MILANO – Quarantadue anni dopo la sua scomparsa – era il 1983 – Luis Buñuel è ancora vivo, come tutti i grandi, come solo i grandi. Il tempo non lo ha scalfito, non lo ha invecchiato, anzi ne ha amplificato l’arte a dismisura, rivelando cose che allora molti non capirono. Non è dunque un caso – non è mai un caso – se oggi Buñuel rivive in altra forma, addirittura in quella originale e unica di cartone animato, in Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe – che adesso arriva finalmente in streaming su Prime Video in flat. Il film è diretto da un altro folle come lui, ovvero Salvador Simó, che qualche tempo fa aveva risposto al telefono a Hot Corn da Madrid in una una tarda mattinata, iniziando a raccontare la genesi di un progetto partito da lontano e arrivato al Goya come miglior film d’animazione nel 2020: «Un viaggio lungo e difficile, che mai avrei pensato potesse arrivare tanto lontano e potesse trovare un pubblico così ampio».

Allora, andiamo con ordine, e torniamo a Madrid, dove un bambino comincia a conoscere Buñuel attraverso i racconti del padre. «Sì, in un certo senso posso dire che parte tutto da mio padre», ricorda Simó. «Papà era un grande ammiratore del cinema di Buñuel. Ricordo che mi raccontava frammenti dei suoi film che ancora non riuscivo a capire, ma che trovavo affascinanti. Da questo punto di vista la possibilità di raccontare una storia proprio su Buñuel è stata terrificante: non è facile mettere mano a un mito del genere». Tutto comincia sedici anni fa quando Simó, di ritorno in Spagna dopo un decennio trascorso in America, si avvicina a una graphic novel di Fermín Solís, Buñuel en el laberinto de las tortugas, e decide di costruirci sopra un film. Ma come fare? E Da dove iniziare?

«Abbiamo comperato i diritti e poi io e Eligio Montero con la sceneggiatura abbiamo cercato di costruire anche parte di ciò che non era disegnato, cercando di raccontare di più Buñuel». Quello che comincia a prendere forma è proprio Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe, un’opera che torna al 1930, subito dopo lo scandalo de L’età dell’oro quando il regista decide di prendere le distanze da Dalì e si ritrova in una delle zone più povere della Spagna a girare Terra senza pane, documentario ambientato a Las Hurdes. «Ho cercato, ho letto tanto per capire chi era Buñuel attraverso le parole di chi lo aveva conosciuto. La responsabilità era grande».

Fotogramma dopo fotogramma, il miracolo si è compiuto ed è nato un cartoon sui generis, che mescola storia e cinema, nonché storia del cinema, ritraendo un regista trentenne determinato a capire quale fosse la sua cifra stilistica: «Ho parlato anche con il figlio, Juan Luis Buñuel, sono stato a Parigi a casa sua per mostrargli come procedeva il lavoro e abbiamo conversato a lungo sulla figura del padre. Purtroppo non è riuscito a vedere il film finito, è scomparso nel 2017, ma la sua testimonianza è stata fondamentale per la riuscita del film».

L’ultima, inevitabile domanda a Simó può essere solo una: perché a centoventicinque anni dalla nascita Buñuel è ancora rilevante? «Perché l’essere umano non è cambiato: il cinema e i film di Buñuel hanno sempre indagato l’animo umano, i comportamenti, l’etica dietro alle scelte, temi che paradossalmente sono toccati molto meno oggi. Per questo il suo cinema è ancora moderno». E proprio per questo Nel labirinto delle tartarughe ha anche un altro grande merito: per molti spettatori sarà il primo passo nell’incredibile mondo di Luis Buñuel.
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