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Un film? No, un’esperienza da vivere: perché dovreste vedere La pantera delle nevi

La natura, il silenzio, l’attesa e Nick Cave: se volete fare un viaggio, ecco il titolo per voi

Solitaria e invisibile: una scena de La pantera delle nevi.

MILANO – Nello scrivere di cinema ci si imbatte talvolta in titoli che, più che film da recensire, rappresentano vere e proprie esperienze da vivere: La pantera delle nevi di Marie Amiguet e Vincent Munier è uno di questi. Il documentario, trionfatore agli ultimi César, è il racconto in immagini di un viaggio in Tibet ad opera del fotografo naturalista Vincent Munier e del romanziere Sylvain Tesson, autore dell’omonimo romanzo, in Italia edito da Sellerio. I due si ritrovano negli altopiani tibetani a contemplare nella bellezza faunistica i vessilli di un’era interrotta, quegli esseri viventi incontaminati e meravigliosi, la cui sopravvivenza è minacciata da un mondo sempre più fuori controllo.

Sul set de La pantera delle nevi, in attesa.

Il felino del titolo è, invece, l’essere più perfetto che si possa ammirare tra quelle valli inesplorate e che i due avventurieri auspicano di incrociare sul loro cammino. La pantera delle nevi è un’opera immersiva in cui lo spettatore assiste ad una ricerca reale, rendendosi tuttavia egli stesso soggetto attivo di una ricerca spirituale. Accomodarsi accanto a Munier e Tesson nei loro appostamenti diventa l’occasione per fuggire dal ritmo epilettico dei nostri tempi e abbracciare l’incertezza dell’in(de)finita vita interiore. Nella pellicola si sottolinea quanto fondamentale sia oggi il doppio esercizio della pazienza e dell’attenzione, due volti complementari di ciò che chiamiamo amore, nonché esperienze dalle quali sempre più ci discostiamo per paura o mimetismo sociale.

Aspettando, in fuga dal nostro tempo.

Ecco che invece l’attesa di quella pantera invita ad ignorare il tempo e ad avere la pazienza di aspettare anche ciò che potenzialmente non si concretizzerà e che, in quanto tale, potrebbe forse esser ancor più affascinante. Azzeccata la scelta del doppiaggio italiano affidato alla voce soave e rasserenante di Paolo Cognetti, l’autore del bellissimo Le otto montagne che presto vedremo trasposto in sala. Lo abbiamo incontrato all’anteprima milanese e ci ha spiegato quanto pregnante sia nel film il conflitto tra illuminismo e buddismo, quest’ultima una filosofia che nell’ignoto ritrova quella grazia che il raziocinio della logica occidentale sta perdendo di vista. Quella pantera è un po’ come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now: il film esiste in funzione di un personaggio leggendario che – forse – vedremo alla fine, ma che, con la potenza della sua inconoscibilità e l’aura del suo mistero, riesce a pervadere un’intera pellicola.

Un altro momento del documentario.

E nell’attesa della pantera, osserviamo intanto tante altre meravigliose specie viventi che, al pari di attori professionisti, determinano nel pubblico reazioni di stupore, divertimento, infinita tenerezza e persino paura con la loro mera espressività. Ecco così che un viaggio estremamente fisico, anche per le complicate condizioni meteorologiche alle quali sono sottoposti i due, si trasforma ben presto in un cammino metafisico verso l’armonia, quella parola sempre più difficile da concepire nell’oggi. Quel viaggio diventa celebrazione di bellezza, una scelta rivoluzionaria nella tendenza dilagante a narrare e indugiare sul baratro della disperazione. E quel viaggio, infine, diventa spunto per ricordarsi che la Terra esiste oltre l’essere umano e al di là dell’essere umano: la nostra unica speranza per la sua salvezza imperitura. A condire la magia di un’opera tanto eterea le note di Warren Ellis e la voce di Nick Cave che, in un brano composto per il film, ci consola nella consapevolezza che non siamo soli. We Are Not Alone.

  • VIDEO | Il video di We Are Not Alone di Nick Cave:

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