ROMA – Si sa, i record personali, quando si parla di sport di squadra, hanno un’importanza relativa. Però, se a questi record, si aggiunge uno spropositato numero di trofei vinti, allora si entra nella leggenda. Qualche numero? 1363 partite giocate e 1281 marcature. E i trofei? Tre Coppe del Mondo con la nazionale (nessuno come lui, anche se uno in fondo lo vinse da infortunato), due Libertadores, due Intercontinentali, più di venti titoli nazionali. Ah, pure un Ballon d’Or onorario, nonché ”Patrimonio Storico-Sportivo” del Brasile. Cifre imbattute e imbattibili, a meno che non arrivi un altro Edson Arantes do Nascimento, chiamato da tutti Pelé, con buona pace di Neymar e di un inseguimento al mito forse nemmeno mai cominciato.

Figura calcistica enorme e icona culturale ancor più grande a cui oggi diamo addio per sempre: Pelé, così come tanti brasiliani divenuti calciatori (e anche gli argentini…) ha avuto un’infanzia complicata, vita difficile tra le favelas e la povertà, con quel pallone che, però, non smetteva mai di rotolare. La sua storia, le sue gesta, i suoi spettacolari gol, sono diventati un biopic, Pelé, diretto dai fratelli Zimbalist – lo trovate su Prime Video – capaci di fondere il più classico dei film biografici a tutta la spumeggiante gioia della Ginga Brasiliana e non era facile, visto che cinema e calcio da sempre fanno difficoltà ad andare in campo assieme.

La sceneggiatura, firmata dagli stessi Zimbalist, si snoda tra l’infanzia di Pelé (Leonardo Lima Carvalho e Kevin de Paul) a San Paolo e i primi colpi, calciando una palla fatta di stracci logori. Tocca, poi, il rapporto con il padre, Dondinho – anche lui calciatore, con una carriera stroncata da un infortunio – fino all’arrivo nel Santos, dove Edson (chiamato da tutti Pelé per aver pronunciato male il nome di Bilé, portiere brasiliano) non senza difficoltà, riuscirà ad entrare in Nazionale, convocato dal CT Feola (Vincent D’Onofrio) per il Mondiale del 1958 in Svezia, palcoscenico della sua consacrazione a fenomeno universale, con quel gol eletto come il più bello mai segnato in una Coppa del Mondo.

Se è arduo riuscire a costruire un film calcistico degno di nota, Pelé però fa proprio della semplicità la forza scatenante, mettendo al centro della vicenda autobiografica l’aspetto più giocoso e fiabesco del calcio, storia di un ragazzino come tanti, con quel sogno grande stretto nel pugno e mosso dalle gambe, a correre tra il fango delle favelas e l’odore dell’erba di un teatro da settantamila spettatori, a contendersi una coppa raffigurante una dea alata, mitologica e sfuggente. E, per Edson detto Pelé, non c’è differenza, perché lo scopo è soltanto uno: gioire e far gioire.

C’è calore e fantasia nel film dei Zimbalist (dove lo stesso Edson compariva come produttore esecutivo, da sempre vicino al cinema fin dai tempi della rovesciata cult in Fuga per la Vittoria), senza scordare pure un rimando alla cultura brasiliana, di cui Pelé è stato fervente ambasciatore, con quelle sensazioni e quei profumi dal sapore libero e fantastico, con unica, fondamentale regola: seguire l’istinto e lo spunto di un colpo ad effetto in grado di divertire ed emozionare. Pelè è stato questo, il Brasile è questo. E non è difficile capire perché ogni bambino, di ieri o di oggi, abbia sognato di diventare, davanti ad un portiere, proprio lui: Edson Arantes do Nascimento detto Pelé.
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