella sequenza conclusiva per correre in una cattedrale e pregare per la sua anima sull’altare.

Nei cinema italiani Rosemary's Baby fu distribuito il 24 dicembre 1968
Nei cinema italiani Rosemary’s Baby fu distribuito il 24 dicembre 1968

Per Polański un simile climax sarebbe stato incoerente con il suo modo di intendere la vita: «Sono ateo e rimarrò fedele al mio basale istinto materno fino alla fine» ma soprattutto in termini narrativi. La salvezza del figlio di Rosemary – per quanto augurabile – avrebbe significato il dissipare del tutto la tensione drammaturgica fino a quel punto abilmente costruita da Polański. Un gioiello di puro cinema insomma, un formidabile apripista del genere (L’Esorcista e Il Prescelto gli devono molto) dal fascino immutabile oggi più di ieri, cinquantacinque anni dopo.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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