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Raul Cremona: «Jerry Lewis, Danny Kaye, Ciccio e Franco: ecco i miei maestri»

In vista del suo Non Plus Ultra, il comico racconta a Hot Corn i suoi miti. Tra la Carrà e Totò

Il mago è qui, proprio qui, anzi lì: Raul Cremona.

MILANO – Quella volta in camerino con Jerry Lewis, la sera che Walter Chiari non si presentò, e poi la gentilezza di Raffaella Carrà, i film di Danny Kaye visti al cinema e il bel ruolo diretto sul set da Carlo Mazzacurati: in vista dei suoi spettacoli (sarà a Milano al Castello Sforzesco, il 25 luglio, con Zelig Show), abbiamo voluto fare un’intervista un po’ differente a Raul Cremona. Così noi di Hot Corn gli abbiamo chiesto di raccontarci i suoi maestri, i miti giovanili che lo hanno reso quello che è diventato e che più lo hanno ispirato nel corso degli anni. «All’inizio devo dire che furono soprattutto i comici americani, senza dubbio», ricorda, «amavo molto la loro comicità pura, la mimica. Non erano mai verbosi e ti facevano ridere tantissimo…».

Su e giù dal palco: Raul Cremona.

IO & JERRY – «Da dove partiamo? Da Jerry Lewis, direi. Nel 1990 lavoravo a Fantastico con Raffaella Carrà e ad una puntata venne come ospite proprio lui, Jerry. Il grande Jerry. Raffaella – che era sempre molto generosa con le persone con cui lavorava, anche quelli ancora poco conosciuti – a un certo punto della diretta si rivolse a Jerry e mi presentò, dicendo che ero un suo grande fan. Fu un momento incredibile: lui mi abbracciò e fu una giornata davvero unica, anche perché poi durante il pomeriggio delle prove passammo qualche ora assieme io e lui, in camerino. Io gli facevo qualche gioco di prestigio e lui rideva, sempre disponibile e affabile come solo gli americani sanno essere…».

Jerry Lewis in una scena de Le folli notti del dottor Jerryll.

FRANCO, CICCIO & DANNY – «Come tutti i baby boomer sono cresciuto guardando i film di Franco e Ciccio, ma all’inizio amavo molto i comici americani come Red Skelton e Danny Kaye. Ecco, Danny Kaye aveva un volto e una faccia unici, una comunicativa totale e a un certo punto, era forse anche di bravura superiore perfino a Jerry Lewis. Da ragazzino ovviamente amavo molto anche Totò e Peppino, anche se a Peppino ho sempre preferito Eduardo, dal punto di vista comico, intendo. E poi Pappagone. Walter Chiari? Sì, soprattutto quando rifaceva i De Rege con Carlo Campanini. Ricordo che una sera dovevo presentarlo al Lirico di Milano, ma lui non si presentò. In fondo era già una gag, no? Io dovevo presentarlo e lui non si presentò…».

Danny Kaye in una foto promozionale degli anni Cinquanta.

LE RISATE – «In realtà non ho mai amato molto lo stand up comedy classico, perché l’ho sempre trovato troppo verboso, troppo parlato e finisco sempre per annoiarmi. Preferisco la comicità fisica, la mimica, l’azione comica, quella che ti fa scattare la risata dalla pancia. Ho studiato molto anche il cinema muto, Charlie Chaplin, Buster Keaton, ma anche Harold Llyod e, ovviamente, Stanlio e Ollio. Comici degli ultimi anni? Beh, devo citare Robin Williams e Jim Carrey, quest’ultimo soprattutto nella prima parte della carriera aveva una faccia unica».

Harold Llyod nella celebre scena di Preferisco l’ascensore!

IO E IL CINEMA – «Ne ho fatto poco di cinema, avrei voluto farne molto di più, ma spesso noi attori televisivi veniamo assorbiti dal mezzo. Comunque, l’aspetto buffo della mia carriera di attore cinematografico è che mi chiamano sempre per fare la carogna: licenziavo Checco Zalone in Cado dalle nubi, trattavo male Angela Finocchiaro in Ci vuole un gran fisico, picchiavo Valerio Mastandrea ne La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati (lo trovate in streaming su CHILI, nda), in cui però avevo il miglior ruolo che ho interpretato in questi anni, quello del mago Kasimir. E poi avevo una parte in Italiano Medio di Maccio Capatonda, che mi fa ridere soprattutto quando fa Padre Maronno».

Raul Cremona sul set de La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati.

ONE MAN SHOW – «Mi piace l’idea dell’one man show. Del comico che va sul palco e fa lo spettacolo. Da solo. Ricordo gli spettacoli del vecchio Ciak, a Milano, quando Leo Wechter portava le rassegne di clown e ti trovavi davanti personaggi incredibili come Johnny Melville. Ecco, in quell’epoca il teatro era fatto da un uomo solo. Io, nel corso del tempo, ho anche avuto molte occasioni di fare prosa, ma sono più incline a mettere in scena teatro del cabarettista, dell’attore istrionico che regge il palco da solo. Poi negli anni ovviamente sei molto più abile a gestire i tempi e l’improvvisazione, ma se c’è una cosa di cui non ho mai avuto paura è proprio il palco…».

Johnny Melville, attore e clown scozzese, negli anni Settanta.

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