ROMA – Nel 1966, in piena Guerra Fredda e con il Maccartismo ridotto a forma residuale, Viaggio allucinante di Richard Fleischer aggiunse un intelligente e colorato tassello all’intricata partita a scacchi tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Erroneamente ritenuto come tratto dall’omonimo romanzo di Isaac Asimov di sei mesi prima – a dire il vero la Bantam Books gli commissionò il romanzo sulla base dello script di Otto Klement e Jerome Bixby – e annunciato dalla Fox come «Il film di fantascienza più costoso mai realizzato» con i suoi 5 milioni di dollari di budget, Viaggio Allucinante permise al cinema di fantascienza di evolvere dalle narrazioni dei preziosi (e retorici) b-movies della fantascienza sociale degli anni Cinquanta allo status di grossa produzione di puro intrattenimento. Ecco, il viaggio di Salto nel buio di Joe Dante parte proprio da qui.

Precisamente dallo script originale di Chip Proser che definì Salto nel buio come «Un plagio, una derivazione di Viaggio allucinante» – per poi proseguire – «La mia idea era che il ragazzo grosso, mettendosi in piedi e muovendosi, potesse reagire a quello che stava succedendo dentro». Peter Guber scrisse la sceneggiatura sulla base del lavoro di Proser che, oltre che per il concept, prendeva da Viaggio allucinante il tono da spy-movie. Propose così lo script a Dante che però – proprio per via delle peculiarità alla base – respinse al mittente la proposta preferendovi quell’imprescindibile cult movie di Explorers. Guber però non si arrese e assieme a Jeffrey Boam riscrisse Salto nel buio alla maniera di una commedia: «L’idea che una persona miniaturizzata potesse essere messa nel corpo di qualcun altro suonava un po’ ridicola».

«Nello script originale avevo immaginato Michael J. Fox dentro il corpo di Arnold Schwarzenegger. Non avevamo limiti, sentivamo di poter fare qualsiasi cosa, per questo è così piena di follia». Acquistato dalla Amblin di Steven Spielberg – che come produttore esecutivo diede una uncredited revisione alla componente comica dello script – in origine, più che Dante, aveva immaginato uno fra John Carpenter e Robert Zemeckis alla regia. Il rifiuto di Zemeckis, che dalla sua preferì avviare la complessa pre-produzione di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, spalancò le porte a Dante che nelle idee del secondo draft di Salto nel buio vedeva finalmente qualcosa di molto vicino a ciò che avrebbe voluto: «Boam si è avvicinato all’idea che avevo del film, ovvero, cosa sarebbe successo se avessimo ridotto Dean Martin e lo avessimo iniettato dentro Jerry Lewis?».

E, in fondo, è esattamente questo Salto nel buio, una rilettura postmoderna di Viaggio allucinante dove le inerzie da fantascienza sociale residuale lasciano il posto a una folle commedia d’equivoci su sfondo spy fatta di miniaturizzazioni morfologiche ed effetti speciali esplosivi (premiati agli Oscar 1988) riecheggianti all’imprescindibile cult del 1957 Radiazioni BX: distruzione uomo di Jack Arnold, che raccontano di amicizia e presa di coscienza. Al centro della scena la strana coppia Dennis Quaid e Martin Short che a detta di Dante crearono una bella alchimia sul set: «Dennis doveva stare in una cabina sul set, quindi, anche se via radio, l’interazione stava davvero accadendo. Doveva attenersi di più alla sceneggiatura di Martin e spesso chiedeva di rigirare una scena con una strana (e irresistibile) voce alla Katharine Hepburn».

Lo stesso dicasi sul set. Dante aveva già collaborato con la Amblin di Spielberg per il film episodico Ai confini della realtà e il natalizio Gremlins, ma con Salto nel buio scoccò realmente la scintilla: «Spielberg è uno che ti protegge dallo studio e talvolta dagli altri produttori. C’era una bella atmosfera amichevole sul set, hai tutte le attrezzature di cui hai bisogno, i migliori consulenti, e accanto a te, soprattutto, qualcuno dalla tua parte: un regista che sa esattamente di che cosa stai parlando quando sorge un problema o avevi una domanda». Fu talmente disteso il clima sul set che due degli interpreti trovarono perfino l’amore: nello specifico Quaid e una giovane ma già magnetica Meg Ryan. I due inizieranno ad uscire assieme durante la lavorazione per poi sposarsi il giorno di San Valentino del 1991 (e infine divorziare nel 2001).

I veri problemi, in verità, Dante li ebbe con gli executives della Warner Bros (major in co-produzione con la Amblin) che nonostante le premesse da budget illimitato e grande entusiasmo, dopo il primo cut provvisorio e un responso positivo a un test-screening a poche settimane dalla fine della lavorazione, non fecero nulla per spingere Salto nel buio in termini pubblicitari. Distribuito nelle sale statunitensi il 4 luglio 1987 (in Italia arriverà soltanto a dicembre), incassò appena 42 milioni di dollari a fronte di un budget di 27: tristemente fu un flop su tutta la linea. Qualcosa di cui Dante non si è mai capacitato tanto da affermare molti anni dopo: «La campagna pubblicitaria fu terribile, era solo un pollice gigante su di un piccolo baccello, non si poteva capire in alcun modo se fosse o meno una commedia, la Warner fallì la distribuzione».

Lo diedero per scontato, scegliendo di investire maggiormente sul marketing dei contemporanei Full Metal Jacket e dello scult co-prodotto dalla Cannon Films, Superman IV, «Voglio dire, a loro il film era piaciuto, e provarono a ristamparlo, ma fu comunque bombardato dal cattivo tempismo» – per poi proseguire – «Anche se il pubblico in linea di massima lo ha premiato al cinema, quando andai io a vederlo furono solo fischi, mi sentii a pezzi». Dalla sua però Salto nel buio ebbe il merito di diventare una forza trainante nella neonata distribuzione Home Video: «È stato un grande successo in VHS, uno dei primissimi successi: è stato praticamente riscoperto in videocassetta». E, allora come oggi, trentacinque anni dopo, Salto nel buio è uno di quei piccoli film della vita da riscoprire, da cui lasciarsi meravigliare come solo il grande cinema sa fare.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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