MILANO – Se davvero amate il cinema, beh, allora fermate tutto e comperate questo libro, perché qui dentro c’è più cinema di quanto ne troverete mai in decine di serie TV o di nuovi film. Appena pubblicato in Italia da Jimenez Edizioni (lo trovate qui), Il grande addio di Sam Wasson è un libro potentissimo che porta il lettore dietro le quinte di uno dei più grandi cult della storia del cinema del Novecento: Chinatown di Roman Polanski con la coppia Jack Nicholson e Faye Dunaway, uscito in sala in Italia il 13 dicembre del 1974 . In questo estratto del libro che Hot Corn vi propone viene raccontata proprio la partenza di quel film, da molto lontano: le vite dei quattro personaggi che avrebbero poi generato il mito di Chinatown: Jack Nicholson, Robert Evans, Robert Towne e – ovviamente – Roman Polanski. Buona lettura.
«Jack Nicholson, ragazzo, non avrebbe mai dimenticato le volte che si era seduto al bar con John J. Nicholson, suo omonimo e forse addirittura suo padre, un piccolo, azzimato irlandese con gli occhiali. Portava ben pettinati i pochi capelli rossi che gli erano rimasti e si era separato da tempo dalla madre di Jack; la loro storia d’amore liceale aveva fatto la fine di un qualsiasi drink disponibile. Avevano detto a Jack che un tempo John era stato un grande giocatore di baseball e che decorava le vetrine dei negozi, tipo tutti e cinque gli Steinbach di Asbury Park, anche se l’unico posto dove Jack avesse mai visto quell’uomo era al bar, a bere brandy all’albicocca e cognac Hennessy, shot dopo shot, aspettando pazientemente la manna dal cielo. La madre di Jack, Ethel May, gli raccontò che aveva cominciato solo dopo la fine del Proibizionismo, ma per qualche motivo Jack era convinto che fosse stata lei a spingerlo a bere.
Robert Evans, ragazzo, nell’appartamento di famiglia al 110 di Riverside Drive, nell’Upper West Side di Manhattan, non avrebbe mai dimenticato la vista di suo padre Archie, un dentista tutto lavoro e fa- miglia, che si sedeva allo Steinway in salotto dopo una giornata di dieci ore passate a cavare denti a Harlem e a uscirne vivo. Suo padre poteva stare alla Carnegie Hall, pensava il ragazzo; poteva essere Gershwin o Rachmaninoff, invece era un marito senza amici, tre volte padre, intrappolato nell’interminabile ciclo del guadagnare per provvedere ai suoi figli, a sua moglie, a sua madre e alle sue tre sorelle. Ma dentro di sé aveva il Danubio blu. «Io non farò quella fine», si promise Evans. «Io vivrò».
Robert Towne, ragazzo, se ne andò da San Pedro. Suo padre, Lou, trasferì la famiglia dalla cittadina portuale, tranquilla e luminosa, e abbandonò per sempre il chiosco degli hamburger di Mrs Walker e le balde flotte di tonniere che salpavano verso il mare aperto. Più che i venti profumati di gardenia e gelsomino e le grandi ondate di bouganville rosa a cascata, Robert non avrebbe mai dimenticato i tempi in cui, prima della guerra, una storia parlava per tutti: il ragazzo, i suoi genitori, Mrs Walker e i suoi clienti, la gente di San Pedro, l’America, seduti tutti insieme attorno a quei tavoli di sequoia cotti dal sole, a rinfrescarsi con il succo d’arancia appena spremuto, tutti a respirare la stessa aria salata.
Era quello il giorno, molti raid dopo – un giorno caldo e assolato – in cui Roman Polanski trovò le strade di Cracovia deserte. Era il silenzio di quel giorno che non avrebbe mai dimenticato, con le due guardie SS che perlustravano in tutta calma il recinto di filo spinato. Era una sensazione nuova, un nuovo tipo di solitudine. Terrorizzato, corse a casa di sua nonna in cerca di suo padre. La stanza era vuota a parte i resti di un caos recente, e lui scappò. Per strada un estraneo gli disse: «Se ci tieni alla pelle, sparisci». Quando questi quattro ragazzi diventarono adulti fecero insieme un film intitolato Chinatown.
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