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Videodrome | David Cronenberg, James Woods e le profezie di un grande film

Debbie Harry, Marshall McLuhan, gli effetti speciali: ma cosa rimane quarant’anni dopo?

James Woods e Debbie Harry dei Blondie in Videodrome.

ROMA – «Morte a Videodrome. Gloria e vita alla nuova carne!». Sono le ultime (iconiche) parole pronunciate dall’allucinato Max Renn (un formidabile James Woods) in chiusura di un’opera insolita dall’andamento impercettibilmente caotico, volutamente disorganico e confusionario, in quella terra di mezzo narrativa tra realtà e sogno (o sarebbe meglio dire incubo) dal confine sempre più labile e compenetrante. Un’opera, Videodrome di David Cronenberg, in cui tutto è suggestione filmica. Una suggestione spaventosa, violenta, pornografica e tumorale, televisiva, popolata di immagini bodyhorror di ibridi uomo-macchina, di mani-pistole purulente, stomaci ingurgitanti Betamax, televisori respiranti e recettivi, sensoriali. Del resto che cos’è Videodrome? La risposta ce la dà lo stesso Cronenberg in una battuta: «Videodrome è torture, omicidi e mutilazioni, è uno snuff-movie, è tutto-porno. Tutto quello che vedi è reale…».

Videodrome
James Woods in una scena di Videodrome.

Cronenberg infatti aveva un pensiero specifico sulla tecnologia: «La tecnologia non è veramente efficace, non rivela il suo vero significato, fino a quando non è stata incorporata nel corpo umano. Le persone portano gli occhiali, indossano apparecchi acustici, pacemaker, hanno perfino il loro intestino modificato. Ha preso il sopravvento sull’evoluzione. Noi stessi abbiamo perso il controllo dell’evoluzione senza esserne consapevoli: non è più l’ambiente che influenza il comportamento nel corpo umano, sono le nostre menti, i concetti e la tecnologia che lo stanno facendo». Nel caso di Videodrome tutto questo si traduce nell’interfacciarsi nel mondo attraverso la televisione («Guardare la televisione aiuta a sentirsi parte della grande tavolozza del mondo») così da esplicitare la funzione sociale del medium immagine alla maniera di Cronenberg, o di quel grottesco-orrorifico sulla società e sul mondo tipico del suo primo periodo filmico di cui Videodrome rappresenta l’apogeo creativo.

Videodrome fu presentato in Canada e negli Stati Uniti d'America il 4 febbraio 1983
Videodrome fu presentato in Canada e negli Stati Uniti d’America il 4 febbraio 1983

Concetto – quello della televisione come interfaccia – ampliato da Cronenberg per bocca dell’enigmatico Brian O’Blivion (Jack Creley) dalla dimensione caratteriale che si dice direttamente ispirata a quella dell’eminente sociologo Marshall McLuhan (che di Cronenberg è stato professore all’Università di Toronto) in uno dei momenti topici del racconto: «Lo schermo televisivo ormai è l’unico vero occhio dell’uomo, ne consegue che lo schermo televisivo fa parte ormai della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come un cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione», indirettamente anticipatore – seppur in forma traslata – del ruolo sociale (attuale) dei device tecnologici di ultima generazione: la ricerca di contenuti forti, estremi, privi di un’effettiva narrazione e che badino solo all’aspetto esperienziale. Da dove nasce però Videodrome?

«Videodrome è torture, omicidi e mutilazioni, è uno snuff-movie, è tutto-porno. Tutto quello che vedi è reale»
«Videodrome è torture, omicidi e mutilazioni, è uno snuff-movie, è tutto-porno»

Secondo quanto raccontato dallo stesso Cronenberg, direttamente dalla sua infanzia. Nello specifico da quando il non-ancora-regista canadese – dopo che le stazioni di Toronto avevano terminato le trasmissioni – captava segnali televisivi a tarda notte da Buffalo e New York. Era preoccupato però. Temeva di vedere qualcosa di proibito, non destinato al consumo pubblico: «Sono sempre stato interessato alle cose oscure e al fascino delle altre persone per le altre cose oscure. Inoltre, l’idea di persone che si chiudono in una stanza e girano una chiave su un televisore in modo che possano guardare qualcosa di estremamente oscuro – e così facendo – permettendo a sé stessi di esplorare il proprio fascino, mi ha sempre affascinato». Di lì a poco, nei primi anni settanta, scrisse un trattamento dal titolo Network of Blood: il prodromo tematico – oltre che strutturale – di Videodrome.

Network of Blood, o di Videodrome prima di Videodrome
Network of Blood, o di Videodrome prima di Videodrome

C’era già tutto infatti della spiazzante opera del 1983, a partire dalla logline: «Un produttore televisivo lavora in una rete privata a cui aderiscono persone strane e benestanti disposte a pagare per vedere contenuti bizzarri». La storia – prima esplorazione di Cronenberg su temi come il marchio del sesso, la violenza gratuita e l’impatto dei media sulla realtà delle persone – sarebbe stata raccontata dal punto di vista del personaggio principale, mostrando una dualità tra quanto sembri folle agli altri e quanto lui stesso percepisca una realtà diversa nella sua testa. Concetti simili furono esplorati da Cronenberg in un episodio del serial CBS Peep Show del 1977 (The Victim) noto per la trasmissione di contenuti pornografici e di film violenti nei suoi blocchi di programmazione a tarda notte. Il successo clamoroso di Scanners agli inizi degli anni ottanta diede a Cronenberg maggior credibilità registica.

In Italia Videodrome fu presentato al Fantafestival nel giugno 1984
In Italia fu invece presentato al Fantafestival nel giugno 1984

Abbastanza da poter avere accesso a budget più onerosi (oltre i 5 milioni di dollari). Era sulla bocca di tutti Cronenberg. Tipo in quella di George Lucas che vedeva in lui l’uomo giusto per dar forma a Star Wars: Episodio VI – Il ritorno dello Jedi. Rifiutò. Il motivo? «Non ho alcun desiderio di dirigere materiale prodotto da altri registi». Incontrato il produttore Pierre David della Filmplan Productions a Montreal per discutere le idee per un nuovo film, gliene presentò due: una di queste era Videodrome per cui Cronenberg iniziò a scrivere il primo draft nel gennaio 1981. Come in molti dei draft preliminari dei suoi progetti precedenti anche in Videodrome erano presenti sequenze poi rimosse dal cut definitivo al fine di renderlo più accettabile per il pubblico, tra queste un’allucinazione in cui Renn si ritrova una granata esplosiva come mano dopo essersi tagliato la pistola-di-carne.

Un poster promozionale di Videodrome

Proprio per via della marcata cifra violenta al centro del racconto, Cronenberg temeva che il progetto sarebbe stato rifiutato dalla Flimplan. Inaspettatamente fu approvato, con l’executive Claude Héroux che scherzò sul fatto che Videodrome avrebbe avuto, come minimo, una valutazione censoria da Tripla X. Pur senza limiti creativi impostigli dalla Flimplan, ma fu lo stesso Cronenberg il primo censore di sé stesso operando numerose modifiche allo script in corso d’opera. Invece, manco a dirlo, non ci furono dubbi sulla scelta di James Woods come interprete di Renn: una mimica come la sua, sinceramente machiavellica, capace di compassione e crudeltà istantanea, avrebbe rappresentato il fattore aggiunto in un racconto atipico come Videodrome. Accettò al volo. Era un fan di Cronenberg. Apprezzava il suo essere un regista stravagante e controverso e amò, non poco, i suoi precedenti lavori: Rabid – Sete di sangue e il film della svolta, Scanners.

Max Renn (James Woods) al suo primo contatto con Videodrome
Max Renn (James Woods) al suo primo contatto con Videodrome

Quello che pochi sanno però è che David, Héroux e l’altro executive Victor Solnicki cercarono in tutti i modi di proporre a Woods il ruolo da protagonista di un’altra loro produzione: Covergirl di Jean-Claude Lord. Rifiutò e ci vide bene. Fu infatti uno dei peggiori – e ad oggi dimenticati – (s)cult del suo tempo. Per Debbie Harry invece, conturbante rocker, front-woman dei Blondie dalla voce avvolgente, si trattava del vero battesimo di fuoco recitativo dopo la piccola (ma fondamentale) esperienza in Union City. La sua Nicki Brand, rilettura postmoderna tra l’onirico e l’enigmatico del classico ruolo della femme fatale, diede la marcia in più alla dimensione neo-noir di Videodrome. Attoriale perlomeno, perché il tesoro artistico dell’opera di Cronenberg è pienamente ascrivibile alla cura visiva e artigianale degli effetti speciali della squadra di tecnici di Rick Baker e Michael Lennick.

Debbie Harry è Nicki Brand in una scena di Videodrome
Debbie Harry è Nicki Brand

Tra questi Frank C. Carere che per creare gli effetti respiratori del televisore con cui Renn interagisce nella scena madre di Videodrome utilizzò un compressore d’aria con valvole azionato, pensate un po’, da una tastiera di pianoforte da lui stesso azionata. Lo schermo ondulato fu invece creato utilizzando un videoproiettore e un foglio di diga dentale gommosa. Un piccolo miracolo filmico così descritto da Baker: «Sapevo che avremmo avuto bisogno di un materiale flessibile. Prima testammo un pallone meteorologico, allungandolo su una cornice delle dimensioni di uno schermo, poi ci facemmo passare una mano per vedere quanto si allungava». Per le videocassette nello stomaco invece le cose si fecero più complicate: «Usammo le Betamax come oggetti da inserire nella fessura dello stomaco di Max perché le VHS erano troppo grandi per adattarsi alla finta ferita addominale».

«Usammo le Betamax da inserire nello stomaco di Max perché le VHS erano troppo grandi»

Il trucco, scomodissimo, alla lunga irritò Woods che dopo un’intera giornata passata sul set in quelle condizioni sbottò: «Non sono più un attore, sono solo il portatore della fessura». La rivelazione più interessante riguarda però l’oramai mitologica pistola-di-carne. Sembrerebbe infatti che nei piani originari di Baker la pistola presentasse occhi, bocca e perfino un prepuzio che Cronenberg ritenne «Troppo espliciti». Si optò infine per una carne mutevole, in evoluzione, arricchitasi di dettagli sanguinosi e purulenti in funzione della discesa negli inferi televisivi di Videodrome, dalla resa meno esplicita ma altrettanto spaventosa, ma non perché fosse d’accordo con Cronenberg. Il motivo? Il suo amico e mentore Dick Smith aveva utilizzato la stessa tecnica nel contemporaneo (e dimenticabilissimo) Spasms di William Fruet. Un’assenza che non va ad inficiare, in alcun modo, sul glorioso retaggio filmico quarantennale di un autentico (e folle) capolavoro come Videodrome.

La ferita addominale di Max Renn in una scena di Videodrome
La ferita addominale di Max Renn

Presentato tra Toronto e New York il 4 febbraio 1983, fu un flop Videodrome, senza mezzi termini. A fronte di un budget da quasi 6 milioni di dollari, ne incassò poco meno di 3, eppure riuscì a lasciare il segno nel suo tempo come poche altre opere in quella decade. Non ci credete? Provate a chiedere a Cronenberg che cosa pensassero le persone di lui, al tempo, dopo aver visto il film: «Nel 1983 andai in un talk show, tra gli ospiti c’era uno psichiatra che lavorava con dei criminali al Clark Institute. Quando mi avvicinai a lui per presentarmi mi disse: Ho quasi paura di sedermi qui accanto a te. Era totalmente disorientato su come possi entrare in empatia con quegli stati d’animo e lui, ovviamente, non poteva. Era perlopiù intuitivo con me».

«Le mie immagini nascono dal processo di realizzazione del film. Penso davvero che i film funzionino a livello di logica onirica. Per quanto realistici o narrativi che possano essere, sono, in verità, onirici»

Cronenberg prosegue poi spiegando la ratio alla base del suo processo creativo: «Uno dei motivi per cui faccio un film? Che mi trovo in una posizione in cui devo analizzare qualcosa e mi piace il processo. Le mie immagini nascono dal processo di realizzazione del film. Penso davvero che i film funzionino a livello di logica onirica. Per quanto realistici o narrativi che possano essere, sono, in verità, onirici…». Non fa eccezione in questo Videodrome, o come lo definì l’icona della pop-art (e non solo) Andy Warhol: «Videodrome? L’Arancia Meccanica degli anni Ottanta». Ripensandoci oggi, forse aveva proprio ragione lui…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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