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Nosferatu | Murnau, Werner Herzog e un capolavoro che visse due volte

La causa con Florence Balcombe, il mito di Max Schreck, Klaus Kinski e l’origine del vampiro…

Il Nosferatu di Murnau in una rielaborazione grafica francese.

ROMA – «Sono convinto che non ci sia film tedesco migliore di Nosferatu – Il vampiro. Ha dato al cinema tedesco una legittimità che poi Hitler avrebbe distrutto, per questo per me è così importante». Sono parole di Werner Herzog che del Nuovo Cinema Tedesco/Neuer Deutscher Film è stato co-fondatore e padre accanto al genio dei Fassbinder, von Trotta, Wenders. Presentata a Berlino il 4 marzo 1922, l’opera diretta da Friederich Wilhelm Murnau fu pionieristica e visionaria nel suo essere anticipatrice allegorica della peste antisemita, un’autentica guida per le generazioni future di cineasti: «Eravamo la prima generazione del Dopoguerra e non avevamo padri, mentori, insegnanti, maestri: una generazione di orfani. L’unico tipo di riferimento è stata la generazione dei nonni: l’era del muto del cinema espressionista». Cinquantasette anni dopo l’allievo diventò il maestro. Herzog diede alla luce Nosferatu, il principe della notte del 1979 diventando egli stesso nonno e guida.

«Sono convinto che non ci sia film tedesco migliore di Nosferatu – Il vampiro»
«Sono convinto che non ci sia film tedesco migliore di Nosferatu – Il vampiro»

Un atto d’amore puro verso il passato del grande cinema tedesco, il punto di partenza, che se a detta di Herzog «Basta a sé stesso, non ho rifatto Nosferatu» rappresentò in realtà la ricostruzione dell’essenza filmica del capolavoro di Murnau per restituirlo al Nuovo Cinema Tedesco, agli uomini del suo tempo, e a nuove generazioni di cinefili tedeschi (e non) in cerca di ispirazione. Andiamo con ordine però perché l’originale Nosferatu ha dalla sua una strabiliante storia realizzativa. La casa di produzione dietro Nosferatu era la Prana Film fondata da Enrico Dieckmann e l’artista dell’occulto Albin Grau che affermò di essere stato ispirato a realizzare film sui vampiri da un’esperienza di guerra: nell’inverno del 1916 un contadino serbo gli disse che suo padre era un non-morto. Ingaggiato Henrik Galeen per lo script, gli fu chiesto di realizzare un’opera ispirata al romanzo Dracula di Bram Stoker del 1897.

L’ombra di Nosferatu

C’era un problema però. La Prana non ebbe mai l’autorizzazione a procedere dalla vedova di Stoker, Florence Balcombe, né le pagò mai i diritti di utilizzazione economica dell’opera. Galeen procedette comunque nel buttare giù una sceneggiatura poeticamente ritmata caratterizzata da alcuni elementi narrativi pesantemente modificati – incluso il conte Dracula qui ribattezzato come Conte Orlok – così da rendere Nosferatu un prodotto tanto simile nell’inerzia quanto originale nella struttura così da sviare l’attenzione dalla palese violazione di copyright. Eppure, a detta dello storico di cinema David Kalat, le motivazioni dietro una simile scelta potrebbero essere meno diaboliche e più semplici: «Nosferatu era un film a basso budget realizzato da tedeschi per il pubblico tedesco. I nomi furono modificati per renderlo più immediato». Poco importò alla Balcombe che nel 1925 citò comunque in giudizio Murnau, Galeen e la Prana Film che poco dopo si trovò costretta a dichiarare bancarotta.

Max Schreck è il Conte Orlok in una scena di Nosferatu
Max Schreck è il Conte Orlok

Il risultato? Il tribunale emanò una sentenza che ordinò la distruzione di tutte le copie del film, o quasi. Alcune sono riuscite ad arrivare sino ai giorni nostri permettendoci di godere dell’incredibile Nosferatu centenario. Un’opera che pur mai autorizzata e a conti fatti fuorilegge, vedeva la sua narrazione crescere nella ferocia con cui raccontare della paura dell’Altro e di possibili sfumature antisemite nel rappresentare «Un’invasione della patria tedesca da parte di una forza esterna che pone inquietanti parallelismi con l’atmosfera antisemita nell’Europa del 1922» di un Orlok lugubre e meccanico Dracula dai lineamenti arcuati e puntuti, portatore di topi sporchi e pestilenziali riconducibili alla concezione propagandistica dell’ebreo come agente patogeno. Elementi la cui paternità è attribuibile più a Galeen piuttosto che a specifiche intenzioni autoriali di un Murnau che in quanto omosessuale dichiarato era sensibile al concetto di persecuzione di un sottogruppo culturale della più ampia società tedesca.

Nosferatu: un’opera fuorilegge

Di Murnau c’erano invece i paesaggi selvaggi, la nostalgica tendenza alla trasfigurazione romantica dei tempi pre-industriali sulla scia del contemporaneo Destino di Fritz Lang, la varietà colorita di flora e fauna. Tutti elementi con cui simboleggiare l’intrinseco legame tra vampirismo e natura così da normalizzare Orlok collocandolo all’interno di uno specifico sistema di valori. C’è però un’ulteriore curiosità che è bene ricordare. Per via della traballante situazione economica in cui verteva, la Prana fornì la troupe di un’unica fotocamera disponibile: c’era un solo negativo originale di Nosferatu. Murnau seguì attentamente lo script di Galeen e le istruzioni scena per scena sul dove posizionarla per ottenere la giusta illuminazione. Era incompleta però. Nel pieno della lavorazione Murnau scoprì che circa dodici pagine erano prive delle indicazioni registiche. Le scrisse di suo pugno. Riguardavano il climax: Ellen che si sacrifica e Orlok che muore alle luci dell’alba.

Nosferatu: simboleggiare l’intrinseco legame tra vampirismo e natura

Inavvertitamente, con questa piccola ma grande scena, Murnau codificò il topos della morte del vampiro per mezzo dei raggi solari che avrebbe poi fatto grande questo specifico sottogenere del cinema horror. Negli anni trenta verrà approntata una versione sonorizzata di Nosferatu/La dodicesima ora: Una notte d’orrore del tutto apocrifa priva del nome di Murnau nei titoli di testa. Larga parte del retaggio secolare di Nosferatu riguarda però l’enigmatica figura di Orlok su cui aleggiano da decenni strane e strampalate leggende: che sotto il trucco fosse celato un irriconoscibile Murnau, che il suo interprete fosse un vampiro ingaggiato dal regista dopo un viaggio nei Carpazi, e perfino che il suo interprete accreditato (Max Schreck) fosse in realtà un vampiro egli stesso. Su quest’ultima ipotesi colorita il regista E. Elias Merhige ha realizzato nel 2000 il gioiellino di fantasioso meta-cinema L’ombra del vampiro con protagonisti John Malkovich/Murnau e Willem Dafoe/Schreck.

E se Max Schreck fosse stato un vero vampiro?

Un’aura leggendaria da cui ripartì Herzog per il suo Nosferatu (lo trovate su CHILI) che in termini tecnici differisce dal predecessore sotto alcuni aspetti. Alla morte della Stoker – e con il romanzo originale in pubblico dominio a partire dal 1979 – fu possibile tornare indietro operando la transizione morfologica dal Conte Orlok a Dracula così da riequilibrarne il dislivello ontologico all’origine. Il risultato? Far rivivere l’eredità artistica dell’opera di Murnau (finalmente) nella legalità del diritto. Presentato alla Berlinale29 il 25 febbraio 1979, Nosferatu, il principe della notte fu una co-produzione tedesco-francese Werner Herzog Filmproduktion/Gaumont con un’azione di supporto da parte del servizio pubblico televisivo della Germania occidentale (ZDF). Girato con un budget esiguo al pari del suo predecessore, i diritti di distribuzione internazionale furono acquistati dalla 20th Century Fox che chiese ad Herzog di realizzare due versioni del film: una in inglese, una in tedesco, e non back-to-back.

Nosferatu - Il principe della notte: riportare il mito nella legalità
Nosferatu – Il principe della notte: riportare il mito nella legalità

Nosferatu fu girato in doppia lingua, con alcune scene in inglese ed altre in tedesco, per poi darvi omogeneità linguistica in post-produzione nella fase di doppiaggio. A detta di Herzog però la versione più autentica delle due è quella originale/tedesca. Un’opera che, come ogni capolavoro degno di nota, fu capace di trascendere il genere di riferimento. «Molto più di un film dell’orrore» secondo il regista tedesco: «Nosferatu è una forza di cambiamento ambivalente e magistrale dove ha luogo una rivalutazione della vita e del suo significato: quando la peste minaccia la città le persone gettano le loro proprietà nelle strade, scartano i loro ornamenti borghesi». Una rilettura attraverso cui operare una transizione semantica che – al pari di quella morfologica – riequilibra l’opera di Murnau nella sua contemporaneità debellandone del tutto i sapori antisemiti in favore di ragioni altre, nuove, di evoluzione e civiltà.

«Molto più di un film dell’orrore, è una forza di cambiamento ambivalente e magistrale»

Cambia, di riflesso, anche il ruolo scenico di Orlok/Dracula, che da agente patogeno evolve nella dimensione romantica di un uomo senza libero arbitrio, o per usare le parole di Herzog: «Un essere che non riesce a morire, a partecipare all’amore umano, a vivere la luce del giorno, il terrore di restare per sempre non-morto. […] Il mio vampiro è così infelice nella sua solitudine e irrimediabilmente triste che in capo a due minuti lo spettatore non vede più le unghia ricurve o le orecchie appuntite», soltanto il suo cuore triste. Grande merito del successo di Nosferatu è ascrivibile alle performance intensa ed umana di Klaus Kinski che nel ricalcare lo spettrale Orlok/Schreck dà al personaggio un’intrinseca umanità drammatica in cui è possibile leggere dentro ai suoi occhi di non-morto. Giunto alla terza collaborazione con Herzog (Aguirre furore di Dio, Woyzech), quella di Nosferatu fu certamente una delle più intense.

Orlok/Dracula: da agente patogeno a vampiro dal cuore triste

Per la celebre scena dell’arrivo di Orlok/Dracula e dei suoi topi portatori di peste a Wismar, Herzog ottenne 11.000 roditori da una struttura di ricerca scientifica olandese. Dal report del biologo comportamentale Maarten’t Hart assunto da Herzog per occuparsene, sembra che gli animali furono trattati in modo disumano sul set, al punto che oggi un film come Nosferatu non vedrebbe la luce e la produzione trascinata in tribunale. A detta di Herzog però «I topi che compaiono nel film si sono comportati meglio di Kinski sul set». Per diventare vampiro Kinski era costretto a sessioni da quattro ore di make-up con la truccatrice giapponese Reiko Kruk in cui manifestava pazienza e serenità, questo nonostante odiasse essere eccessivamente truccato per un ruolo. Solo che era Kinski: le violente esplosioni emotive erano all’ordine del giorno.

Klaus Kinski e Isabelle Adjani in una scena di Nosferatu - Il principe della notte
Klaus Kinski e Isabelle Adjani

Sul set di Aguirre furore di Dio, Herzog imparò un trucchetto utile per gestirne l’inerzia combattiva. Lo provocava deliberatamente in modo da farlo esplodere sul momento per poi lasciarlo esaurire nel corso delle ore. Non appena ripresosi sarebbe stato pronto per girare: e funzionò, portando a casa uno dei più grandi film della storia a cavallo tra tradizione e innovazione, passato e presente, rinascita e prosecuzione, una grande (e doppia) pagina del nostro amato cinema: Nosferatu, o di un capolavoro d’orrore che visse due volte.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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