VENEZIA – Alla fine, torniamo a parlare di cinema. E J’accuse – ora uscito nelle nostre sale con il titolo L’ufficiale e la spia – non avrebbe potuto sperare in un ambiente più congeniale, prima per la sua presentazione a Venezia, poi per la recente (nuova) accusa verso Roman Polański, catalizzando verse di sè l’attenzione mediatica. Eppure, artisticamente parlando, il film ne esce comunque vincitore come il personaggio di Alfred Dreyfus. Anche se, proprio come l’uomo protagonista della storia, il film, nel suo significato assoluto, ha dovuto attraversare l’inferno dell’opinione pubblica.
L’ufficiale e la spia è la ripresa del celebrefatto storico che vide spogliato dei propri oneri un militare dell’esercito francese, condannato all’esilio per aver cospirato contro la propria patria, ma in verità imprigionato dai suoi stessi connazionali e dal loro antisemitismo incontrollato. Ed è il disprezzo ad aprire un film grande dal suo principio, con il Dreyfus di un trasformato Louis Garrel – quasi completamente calvo e di una dignità disarmante – che viene spogliato delle sue stelle al valore, dei drappi e dei simboli per cui a tutta la vita si è dedicato. Un tremore contenuto, ma esteso all’intero corpo, che apre la storia dell’affare Dreyfus per esplorarne le iniquità.
Garrel non è il solo a dare un’interpretazione misurata eppure incredibilmente significativa, in un film che catalizza la propria attenzione sul personaggio di Jean Dujardin. Nel suo ufficiale Georges Picquart, l’attore vincitore dell’Oscar per The Artist contiene il proprio fare gigionesco per incorporare nel suo protagonista l’incorruttibilità morale. Un’onestà verso la divisa e il proprio popolo riportati con una correttezza di spirito che rimane sempre contenuta nella postura e nell’esprimersi dell’uomo. Un Dujardin risolutissimo e misurato in ogni sua singola inquadratura, dove la mano della direzione di Polanski si muove al di sopra dell’attore francese e lo dirige con un’accuratezza marziale.
La stessa mano, quella di Roman Polanski, che degli spazi aperti, delle folle per le strade, dei tribunali ricolmi di bugiardi e traditori ne fa dei quadri impressionisti, in quel fine Ottocento in cui la massa contorna i personaggi principali, come delle composizioni rese unitarie dalla compattezza della luce e dall’eleganza della mise en scène. Il cineasta dirige con una magniloquenza priva di qualsivoglia sbavatura e con una lucidità artistica, nonostante gli ottantasei anni d’età.
Nel clima di tensione in cui L’Ufficiale e La Spia viene accolto, il film dell’autore è la migliore risposta ad ogni altro attacco contro la sua innata eccellenza cinematografica. La prova che un’opera finisce inevitabilmente per andare oltre il suo stesso autore, pur non potendo poi esistere senza quel distintivo tocco che ne accenderebbe la scintilla. Così, il suo, è un film rigoroso, il cui fuoco della giustizia riverbera nei suoi personaggi. Un’ultima accusa a Roman Polanski, però, c’è ancora da fare: quella di aver realizzato un film bellissimo.
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