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The Last of Us | Joel, Ellie e il viaggio dello spettatore tra serie e videogame

Il gioco, la serie, il cordyceps, la musica e l’effetto sullo spettatore. Analisi di un fenomeno pop

Ellie e Joel: Bella Ramsey e Pedro Pascal nella serie HBO The Last Of Us.

MILANO – Nel parlare di The Last of Us dopo il successo della serie HBO con Pedro Pascal e Bella Ramsey, è davvero impossibile non fare cenno alcuno ad un fenomeno contemporaneo come la crossmedialità, ovvero una storia – sì, si parla sempre di storie – capace di superare i confini di un mezzo o di una piattaforma di distribuzione, un prodotto che ha al suo interno un universo talmente vasto da poter essere traslato dal mondo dell’editoria ad un videogioco, una serie, un fumetto. Dopo aver visto la serie tratta dal videogioco Naughty Dog, la sensazione però è che il verificarsi di una certa crossmedialità esista – paradossalmente – anche all’interno delle nostre vite e quindi di noi stessi. Un incrocio di espressioni, umori, idiosincrasie, fatiche familiari, impegni lavorativi, sbandate e curve a gomito che costruiscono dentro di noi – coscientemente o meno – lo spettatore che saremo una volta seduti davanti allo schermo.

The Last Of Us
Pedro Pascal, nel ruolo di Joel Miller, e Bella Ramsey in quello di Ellie Williams, versione serie HBO.

Oltre la banale polemica tra serie e videogioco o l’ancor più sterile dibattito sull’alta inclusività che si è registrata all’interno della serie che si respirava durante il videogioco, questa introduzione serve a giustificare come il corpo dello spettatore, in cui risiede una memoria fisica (alla Denti di Domenico Starnone o nella versione cinematografica di Gabriele Salvatores), sia stato trasportato indietro nel tempo dopo poche scene della prima puntata. Perché quello che succede nella serie, e con ancor più sfaccettature nel videogioco, non è altro che la vita, mostri e funghi compresi. Non capita tante volte di sparare a raffica e piangere, sfiniti e contriti come lo sono i protagonisti Ellie Williams e Joel Miller, e tutto quel grande passaggio che c’è tra quello che da cui stanno scappando e il posto dove vorrebbero essere. Nel videogioco – come nella serie – si conosce, ci si affeziona, si uccide e si muore in un mondo in cui l’umanità ha perso tutto a causa di un virus di origine fungina (crossmedialità: il cordyceps, esiste realmente in natura).

The Last Of Us
Joel Miller e Ellie Williams, versione videogame.

Gli Stati Uniti di The Last Of Us (Us tradotto come noi, ma anche come United States) sono tagliati da questi due archetipi di tutta l’esistenza: il padre e la figlia, il mondo che è il loro luogo preferito dove non capirsi, litigare, offendersi e leccarsi le ferite, quelle più esposte, quelle più interne e quelle fatali. In questo l’utilizzo della colonna sonora è come lo strumento del pifferaio di Hamelin: ipnotizza e porta via. Effetto dato con valore anche nella colonna sonora del videogioco firmata – come nella serie – da Gustavo Santaolalla, compositore argentino, vincitore di due Oscar per Babel e I segreti di Brokeback Mountain. Ellie e Joel così ci trascinano in posti in cui sarebbe meglio non andare ma di cui sentiamo la mancanza non appena passano i titoli di coda. Perché anche chi aveva già giocato nel videogioco si è sentito in un territorio nuovo, ma allo stesso tempo dotato di una comfort zone. Perché? Perché chi si è messo a disposizione della storia ci ha messo molto di personale e Craig Mazin, mente anche dietro la serie Chernobyl, si è confrontato con Neil Druckman, ideatore del videogioco.

The Last Of Us
Bill (Nick Offerman) e Frank (Murray Bartlett) in una scena della serie.

Forse solo così si può provare a comprendere che se nel videogioco la storia di Bill (Nick Offerman) e Frank (Murray Bartlett) è composta da un semplice carteggio, nella serie HBO gli viene invece dedicata una puntata intera, magistrale anche nei tratti melensi, routinieri e non sempre da favola, come lo sono le vere storie d’amore. Come dice per l’appunto Frank a Bill: «Mi hai fatto vivere dei bruttissimi momenti, ma anche i momenti più belli della vita». E questo è The Last Of Us, in tutte le versioni: videogioco, fumetto, serie. Ci sono diversi angoli e diverse bisettrici tra il videogioco e la serie, sfumature e ombre diverse seppur riscaldati dallo stesso sole, ma se The Last Of Us ci insegna una lezione, non è quella noiosa e didascalica delle differenze tra videogioco e serie, ma una lezione, ibrida, emotiva e di borgesiana (intesa come di Jorge Luis) memoria, simile a quella che ci dà il bagel e la sua rappresentazione in Everything Everywhere All At Once, un guazzabuglio di cose/eventi/emotività che portano ad essere così in quel momento, in quel posto.

The Last Of Us
The Last Of Us in versione fumetto, edito da Cosmo Editore.

Lo si percepisce da ogni cosa che i due, Joel ed Ellie, attraversano nella vita. Guardano le stesse cose, ma il frutto che cade dai loro occhi è diverso: quello di Joel, che ha visto il mondo sano e vede l’infezione, la causa e l’effetto; quello di Ellie che invece ha vissuto da sempre in una zona di quarantena e non conosce il prima, e adesso che per il loro viaggio è costretta a camminare in mezzo al vecchio mondo, gli pare la cosa più bella di sempre. In questo approccio Bella Ramsey forse offre qualcosa in più di Pedro Pascal, in una coppia rodata che vedremo come si evolverà nella seconda stagione, visto che del videogioco è già uscito il secondo capitolo nel giugno del 2020. The Last Of Us ribadisce che molto della bellezza che vediamo deriva (anche) dal percorso che abbiamo fatto nelle nostre vite fino a quella sera in cui ci siamo seduti – da soli o in compagnia – e abbiamo deciso di ascoltare la storia di Joel ed Ellie e dei mostri che noi e loro abbiamo o dobbiamo ancora sconfiggere…

  • OPINIONI | The Last Of Us e quella serie imperdibile
  • AUDIO | Un estratto della colonna sonora di Gustavo Santaolalla:

 

 

 

 

 

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