MILANO – Nello scrivere di cinema ci si imbatte talvolta in titoli che, più che film da recensire, rappresentano vere e proprie esperienze da vivere: La pantera delle nevi di Marie Amiguet e Vincent Munier è uno di questi. Il documentario, trionfatore agli ultimi César, è il racconto in immagini di un viaggio in Tibet ad opera del fotografo naturalista Vincent Munier e del romanziere Sylvain Tesson, autore dell’omonimo romanzo, in Italia edito da Sellerio. I due si ritrovano negli altopiani tibetani a contemplare nella bellezza faunistica i vessilli di un’era interrotta, quegli esseri viventi incontaminati e meravigliosi, la cui sopravvivenza è minacciata da un mondo sempre più fuori controllo.

Il felino del titolo è, invece, l’essere più perfetto che si possa ammirare tra quelle valli inesplorate e che i due avventurieri auspicano di incrociare sul loro cammino. La pantera delle nevi è un’opera immersiva in cui lo spettatore assiste ad una ricerca reale, rendendosi tuttavia egli stesso soggetto attivo di una ricerca spirituale. Accomodarsi accanto a Munier e Tesson nei loro appostamenti diventa l’occasione per fuggire dal ritmo epilettico dei nostri tempi e abbracciare l’incertezza dell’in(de)finita vita interiore. Nella pellicola si sottolinea quanto fondamentale sia oggi il doppio esercizio della pazienza e dell’attenzione, due volti complementari di ciò che chiamiamo amore, nonché esperienze dalle quali sempre più ci discostiamo per paura o mimetismo sociale.

Ecco che invece l’attesa di quella pantera invita ad ignorare il tempo e ad avere la pazienza di aspettare anche ciò che potenzialmente non si concretizzerà e che, in quanto tale, potrebbe forse esser ancor più affascinante. Azzeccata la scelta del doppiaggio italiano affidato alla voce soave e rasserenante di Paolo Cognetti, l’autore del bellissimo Le otto montagne che presto vedremo trasposto in sala. Lo abbiamo incontrato all’anteprima milanese e ci ha spiegato quanto pregnante sia nel film il conflitto tra illuminismo e buddismo, quest’ultima una filosofia che nell’ignoto ritrova quella grazia che il raziocinio della logica occidentale sta perdendo di vista. Quella pantera è un po’ come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now: il film esiste in funzione di un personaggio leggendario che – forse – vedremo alla fine, ma che, con la potenza della sua inconoscibilità e l’aura del suo mistero, riesce a pervadere un’intera pellicola.

E nell’attesa della pantera, osserviamo intanto tante altre meravigliose specie viventi che, al pari di attori professionisti, determinano nel pubblico reazioni di stupore, divertimento, infinita tenerezza e persino paura con la loro mera espressività. Ecco così che un viaggio estremamente fisico, anche per le complicate condizioni meteorologiche alle quali sono sottoposti i due, si trasforma ben presto in un cammino metafisico verso l’armonia, quella parola sempre più difficile da concepire nell’oggi. Quel viaggio diventa celebrazione di bellezza, una scelta rivoluzionaria nella tendenza dilagante a narrare e indugiare sul baratro della disperazione. E quel viaggio, infine, diventa spunto per ricordarsi che la Terra esiste oltre l’essere umano e al di là dell’essere umano: la nostra unica speranza per la sua salvezza imperitura. A condire la magia di un’opera tanto eterea le note di Warren Ellis e la voce di Nick Cave che, in un brano composto per il film, ci consola nella consapevolezza che non siamo soli. We Are Not Alone.
- VIDEO | Il video di We Are Not Alone di Nick Cave:
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