MILANO – No, Sally Albright non ce la siamo mai levata dalla testa. Nessun altra donna simulerebbe un orgasmo davanti a un sandwich, ma – soprattutto – poche altre si dichiarerebbero in una notte di Capodanno come lei: «Perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il prima possibile». Così Meg Ryan entrò nella leggenda, garantendosi l’eternità nell’immaginario collettivo. Siamo a fine anni Ottanta e prima di Harry, ti presento Sally questa irresistibile biondina con gli occhi azzurri si era già fatta notare per aver rubato il cuore di Dennis Quaid e Martin Short in una di quelle tipiche, e completamente folli, pellicole firmate da Joe Dante: si chiamava Salto nel buio, esilarante gioco di miniaturizzazione, esperimenti scientifici e (b)romantic comedy (ne abbiamo parlato qui).
Il successo arriva poi con il capolavoro di Rob Reiner, per merito dell’ironia con cui il film si interroga su uno dei più grandi dilemmi dell’esistenza (può esistere l’amicizia tra un uomo e una donna?) e per il personaggio di Meg, che per il mondo maschile è un’autentica rivelazione: bella, semplice, un po’ folle e vulnerabile, straordinariamente simpatica. La Ryan possiede una dote che poche attrici hanno, ovvero la vis comica, l’autoironia, l’istinto per la gag, la sensazione di poter ridere di se stessa e non prendersi sul serio. Freschezza, naturalezza, semplicità: doti che in breve la rendono mitica, ma che presto la condannano a un’etichetta indelebile: fidanzatina d’America.
E se Joe contro il vulcano è un’altra tenerissima stramberia (troppo) dimenticata, Nora Ephron le scrive il secondo ruolo più bello della carriera: in Insonnia d’amore è difficile non tifare per Annie Reed, una specie di magnifica stalker ante-litteram, giornalista che ascolta alla radio la voce del neovedovo Tom Hanks e fa di tutto perché lei sia la nuova donna della sua vita. Il finale sull’Empire State Building è, di nuovo, storia del cinema. Da lì in poi, gli anni Novanta si dividono tra l’ansia di dimostrare sfumature drammatiche (i poco memorabili Amarsi e Restoration) e i tentativi di replicarsi in chiave sentimentale: per quanto gradevolissimi, film come Genio per amore, French Kiss e Innamorati cronici si dimenticano subito.
Nel 1998 si accendono le ultime luci della ribalta: C’è posta per te ancora al fianco dell’amico Hanks e poi il remake City of Angels sono amatissimi dal pubblico, decisamente meno dalla critica. Dal cambio di millennio si parlerà di lei soltanto per il fugace amore con Russell Crowe e la fine del matrimonio con Quaid, per un thriller erotico maldestro come In the cut, e per le rovine del botox che l’hanno resa irriconoscibile. Nel 2015 ha anche esordito alla regia con Ithaca – L’attesa di un ritorno tratto da William Saroyan, ancora richiamando sul set Tom Hanks, provando una seconda vita, ma è andata male. E chissà se oggi lei, proprio come farebbe la sua Sally, sarebbe ancora capace di riderci sopra. Ci manchi, Meg.
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