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Aspettando Avengers: Endgame | Age of Ultron: l’uomo e la macchina nell’ultimo film di Joss Whedon

Un grande cattivo ed un grande buono e l’amore tra Hulk e Nat nell’Avengers più sottovalutato

Analizziamo: The Avengers, agli inizi, aveva cavalcato il confine tra uomo e supereroe, con la declinazione, chiamata Loki, di un mondo volutamente schiavo. Infinity War, invece, ha toccato il problema della sovrappopolazione, risolto con quel drammatico schiocco di dita già entrato negli almanacchi del cinema. E Avengers: Age of Ultron? L’ultimo film di Joss Whedon nel Marvel Cinematic Universe, si pone precisamente a metà del tragitto. Undicesimo titolo della saga, per effetti narrativi molto più grande del primo Avengers, e se rivisto con attenzione, anche capace di toccare interessanti e delicati temi.

L’entrata in scena.

Il primo? Ovviamente, il rapporto tra uomo e macchina. Il cattivo, qui, ricorderete, è infatti Ultron. Doppiato da James Spader, il cyborg è uno dei personaggi maggiormente complessi dell’intera saga. Dispotico e spietato, certo, ma perché, per un incrocio di calcoli binari, è stato creato e progettato così. Da chi? Da Bruce Banner e Tony Stark, credendo che stessero facendo del bene, che anche l’arma più pericolosa, se utilizzata per difendersi, fosse in fondo qualcosa di giusto. Ultron altro non è che la diretta conseguenza della maturazione e della coesione tra gli Avengers.

Ultron.

Così, dopo un’elettrizzante scena iniziale girata al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dove Joss Whedon si autocita con una messa in scena molto simile a quella utilizzata per la battaglia di New York, i Vendicatori (e il pubblico) affronteranno le responsabilità derivate dell’essere parte di qualcosa di più grande. E, nel film, per la prima volta, viene affrontato (e mostrato) il senso della perdita, dello sbaglio, dell’imperfezione. Contrapposti all’invulnerabilità fredda di una macchina plasmata dall’uomo. Ultron è tra i personaggi – cattivi, in questo caso – più sottovalutati, eppure meriterebbe di stare almeno tra i primi cinque o sei.

Vision e il martello di Thor.

Perché, ci dicono Joss Whedon e Kevin Feige, per ambiziosa intuizione narrativa, l’unica cosa che può batterlo altro non è che la ragione. O meglio, la luce, la purezza, la speranza. In poche parole, Dio. Anch’esso, guarda caso, creato dagli Avengers. Ecco, allora, l’importanza di Vision (Paul Bettany, che bravo a doppiarlo e interpretarlo in CGI). Introdotto in Age of Ultron, Vision(e) è la parte più cristallina e inconsapevole del film. Un abbaglio, generato dalla costola di JARVIS (per chi non sa di cosa parliamo, è l’A.I. plasmata da Stark) e poi diventato androide ultraterreno e onnipotente (tanto che riesce ad essere l’unico a riuscire ad alzare il mjolnir di Thor).

Nat e Hulk.

C’è una sorta di aspetto metafisico in cui Whedon, non senza paura produttiva, è riuscito a districarsi alla perfezione. Religione, credo, fede. E cuore, come quello messo nelle tenere e (anche) strazianti scene tra Banner/Hulk – mai così protagonista – e Natasha Romanoff. Entrambi dalla parte sbagliata di un rapporto impossibile. Insomma, film di mezzo, Avengers: Age of Ultron, al centro del flusso di filmico della saga che, pian piano, ci sta portando all’Endgame (forse) definitivo. E allora, (ri)vedendolo, capiamo (meglio) il sacrificio di Vision, immolatosi per salvare la vita, l’uomo e l’amore.

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