MILANO – Gli anni Settanta con i loro conflitti socio-politici, una criminalità mai tanto violenta, l’elettrica contrapposizione tra il blocco sovietico e quello statunitense che, sul piano interno, acuisce tensioni culminate negli Anni di Piombo. Il cinema di Fernando Di Leo – da alcuni definito addirittura il Melville italiano, con riferimento al francese Jean-Pierre Melville – trae linfa vitale proprio dal tripudio di carnale ferocia che i Settanta si sono portati dietro. Attentato dopo attentato, omicidio dopo omicidio. Le storie di malavita di Di Leo hanno intrattenuto – e continuano ad intrattenere – cinefili nostalgici del poliziesco all’italiana (meglio conosciuto come poliziottesco), senza per questo perdere mordente agli occhi di uno spettatore contemporaneo meno levigato.
Ed è a questo affascinante filone, che fonde i topos tipici del noir classico americano con le sfaccettature e la sensibilità del pubblico italiano, che va ascritto uno dei capisaldi del suddetto genere: La mala ordina, tratto da un racconto di Giorgio Scerbanenco e secondo capitolo della magnifica trilogia del milieu diretta da Ferdinando Di Leo (lo trovate in streaming su RaiPlay e sul canale Rarovideo Channel che trovate sia su Prime Video che su The Film Club). Come il precedente – e probabilmente persino più celebre: Milano calibro 9 –il film trova la sua efficacia nel dipingere un affresco brutale di Milano, teatro di scontro di malavitosi locali ma anche d’oltreoceano inviati in terra italica. Il tutto sulle note della colonna sonora di Armando Trovajoli, riletta in tempi recenti anche dai Calibro 35.
Colpisce il pastiche stilistico del film, capace di alternare sketch giocosi a sussulti di violenza furibonda, ragione a sentimento. Inseguimenti furenti, sgommate, sparatorie, ma anche locali notturni, belle donne e padrini alla ricerca dell’affare più conveniente con cui racimolare un corposo gruzzolo. Non occorre immane sforzo per correre con la mente al duo protagonista di Pulp Fiction (John Travolta e Samuel L. Jackson), ispirato ai killer impersonati da Henry Silva – autentica stella del cinema di genere – e dal serafico Woody Strode. D’altra parte proprio lo stesso Quentin Tarantino non ha mai nascosto la sua ammirazione per il cinema di Fernando Di Leo, anzi, definì proprio La Mala Ordina come un «capolavoro assoluto del genere poliziesco».
Il mondo di Fernando Di Leo non ha spazio per la catarsi, non vi è redenzione: tutti sono pedine inermi di un cosmo in preda al caos, popolato da cinici figuri volti alla massimizzazione del profitto personale. La mala ordina è – per dirla con Thomas Hobbes – la storia di un bellum omnium contra omnes, una vicenda di uomini destinati alla condanna della memoria. Mario Adorf è il criminale abbandonato a se stesso, solo contro gangsters e sicari sguinzagliati sulle sue tracce. Tempi andati? Probabilmente, forse anche lontani dall’immaginario collettivo attuale, eppure il film oggi, ancor più che un manuale di storia contemporanea, sembra un fondamentale manifesto per comprendere cosa fossero gli anni Settanta. Recuperatelo.
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