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Milano Calibro 9 | Gastone Moschin, Barbara Bouchet e la rivoluzione di Fernando Di Leo

Mario Adorf, la gogo-dance, il realismo, l’anima sociale. In streaming su Rarovideo Channel

Barbara Bouchet, Gastone Moschin e il cuore di Milano Calibro 9, un film di Fernando Di Leo del 1972
Barbara Bouchet, Gastone Moschin e il cuore di Milano Calibro 9, un film di Fernando Di Leo del 1972

ROMA – Fernando Di Leo firma il suo lavoro più celebre e uno dei film noir polizieschi italiani più famosi al mondo. Girato nel 1972 e prima parte di un’entusiasmante trilogia spirituale (Trilogia del Milieu) comprendente La Mala Ordina e Il Boss, Milano Calibro 9 – disponibile su Rarovideo Channel che trovate sia su Prime Video che su The Film Club – propone una galleria di personaggi caratteristici della società degli anni della contestazione. Come Ugo Piazza (Gastone Moschin) dagli occhi di ghiaccio e dalla mente lucida, l’imponente e impetuoso Rocco Musco (Mario Adorf), uomo d’onore e fedelissimo dell’Americano (Lionel Stander), la bellissima (e furba) Nelly (Barbara Bouchet), e Chino (Philippe Leroy), killer di professione solitario e misterioso. E tutti ruotano attorno alla scomparsa di un borsone contenente 300.000 dollari provenienti da traffici loschi gestiti dalla mala che li catapulteranno presto in un vortice di piombo, sangue e morte.

Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo è stato distribuito nei cinema italiani il 15 febbraio 1972
Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo è stato distribuito nei cinema italiani il 15 febbraio 1972

Sullo sfondo una Milano cupa e grigia, livida di smog e locali notturni al neon che li accoglie. Tutti personaggi disperati quelli di Di Leo, ambigui – consumati come la sigaretta nel frame finale – che devono decidere se essere cattivi o più cattivi, leali o sleali, per sopravvivere. Lo si legge nei loro occhi. Quelli azzurri e glaciali – disillusi – di Ugo Piazza e in quelli scuri e impetuosi – ma pieni di onore e intrisi di rispetto – di Rocco Musco, e con essi i corpi che li ospitano nell’incedere progressivo e inesorabile del destino. Un segnato, Piazza, colpito da un tradimento dei più biechi in quel climax mitologico che tra la soggettiva di un pugno e una revolverata alle spalle fa cascare il castello di carte su cui Di Leo costruisce la narrazione e i suoi delicati e caotici equilibri di umorismo, azione e violenza.

Gastone Moschin e Mario Adorf in un momento del film
Gastone Moschin e Mario Adorf in un momento del film

La ricetta perfetta secondo Di Leo: «C’è un certo bisogno di violenza nel pubblico, nel guardare certi film, come succede con il calcio grossomodo, era un modo per scaricarsi. Quei film si affermarono per cazzotti, sparatorie, inseguimenti e questo condimento piaceva». E in quel finale Milano Calibro 9 si eleva rendendo straordinario l’ordinario nello svelare la vera natura dei suoi uomini in funzione dell’ethos criminale. Piazza, da uomo granitico, statico, freddo e calcolatore, che spara poco (ma bene), si svela fragile e romantico, Musco, che di Piazza è il controcanto di forza bruta, folle e strabordante, in continuo movimento, si rivela invece custode dei valori morali della criminalità giusta, quella capace di riconoscere un avversario di livello e un uomo d’onore quando lo si incontra, tutta ascritta alla leggendaria linea dialogica finale: «Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!».

«Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!»
«Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!»

E poi l’incipit di puro cinema rock che procede in crescendo, di pari passo con la musicalità del tema principale – Preludio di Luis Bacalov e gli Osanna –, dove basta la consegna di un pacco, un inseguimento e uno scambio per catapultarci nel vivo di un intreccio che appare da subito rigoroso, ricco di depistaggi e dalla mitologia definita e colorita, i virtuosismi registici (come il magistrale piano medio di Adorf da dentro il manico del borsone nel terzo atto o il gioco di luci-e-ombre dentro l’abitacolo dell’auto in campo medio nel secondo) e le intuizioni frenetiche camera a mano. E ancora la scansione giornaliero-temporale rievocativa del titolo originale del film (Da lunedì a lunedì) che conferisce a Milano Calibro 9 un ritmo teso e incalzante, claustrofobico nel suo incedere serrato, e l’intramontabile go-go dance della Bouchet poi omaggiata da Quentin Tarantino in Grindhouse con Vanessa Ferlito.

Barbara Bouchet e la sua indimenticabile go-go dance in una scena di Milano Calibro 9
Barbara Bouchet e la sua indimenticabile go-go dance in una scena di Milano Calibro 9

Un film ispirato, Milano Calibro 9, figlio diretto-e-dichiarato dell’amore di Di Leo per il cinema noir nato in gioventù tra le pagine dei romanzi hard-boiled di Dashiell Hammett (Piombo e Sangue su tutti) e poi trasposto al cinema: «Di libri ce n’erano pochi al tempo, ma erano gli anni dei noir della Warner Bros con la coppia Alan Ladd-Veronica Lake», ispirato all’omonima raccolta di Giorgio Scerbanenco del 1969 e consolidatore della grammatica filmica del genere assieme a La polizia incrimina, la legge assolve di Enzo G. Castellari. Eppure c’era già qualcosa del poliziottesco in uno dei suoi lavori precedenti. I ragazzi del massacro, tratto sempre da un’opera di Scerbanenco: «L’avevo anticipato il genere con I ragazzi del massacro, perché la struttura era quella: il poliziotto umanizzato e socializzato che si curava dei ragazzi, e andava avanti così, con modalità diverse da quelle che saranno poi dei poliziotteschi».

Philippe Leroy in una scena del film
Philippe Leroy in una scena del film

Basterebbe questo per parlare di Milano Calibro 9 come un’opera di rilievo del cinema italiano (e non), ma c’è di più. C’è il vivido realismo degli intrighi malavitosi – «L’intrigo dei miei film – come La Mala Ordina – è molto più possibile perché quella la leggiamo, da Napoli a Palermo, quindi continuo a dire, sempre nell’iperbole che il cinema dà le cose, di aver fatto film realistici e psicologicamente più esatti rispetto ad altri autori, dal piccolo delinquente alla grande mafia» dirà Di Leo al riguardo – nelle dinamiche e soprattutto nei contorni caratteriali di poliziotti e commissari nemmeno così diversi poi dai criminali: «Nei miei film i poliziotti e i commissari hanno caratteristiche diverse rispetto agli altri poliziotteschi. Di solito non sono eroi che fanno inseguimenti, perché nella realtà i commissari stanno a sentire lo spione e poi fanno la retata, le sparatorie non ci stanno».

Luigi Pistilli, Frank Wolff e Gastone Moschin in una scena di Milano Calibro 9
Luigi Pistilli, Frank Wolff e Gastone Moschin in una scena di Milano Calibro 9

Nel caso di Milano Calibro 9 si va oltre, perché è addosso ai funzionari di legge, il Commissario senza nome (Frank Wolff) e il vice-commissario Mercuri (Luigi Pistilli) – uno cinico e dalla dubbia moralità, l’altro integro, pieno di iniziativa e pensiero critico – che Di Leo cuce nei continui confronti dialogici un ritratto impietoso (e senza tempo nda) della situazione politico-sociale del paese. Una critica che parte dalla modalità d’azione nella gestione del caso Piazza per riflettere sulla Questione Meridionale, sul divario sociale, sull’incapacità riformativa del sistema carcerario e quella strutturalmente difettosa del giudiziario, sino a indagare le ragioni della criminalità tra estrazione sociale, devianza ontologica e background culturale. Un capolavoro che sorprende, colpisce, emoziona e che nonostante lo scorrere del tempo continua a far parlare di sé, di visione in visione, oggi come ieri, cinquant’anni dopo…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film 

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