ROMA – La premessa scientifica alla base di Interstellar deriva da alcune riflessioni compiute dall’executive Lynda Obst e dal fisico teorico Kip Thorne nella metà del primo decennio degli anni Duemila. I due, che già fecero squadra per Contact, immaginarono uno scenario basato sul lavoro di Thorne riguardante lo spazio-tempo deformato. Ovvero di come gli eventi più esotici dell’Universo diventano improvvisamente accessibili agli umani. Nello specifico wormhole e buchi neri di cui Thorne ha elaborato equazioni «Che avrebbero consentito di tracciare i raggi di luce mentre viaggiavano attraverso un wormhole o attorno a un buco nero, quindi ciò che vedi si basa sulle equazioni della relatività generale di Einstein». In questa fase creativa, Thorne stabilì, inoltre, due condizioni: «Innanzitutto, che nulla avrebbe violato le leggi fisiche stabilite. In secondo luogo, che tutte le speculazioni selvagge sarebbero scaturite dalla scienza e non dalla mente fertile di uno sceneggiatore».

Quel qualcuno fu Jonathan Nolan che nel 2007 fu assunto dalla Paramount Pictures per la stesura dello script sulla base di un mini-trattamento di otto pagine dagli stessi Obst e Thorne. Per la regia in un primo momento si fece il nome di Steven Spielberg che avrebbe anche co-prodotto Interstellar con la sua DreamWorks. Questo finché la stessa non fu ceduta alla Disney nel 2009 e con essa la possibilità di vederlo dietro la macchina da presa. Su intuizione di Nolan, ecco quindi il fratello Christopher fresco del successo della trilogia di Batman, che salì a bordo del progetto nel 2012 con l’intento di realizzare un film che incoraggiasse l’obiettivo del volo spaziale umano introducendo il concetto di spaziotempo nelle dinamiche narrative proposte: «Sono fermamente convinto che siamo a un punto in cui dobbiamo ricominciare a guardare fuori e ad esplorare di più il nostro posto nell’universo».

Parallelamente la Warner Bros. Pictures entrò in co-produzione con la Paramount dando vita a un accordo storico nonostante l’accesa rivalità tra majors. In cambio di una quota di Interstellar cedette i diritti della saga di Venerdì 13 oltre che la partecipazione in termini produttivi di un possibile lungometraggio di South Park (!!!). Non ultimo anche la Legendary Pictures che nel 2013 finalizzò un accordo per finanziare il 25% della produzione del film. Pur di prendere parte a Interstellar con una semplice quota, la Legendary rinunciò al finanziamento di Batman v Superman: Dawn of Justice come da precedenti accordi. Il budget complessivo del film si aggirò intorno ai 166 milioni di dollari. Cifra monstre di cui le tre major rientrarono già con il risultato ottenuto al box-office domestico. Tra gli Stati Uniti e il Canada, infatti, Interstellar incassò 188 milioni di dollari che ci misero poco a lievitare a livello globale.

L’incasso world-wide di Interstellar recita 681 milioni di dollari. Dal 7 novembre 2014 in poi – data di distribuzione ufficiale del film di Nolan in tutto il mondo – divenne rapidamente un fenomeno culturale e cinematografico. Questo per via anche delle ispirazioni filmiche alla base del concept. A partire da Jonathan che delineò uno script corposo e dai toni funerei ispirato alla fantascienza apocalittica di capisaldi del genere moderno (WALL-E e Avatar) su cui disegnare un racconto ambientato in un futuro distopico dove la Terra è devastata da una piaga che ne ha esaurito le risorse primarie eppure popolata da individui che si rifiutano di cedere alla disperazione. Quindi Christopher che si servì della base narrativa del fratello per dar vita al viaggio interstellare al centro del racconto. Un’opportunità filmica eccezionale su cui Nolan ha seminato qualsiasi cosa possibile e immaginabile.

Su sua diretta ammissione: «I film con cui cresci, la cultura che assorbi attraverso i decenni, diventano parte delle tue aspettative mentre guardi un film. Sono cresciuto in un’epoca che è l’età d’oro dei Blockbuster. Quindi non puoi fare nessun film nel vuoto. Stiamo facendo un film di fantascienza. Non puoi fingere che 2001: Odissea nello Spazio e Metropolis non esistano quando stai facendo Interstellar. Film come Incontri ravvicinati del terzo tipo affrontavano l’idea del momento in cui gli umani avrebbero incontrato gli alieni da una prospettiva familiare e da una prospettiva umana molto comprensibile in modo audace, incisivo e stimolante. Lo Specchio di Andrej Tarkovskij ha influenzato il modo in cui cose elementari nella storia hanno a che fare con il vento, la polvere e l’acqua. Mi piaceva l’idea di provare a dare al pubblico di oggi un senso di quella forma di trama».

Il che ci porta anche all’approccio registico di Nolan al film: «Non mi piace parlare tanto di messaggi nei film semplicemente perché è un po’ più didattico. Il motivo per cui sono un regista è raccontare storie nella speranza che abbiano risonanza poi per il pubblico. Ciò che ho sempre amato della bozza originale di Jonathan – e l’abbiamo sempre mantenuta – era l’idea di degrado, l’idea che ci fosse una crisi agricola, cosa che è accaduta storicamente. Per Interstellar abbiamo combinato questo con idee tratte molto dal documentario di Ken Burns sul Dust Bowl avvalendoci delle sue risorse. Ciò che mi ha colpito del Dust Bowl è che è stata una crisi ambientale provocata dall’uomo, ma una in cui le immagini – il suo effetto – erano così insolite che abbiamo dovuto effettivamente attenuarlo per quello che abbiamo poi messo nel nostro film».

Eppure non è nemmeno questa la ragione dietro alle scelte narrative compiute da Nolan: «Ma il punto vero è che non sono specifici. Ciò che stiamo dicendo con Interstellar è che nella nostra storia, l’umanità viene delicatamente spinta via dal pianeta dalla Terra stessa e la ragione non è specifica. Questo perché non vogliamo essere troppo didattici o troppo politici al riguardo. Il mio entusiasmo per il film stava affrontando un’idea estremamente negativa, ovvero che il pianeta ne ha avuto abbastanza di noi e ci suggeriva di andare da qualche altra parte. Ecco, quest’opportunità di racconto per me era la base di qualcosa di molto accattivante: una grande ed emozionante avventura in cui trovarsi», ovvero del perché ancora oggi, dieci anni dopo, l’opera di Nolan sembra crescere esponenzialmente in termini d’intensità narrativa e valenza filmica.

Perché in questo decennio in cui la Terra e i suoi abitanti hanno dovuto affrontare pandemie, il proliferare di virus mortali e la piaga del riscaldamento globale ormai arrivata a un punto critico, è sempre più labile il confine tra realtà storica e illusione cinematografica nel futuro immaginato da Nolan. Un futuro che da semplice distopia fantascientifica cresce sempre più, di anno in anno, sino a diventare near-future coerente e forse, anche, profezia di giorni che l’umanità a un certo punto sarà costretta ad affrontare. Da qui anche la forza narrativa dello switch al centro del racconto. Quella missione di colonizzazione che i decenni condensati in pochi anni dalla relatività temporale della corposa narrazione di Nolan finiscono con il mutarne i connotati sino a renderla una vera e propria evacuazione da un pianeta impossibile da salvare perché ormai spento, dilaniato, distrutto e dalle risorse in esaurimento.

Un’opera, in tal senso, cupa, disperata, nichilista e dai dialoghi corposi che appesantiscono le immagini kolossali di un Nolan in stato di grazia, Interstellar, che però, nel suo denso terzo atto, ritrova la luce dando soluzione (narrativa) e speranza (vitale) agli uomini e ai suoi protagonisti aggiungendo fantasia e magia là dove c’erano solo scienza e calcolo razionale. È un film sull’essenza della natura umana quello di Nolan. «È come se ci fossimo dimenticati chi siamo: esploratori, pionieri. Non dei guardiani/Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango» recitano due delle più rilevanti linee dialogiche del film. Un film sulla purezza di sguardo e il valore del coraggio, su cinismo e tracotanza, e sulla necessità di lasciarsi qualcosa alle spalle per poter evolvere come individui.

Ma è anche un (bellissimo) film sull’amore come motore dell’Universo e sentimento salvifico e quantificabile, Interstellar, in grado di sovvertire perfino le leggi fisiche dello spazio-tempo nelle sue folli logiche di attese e distanzi siderali centenarie tra Terra e le lune di Saturno, silenzi e codice Morse, iper-spazio e tesseratti dalle quattro dimensioni, nelle coordinate del rapporto tra Cooper (McConaughey) e Murph (Foy/Chastain/Burstyn). A conferma di come Nolan è tutt’altro che un regista freddo e distaccato in termini emozionali. Non smette di stupire Interstellar (lo trovate oggi su Prime Video, Netflix e NOWtv), non lo farà mai perché è di questa materia che sono fatti i capolavori di puro cinema. Auguriamoci solo che le sue profezie non diventino mai realtà…
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