ROMA – Tra Il braccio violento della legge e L’Esorcista, William Friedkin seppe imporsi alla metà degli anni Settanta come uno degli autori di riferimento della New Hollywood grazie al suo approccio registico autentico e rischioso, realistico ed estremo. Due infatti le nomination agli Oscar nella categoria come miglior regista dell’Academy tra il 1972 e il 1974, che nel primo caso si tradusse anche in vittoria. Negli anni Ottanta però, tutto cambiò. Cruising, oggi ritenuto tra le massime vette dell’opus friedkiniano, al momento del rilascio in sala collezionò soltanto polemiche tra i membri della comunità LGBT e venne stroncato. Lo stesso dicasi per L’affare del secolo che, pur con un Chevy Chase post-SNL sulla cresta dell’onda, ebbe ben poco impatto commerciale (eufemismo). Per certi versi quindi, quello di Vivere e morire a Los Angeles, uscito il 31 ottobre del 1985, è da intendersi come un ritorno alle origini risolutore e necessario.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo del 1984 di Gerald Petievich di cui il cineasta ne rimase affascinato. Lo colpì, principalmente, il realismo e la surrealistica natura del lavoro compiuto da Petievich, scrittore di successo con alle spalle un passato da Agente Speciale dei Servizi Segreti statunitensi dal 1970 al 1985. Un terreno narrativo quindi familiare e confortevole quello di Vivere e morire a Los Angeles per Friedkin che nella dura vita dell’uomo di legge in bilico tra legalità e giustizia privata ha saputo costruire le sue e le fortune filmiche de Il braccio violento della legge. C’era un problema però. A partire dal pregevole, ma poco acclamato Sorcerer – Il salario della paura del 1978 – remake dell’immortale Vite vendute di Clouzot (qui per il nostro Revisioni) – Friedkin si guadagnò – al pari di Michael Cimino dopo I cancelli del cielo qualche anno dopo – l’etichetta di regista ambizioso ma economicamente rischioso.

Il budget dell’ambizioso Sorcerer fu di 22 milioni di dollari: ne incassò 9 world-wide di cui appena 5 in America, ovvero un disastro totale. Fu quindi di appena 6 milioni di dollari il budget messo a disposizione dalla Metro-Goldwyn-Mayer per Vivere e morire a Los Angeles. Nulla tuttavia che frenasse la creatività di un Friedkin che come la storia ci ha insegnato ha saputo trarre il meglio dalle situazioni di crisi. Complice la natura da low-budget di Vivere e morire a Los Angeles, Friedkin scelse di non disporre né di professionisti iscritti al sindacato (il DoP Robby Müller ad esempio, non lo era) né di grossi nomi come interpreti principali affidandosi così ad emergenti e giovani in rampa di lancio. Le suggestioni Jeff Bridges, Richard Gere ma soprattutto Harrison Ford come volto scenico dell’Agente Speciale Richard Chance restarono tali.

Il primo nome provinato fu quello di Gary Sinise che, tuttavia, non corrispose alle attese di Friedkin. Negatogli quindi il ruolo, Sinise stesso consigliò a Friedkin proprio il concittadino William Petersen. L’appena trentaduenne attore di Evanston, area metropolitana a nord di Chicago, da poco esordiente con Thief – Strade violente di Michael Mann, non ci mise molto ad ottenere la parte: poche pagine di sceneggiatura, grande intensità e per Friedkin il gioco era fatto. Inerzia non dissimile per la scelta di John Pankow. Fu lo stesso Petersen a candeggiarlo per il ruolo di Vukovich. I due avevano già lavorato in molte occasioni a Chicago. Nessuna obiezione da parte di Friedkin che per la buona riuscita di Vivere e morire a Los Angeles necessitava di vera chimica relazionale tra gli interpreti della coppia di sbirri Chance-Vukovich.

Il risultato fu che, a quasi un anno dal rilascio in sala (fu presentato a Los Angeles, il 31 ottobre 1985) Pankow incontrò in un bar un agente sotto copertura della Polizia di New York che lo elogiò per la sua performance intensa ed umana: il vero punto di forza attoriale di Vivere e morire a Los Angeles nonostante un Willem Dafoe ben più rodato e sugli scudi. In particolare l’agente senza nome gli fece i complimenti per la celebre scena dell’attacco di panico nel mezzo dell’inseguimento autostradale contromano. A detta sua la reazione avuta da Vukovich era realistica e accurata sin nei minimi dettagli. Al destino di Vivere e morire a Los Angeles è legato quello del cineasta Michael Mann e non solo perché Petersen troverà la definitiva consacrazione nel successivo Manhunter – Frammenti di un omicidio.

Secondo quanto riportato dalle cronache dell’epoca, nel 1985 Mann citò in giudizio Friedkin per plagio. L’accusa sosteneva che Friedkin avesse copiato il concept della puntata pilota di Miami Vice (Brother’s Keeper) per dar forma al soggetto filmico. Il tutto si concluse in un nulla di fatto e, paradossalmente, tra Mann e Friedkin nacque una sincera amicizia tanto da parlare così dell’accaduto: «Michael ed io siamo buoni amici da anni, non è mai successo niente del genere, è uno dei miei registi preferiti perché cerca di fare film come i miei». Quella che conosciamo, tuttavia, non è da intendersi come l’unica versione esistente di Vivere e morire a Los Angeles. No, non parliamo di un prodigioso director’s cut alla maniera del re-cut de Il Padrino Parte III (Il Padrino Coda: La morte di Michael Corleone) o delle molteplici versioni di Blade Runner (qui per il nostro Longform).

Un paio d’anni dopo il rilascio in sala, nei suoi primi passaggi televisivi, le emittenti statunitensi trasmisero una versione ridotta, raffazzonata e a bassa risoluzione di Vivere e morire a Los Angeles: un bootleg cinematografico praticamente caratterizzata da una particolarità. Nelle grafiche a inizio pellicola e nei titoli di coda non vedrete mai il nome di Friedkin, bensì quello di tale Jackson Fourre, una versione friedkiniana di John Doe/Alan Smithee probabilmente. Da chiedersi quindi se effettivamente sia stata un’operazione avallata dallo stesso Friedkin – e quindi prevista dal suo contratto – o semplicemente un raggiro da pirateria old-fashioned. In ogni caso, tutte le copie della versione di Fourre sono andate perdute. Elemento in comune in ambo le versioni però, manco a dirlo, è l’impronta registica realistica e marcata.

In Il braccio violento della legge si tradusse, principalmente, nella celebre sequenza dell’inseguimento talmente spericolata che fu autorizzata dal NYTA (New York Transit Authority) solo perché l’impiegato era un fan di Friedkin. Con Vivere e morire a Los Angeles però Friedkin volle esaltarsi, andare oltre! Assunse come consulenti tecnici due autentici falsari: ex detenuti condannati per contraffazione di denaro. Il risultato fu che le banconote prodotte da Eric Masters/Willem Dafoe nell’incipit erano talmente di qualità eccellente che considerarle un semplice oggetto scenico avrebbe significato sminuirne il senso: era autentico denaro contraffatto («Falso si, ma a regola d’arte!» dirà Friedkin al riguardo). Ecco, nonostante gli sforzi della troupe, alcune di quelle banconote entrarono in circolazione. Ci vollero mesi prima che l’FBI riuscisse a venirne a capo specie perché la gente iniziò a prendere molto sul serio la tecnica di contraffazione mostrata da Friedkin per bocca di Masters.

«Quando è uscito il film iniziarono a saltar fuori casi di persone che cercavano di fare (i propri) soldi falsi dopo aver visto il processo passo dopo passo. So che mi metterò nei guai nel dirlo ma, è vero, presi un paio di ventoni, quelli stampati da entrambi i lati naturalmente. Li ho messi nel portafoglio e li ho spesi in ristoranti, lustrascarpe, e altrove: quei soldi erano così buoni…» disse Friedkin al riguardo ammettendo di esser stato, in una piccolissima parte, anche lui parte del problema di quel denaro messo in circolo. Un’ulteriore curiosità riguarda però le scene tagliate. Scandagliando un po’ i succosi extra dell’edizione in DVD scopriamo di un finale alternativo che se montato e scelto nel cut cinematografico avrebbe completamente ribaltato l’inerzia del racconto lanciando Vivere e morire a Los Angeles verso terreni narrativi meno nichilisti e più canonici.

Nel finale (scartato) l’Agente Chance sopravvive agli eventi del climax. La fucilata non gli arriva in piena faccia ma nello stomaco così da gettare ipoteticamente le basi per un potenziale ed economicamente ricco sequel alla maniera de Il braccio violento della legge n°2. Friedkin rivelò come la MGM spinse molto in quella direzione: «Si, ho girato un altro finale, che è terribile, con i due protagonisti che sono sopravvissuti e dove Petersen non è morto. Mi pregarono di usarlo. Mi dissero che avremmo fatto molti più soldi se non lo uccidessimo, al pubblico piace, ma io non ne ero sicuro». Friedkin si oppose con tutte le forze. Credeva infatti che se Chance fosse sopravvissuto Vivere e morire a Los Angeles avrebbe perso larga parte del suo senso, della sua ratio filmica: «Sentivo che ciò che avevamo raggiunto era organico. Richard sfidava il destino ad ogni occasione».

Il motivo di questa presa di posizione di Friedkin – per quanto anti-produttiva e suicida dal punto di vista della MGM – era riconducibile al suo percorso come artista, all’essenza stessa del suo cinema: «Molti dei miei film hanno a che fare con il mistero del fato, del proprio destino, sembrava giusto, coerente, che a un certo punto di Vivere e morire a Los Angeles, Chance perdesse» senza contare che è proprio nel climax che l’opera di Friedkin assurge nel pantheon dell’immortalità artistica. Spostando il focus del racconto su quel Vukovich/Pankow fino a quel punto deuteragonista eccellente che resta un passo indietro nel confronto a distanza tra quei Petersen/Chance – Dafoe/Masters, due facce della stessa medaglia della dicotomia bene/male, Friedkin lo veste della caratterizzazione malevola e cinica del suo critico protagonista appena defunto.

Il risultato è figlio delle cicatrici indelebili di eventi traumatici misto a sensi di colpa tra fucilazioni e fiamme. Un formidabile bricolage filmico di sospensione dell’incredulità e del tempo scenico tra passato e presente che dà quel tocco in più di poetica nichilista a un racconto di suo già leggendario. Giunto nelle sale italiane il 24 aprile 1986, il coraggio delle scelte di Friedkin ha permesso a Vivere e morire a Los Angeles di osare quel passo in più in termini narrativi traducibile in un canonico e sbrigativo «Uccidere il protagonista» che permette però di giocare con il genere e le sue inerzie tipiche, nonché caricare di valore la narrazione in essere e le cariche valoriali-tematiche di cui si fa portatrice, specie se rapportata all’intera filmografia di Friedkin.

Complice anche il gioco del destino attorno alla caratterizzazione di Chance – autentico cuore narrativo del racconto – non si sbaglia nel definire Vivere e morire a Los Angeles il Il braccio violento della legge degli anni Ottanta. C’è tutto infatti che va a rievocare il pluripremiato capolavoro di Friedkin: la dinamica non-buddy tra sbirri Chance-Vukovich dall’inerzia non dissimile da quella di Doyle-Russo, l’inseguimento in auto come scena madre del racconto – con la differenza che, per la prima volta in un poliziesco, sono i cattivi ad inseguire i buoni e non l’opposto – ma soprattutto il modus operandi degli eroi protagonisti. Proprio come Papà Doyle/Gene Hackman Chance agisce nell’irta e sottile terra di confine tra legalità e giustizia privata, burocrazia dipartimentale e deliri totalitaristici alla «La legge sono io» alla maniera di Cobretti/Stallone in Cobra.

A mancare però è lo sporco e il sudiciume della New York friedkiniana e senza filtri de Il braccio violento della legge. Al suo posto il glam e la fatiscenza barocca di una Los Angeles popolosa e dallo spirito desolante, dove il lercio delle strade viene attenuato da uno spirito natalizio impercettibile e latente reso del tutto nullo da fiumi di sangue e straripante violenza fisica e morale. Una Los Angeles all’ombra degli ultimi e arrendevoli eroi senz’anima quella di Friedkin, avvolta nel malinconico rosso di albe e tramonti tra malevole intenzioni e mucchi di carta straccia, esasperata infine dalla martellante ed evocativa colonna sonora di Wang Chung: emblema, esplicitazione e manifesto delle sonorità della sua epoca di riferimento, esattamente al pari di Vivere e morire a Los Angeles con il poliziesco anni Ottanta.
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- VIDEO | Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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