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L’Esorcista | William Friedkin e la storia del più grande horror di tutti i tempi

Ellen Burstyn, Linda Blair e Max von Sydow, gli incidenti, Cruising. E l’importanza di Tubular Bells

Linda Blair in una rielaborazione grafica de L'Esorcista.

ROMA – Psicologi in sala, milioni di spettatori di tutto il mondo, l’iconica Tubular Bells di Mike Oldfield come colonna sonora. L’Esorcista di William Friedkin è andato ben oltre la sua dimensione filmica di autentica gemma pregiata della New Hollywood, abbracciando quella dell’esperimento sociale. Un fenomeno mediatico dall’aura maledetta capace di sconvolgere le menti degli spettatori più labili. Del resto è una storia vera quella alla base de L’Esorcista. Come ricordatoci dallo stesso regista nella presentazione contenuta nel prologo delle edizione Home Video: «Si basa su una storia avvenuta a Silver Spring, Maryland, nel 1949, ed è stata ampiamente riportata dalla stampa americana. Quando ho visto gli archivi alla Georgetown University sapevo che si sarebbe trattato, o doveva essere, qualcosa di più di un altro film dell’orrore: un film realistico su eventi inesplicabili».

I titoli di testa de L'Esorcista
I titoli di testa de L’Esorcista

Tratto dall’omonimo romanzo del 1971 di William Peter Blatty, i diritti di utilizzazione economica de L’Esorcista (lo trovate su CHILI) furono venduti alla Warner Bros per una cifra di poco inferiore a 650.000 dollari per una trasposizione di cui si occupò lo stesso Blatty. A questo punto si trattava di trovare il giusto volto registico che potesse trasporre una simile mole narrativa. Per Warner la prima e sola scelta corrispondeva al nome di Stanley Kubrick che però avrebbe preferito poter lavorare anche alla sceneggiatura (saprà rifarsi quasi un decennio dopo con Shining). Seguirono a ruota Arthur Penn – che dopo Gangster Story voleva tutto meno che realizzare un altro film marcatamente violento – Mark Rydell e Mike Nichols che non riusciva ad immaginare nessuno come attrice protagonista specie per l’età anagrafica della piccola Regan. La scelta cadde così sull’astro nascente Friedkin. Il motivo? Il suo passato da documentarista.

Linda Blair è Regan MacNeil in una scena de L'Esorcista
Linda Blair è Regan MacNeil

Ciò che Warner e Blatty volevano era qualcuno che potesse dare una forte impronta realistica al racconto. Ecco, è proprio questa la parola chiave: realismo. Con il suo linguaggio filmico innovativo Friedkin riuscì a mostrare una violenza esplicita narrativamente giustificata dal contesto e resa nuda e cruda dall’approccio registico. Quel suo raccontare cinema attraverso immagini rese carne viva che se ne Il braccio violento della legge mostrò il lato più sporco della vita da poliziotto, con L’Esorcista finì con il generare l’horror definitivo: «Ho sempre pensato che un film debba essere, innanzitutto, un’esperienza emotiva. Dovrebbe farti ridere, o piangere, o aver paura. Ma anche darti ispirazione, provocare la tua reazione, o farti riflettere». D’altra parte se il precedente Rosemary’s Baby raccontava il demonio in forma latente, lasciandone percepire la presenza, L’Esorcista lo esplicita in forma aggressiva e violenta, solo che il realismo di Friedkin incise anche sulla direzione degli attori.

«Il potere di Cristo ti espelle!»

Al fine di condizionarne la spontaneità nelle reazioni era solito utilizzare metodi parecchio ortodossi (gli stessi per cui Gene Hackman ne Il braccio violento fu più volte sul punto di aggredirlo). Linda Blair ed Ellen Burstyn, ad esempio, vennero legate e strattonate violentemente: la Burstyn accusò danni irrimediabili alla colonna vertebrale. William O’Malley venne addirittura preso a schiaffi. Come se non bastasse la lavorazione de L’Esorcista passò alla storia per una sequenza di incidenti occorsi a cast e (relativi) familiari. Dopo nemmeno due giorni di riprese un corto circuito causò un incendio che distrusse totalmente gli interni. Il figlio di Jack Miller ebbe un incidente in moto mentre stava andando a trovare il padre sul set. E in più nove persone legate al film (direttamente o indirettamente) morirono, tra questi il fratello di Max Von Sydow, la nonna della Blair e Jack MacGowran.

Ellen Burstyn è Chris MacNeil in una scena de L'Esorcista
Ellen Burstyn è Chris MacNeil

Come se non bastasse, una delle comparse (Paul Bateson) si scoprì essere un serial killer di omosessuali da cui Friedkin trarrà poi ispirazione per il killer di Cruising. La particolarità de L’Esorcista è però la sequenza d’apertura. Un autentico film-nel-film in cui Friedkin setta il tono del racconto presentandoci quel Padre Merrin/Von Sydow che rivedremo soltanto nel prodigioso climax rivestito del ruolo di deus ex machina ma che qui ci viene presentato costruendone un’aura da eroe leggendario ma debole, tramite scritte rosse su sfondo nero e un colore polarizzato dal grigio al candore dell’alba sino al rosso fuoco. Poi uno stacco di montaggio. Friedkin non ci mostra appieno il suo volto, scegliendo invece uno scorcio al tramonto. Tra mani tremanti e pillole per il cuore, qualcosa sembra turbare l’uomo. «Il male contro il male» dice il suo collaboratore, chiamandolo Padre. L’orologio a pendolo si ferma. Il silenzio dello scavo.

«Il male contro il male»

In una semi-soggettiva che diventa primo e primissimo piano, s’innalza la statua del demone Pazuzu: tra uomini armati e cani che si mordono alla gola, il primissimo piano del demone si sovrappone alle ringhia rabbiose, poi l’opposizione tra i due, la dissolvenza, e arriviamo a Georgetown. Da qui Friedkin getta le basi di una lotta secolare nel sottile legame del Maligno tra l’Iraq e la cittadina statunitense. In questo modo la violenza e l’orrore mostratici non risultano unicamente fine a sé stessi ma ragionati, calcolati, inseriti ad hoc in un quadro narrativo più vasto: l’eterna dicotomia bene/male giustificata così da Friedkin: «Negli anni, credo che molte persone prendano da L’Esorcista, quello che ci mettono dentro. È una storia che forse ti fa porre delle domande al tuo stesso sistema di valori. anche la tua sanità mentale perché fortemente e realisticamente cerca di porre l’idea di forze spirituali nell’universo».

I segni del Demonio sulla piccola Regan

«Se credi che il mondo sia un luogo buio e cattivo, allora L’Esorcista darà più forza a quell’idea. Ma se credi che c’è una forza del bene, che combatte e poi trionfa sul male, allora prenderai dal film quello che abbiamo cercato di metterci», una valutazione arricchita dalla caratterizzazione offerta dai personaggi in scena: tutti sbagliati ma veri. L’unità familiare difettata di casa MacNeil caratterizzata dall’uomo di casa assente, una figlia giocosa e piena di vita (Regan/Blair), una madre-single tenace, dai turpiloqui articolati, non-credente ma che invoca l’aiuto di Dio (Chris/Burstyn), e quel Padre Karras/Miller pauroso e scettico, dubbioso della sua solo apparentemente incrollabile Fede con cui giocare con il sottotesto religioso del racconto e porre i sigilli alla ratio filmica: «È un film sul mistero della fede. Credo che il fatto che abbia resistito per più di 25 anni, sia dovuto a cosa ti lascia dopo la visione».

«È un film sul mistero della fede. Credo che il fatto che abbia resistito per più di 25 anni, sia dovuto a cosa ti lascia dopo la visione»

La vera marcia in più de L’Esorcista è però il contesto scenico dei MacNeil, e quel Maligno lasciato crescere alla distanza tramite semplici rantolii in soffitta, una luce soffusa e adombrata, per poi degenerare nel crudo meccanismo delle possessioni esplicato in minacce di morte, urinate sul tappeto, vomito, crocifissi usati per atti d’onanismo, incitazioni all’incesto, sino a contorsioni, manipolazioni vocali, oltre che fisiche nel vedere il viso di Regan emaciato e lacerato. La crescita della presenza demonica de L’Esorcista permette a Friedkin di sbizzarrirsi tra un’effige della Madonna dalle parti intime “puntute” e insanguinate, o nella celebre sequenza onirico-subliminale di Padre Karras che, uscito dalla Metro, tenta invano di raggiungere la madre defunta e infine avvolta dal Demonio. Elementi talmente spontanei che L’Esorcista non ha nemmeno bisogno di jump-scare calcolati al millesimo per generare orrore e tribolazioni: semplicemente lasciarli vivere nella loro natura malefica.

Padre Merrin alla resa dei conti nella scena madre de L'Esorcista
Padre Merrin alla resa dei conti nella scena madre de L’Esorcista

Non deve stupire quindi come, giunti alla risoluzione del conflitto scenico, L’Esorcista sprigioni tutta la sua carica orrorifica spingendo al massimo l’acceleratore. Nel momento di quiete in cui Friedkin permette allo spettatore di prendere una boccata d’ossigeno riconsegnandoci alle vista confortante di Merrin e del suo ingresso scenico da cowboy consumato pronto al duello che aspettava da tutta una vita, Friedkin consegna a una linea dialogica un avvertimento, quasi a ricordare al pubblico come, varcata quella soglia, nulla sarà più come prima nella sua esperienza di spettatore: «È particolarmente importante l’avvertimento di evitare qualsiasi dialogo con il demone. Il demone è bugiardo, mentirà per confonderci e alle menzogne mescolerà anche la verità, la sua è una aggressione psicologica e potente». A quel punto L’Esorcista trascende il suo stesso mezzo filmico per porsi come spaventosa sfida uno-contro-uno tra l’esperienza della sala e la stessa fruizione.

Nel climax Pazuzu emerge dal corpo-crisalide di una Regan ormai esausta

Perché tra rantoli spaventosi e oscenità, teste girate e manipolazioni, acqua santa e sputi, in un prezioso gioco di sovrapposizioni e dissolvenze da cui far riemergere Pazuzu dal prologo iracheno per farlo esteriorizzare in un corpo umano reso ormai semplice guscio/crisalide, L’Esorcista si scatena tra visioni e colpi al cuore in un climax che vede la vittoria del demonio, la resa del bene, e l’arrendevole incapacità della luce di prevalere sull’ombra. Eppure, e a quasi cinquant’anni di distanza dal rilascio in sala (fu presentato il 26 dicembre 1973) sembra sempre più evidente, l’opera di Friedkin vive di una strabiliante dissonanza cognitiva. In una puntata de Eli Roth’s History of Horror, Quentin Tarantino ha raccontato di come, all’epoca, sua madre gli avesse permesso di vedere (letteralmente) qualsiasi cosa, tranne che L’Esorcista: temeva che il Diavolo potesse possedere gli spettatori. Questo e altri aneddoti hanno contribuito ad arricchire il suo retaggio.

«Negli anni, credo che molte persone prendano da L’Esorcista, quello che ci mettono dentro. Ti fa porre delle domande al tuo stesso sistema di valori»

Il film maledetto per eccellenza è ben lontano dall’essere una feroce invocazione demonica. Nel taglio squisitamente realistico e crudo delle immagini costruite, la scelta di mostrarci il Maligno e i suoi segni in modo esplicito e violentemente vivo generano, si, empatia e crisi di valori nello spettatore, ma è talmente raffinato l’occhio di Friedkin da mostrarcelo attraverso una lente documentarista che finisce con l’attenuarne la ferocia d’intenti così da permetterci di compiere quel necessario passo indietro con cui non precipitare in una altrimenti inevitabile spirale di disperazione e follia. Lo spettatore invece c’è, è vivo, vede Regan rifiorire e la vita tornare alla normalità. Quello de L’Esorcista è solo un leggendario e sopraffino gioco registico che nel trascendere il genere, finisce con il consegnarsi all’immortalità cinematografica ricordandoci una preziosa lezione: il potere immaginifico della Settima Arte non ha limiti.

  • STORIE | L’Esorcista | La storia vera che ha ispirato il film
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  • STORIE | L’Esorcista | Dal libro di Blatty al film di Friedkin

Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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