ROMA – Nel 2005, all’indomani della pubblicazione della biografia Oppenheimer – Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica di Kai Bird e Martin J. Sherwin (in Italia edita da Garzanti) sulla complessa figura del fisico quantistico Julius Robert Oppenheimer, in tanti si interessarono all’acquisizione dei diritti di utilizzazione dell’opera. Tra questi Sam Mendes che vedeva in un biopic su Oppenheimer il perfetto proseguo della sua carriera dopo Jarhead. Non se ne fece nulla, tanto che Mendes preferì puntare su Revolutionary Road che vide nuovamente in scena la coppia DiCaprio-Winslet undici anni dopo Titanic, ma l’idea di un film degno di nota su Oppenheimer restò nell’aria. Specie perché – a conti fatti – eccetto che il propagandistico La morte è discesa a Hiroshima di Norman Taurog del 1947 e L’ombra di mille soli del 1989 di Roland Joffé, al cinema il Progetto Manhattan aveva sempre trovato poco spazio.
Parallelamente la biografia di Bird e Sherwin si segnalò come uno degli scritti più importanti sul tema, tanto da arrivare a vincere nel 2006 il Pulitzer come miglior biografia. Questo perché Oppenheimer – noto nella versione originale come American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer – partiva da una premessa ambiziosa. Come Prometeo rubò il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini, ma capendo che l’uomo non era in grado di questo potere cercò di avvertirlo dei suoi pericoli, così Oppenheimer ha donato all’America il fuoco atomico che l’ha resa una superpotenza, per poi passare il resto della sua vita a mettere in guardia politici, militari e uomini di potere sul pericolo della proliferazione delle armi nucleari. Entrambi furono puniti: Prometeo incatenato a una roccia vittima di atroci sofferenza, Oppenheimer accusato di anti-americanismo e processato come pericolo per la sicurezza nazionale.
Dopo quasi undici anni di silenzio in cui Oppenheimer finì quasi con il diventare un adattamento impossibile dalle parti di Hollywood, la biografia fu opzionata dall’executive J. David Wargo che nel 2015 organizzò un incontro con James Woods e Charles Roven che, oltre ad aver prodotto svariati film del DCEU – DC Extended Universe, collaborò con Nolan per la famigerata trilogia di Batman. Non ci volle molto prima che Roven gli fece avere il libro tra le mani. Nemmeno a farlo apposta, durante la lavorazione di Tenet, Robert Pattinson regalò a Nolan un libro di discorsi di Oppenheimer. «Quei discorsi mostrano il fisico alle prese con le implicazioni di quello che è successo e di quello che ha fatto», ha precisato poi il regista. «Sarebbe interessante mostrare come sarebbe stato essere Oppenheimer in quei momenti». Inizia qui la scelta di impostare lo script in prima persona.
Questo perché Nolan voleva che la narrazione fosse trasmessa dal punto di vista di Oppenheimer (Cillian Murphy) in modo immediato, diretto, senza filtri, tanto da intenderlo, da principio, come una risposta alle conseguenze a lungo termine delle sue azioni, o per dirlo in altri termini: «Un racconto ammonitore che vede il personale che interagisce con lo storico e il geopolitico». Un’unione tra mondi narrativi sottolineata nel film – potete notarlo – dalla scelta di alternare costruzioni d’immagine a colori ad altre in un lucido e freddo bianco e nero così da esplicitare le prospettive di racconto. Rispettivamente: soggettiva (Oppenheimer) e oggettiva («Una visione più oggettiva della sua storia dal punto di vista di un personaggio diverso»). Il tutto sviluppato intorno a una struttura narrativa a-lineare in montaggio alternato dove passato e presente agiscono senza soluzione di continuità tramite ellissi temporali in funzione della complessa figura caratteriale dell’uomo e del fisico.
Qualcosa fuori dal comune secondo Nolan: «Se penso ai personaggi con cui ho avuto a che fare, direi che Oppenheimer è di gran lunga il più ambiguo e il più paradossale. Dato che ho realizzato tre film su Batman, questo la dice lunga…». Cercò così di trovare un filo: «Il filo che collegava il regno quantico, la vibrazione dell’energia, con il viaggio personale di Oppenheimer». In particolare nel film vediamo le difficoltà della sua vita: il rapporto con la moglie Katherine (Emily Blunt), quello controverso con la comunista Jean Tatlock (Florence Pugh) e il confronto a distanza con Lewis Strauss (Robert Downey Jr.) ex-Presidente della Commissione per l’Energia Atomica. Altro momento topico è l’incontro con il Presidente Harry S. Truman (Gary Oldman), definito da Nolan come cruciale: «Quello è un importante turning point nel suo approccio al tentativo di affrontare le conseguenze di ciò in cui era stato coinvolto».
Un momento di disillusione reso da Nolan dalla soggettiva di Oppenheimer – e quindi a colori – in modo da passare sullo schermo dall’illusoria gloria dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki («I fisici hanno conosciuto il peccato», dirà poi), al baratro della condanna per agire anti-americano nel minor tempo possibile. Tanto che da quel momento in poi cambia radicalmente la percezione che ha il mondo di Oppenheimer e del suo agire. Qualcosa di impensabile se pensiamo a come partì il Progetto Manhattan. Torniamo indietro al 9 ottobre 1941. Due mesi prima che gli Stati Uniti d’America scendessero in campo durante la Seconda Guerra Mondiale, il Presidente Franklin Delano Roosevelt approvò un programma intensivo per sviluppare la bomba atomica. Nel maggio 1942 il presidente del Comitato per la ricerca sulla difesa nazionale, James B. Conant, invitò Oppenheimer a occuparsi del lavoro sui calcoli dei neutroni veloci.
Un compito che valse a Oppenheimer il titolo di Coordinatore della rottura rapida che si riferiva specificamente alla propagazione di una reazione a catena di neutroni veloci in una bomba atomica. Uno dei primi atti fu quello di ospitare una scuola estiva per la teoria delle bombe a Berkeley. Il mix di fisici europei e dei suoi stessi studenti, un gruppo che comprendeva Robert Serber, Emil Konopinski, Felix Bloch, Hans Bethe e Edward Teller, si tenne occupato calcolando cosa fosse necessario fare e in quale ordine per realizzare la bomba. Nel giugno 1942, l’esercito degli Stati Uniti istituì il Manhattan Engineer District così da gestire la parte nel progetto della bomba atomica, avviando il processo di trasferimento della responsabilità dall’Office of Scientific Research and Development ai militari. Nel settembre dello stesso anno il Generale Leslie Groves (Matt Damon) fu nominato direttore del Progetto Manhattan.
Scelse Oppenheimer per guidare e dirigere il laboratorio di armi segrete del Progetto. Una scelta che sorprese molti dal momento che Oppenheimer aveva opinioni politiche di sinistra, nessun traguardo ottenuto come leader di grandi progetti e nemmeno mai insignito di un Premio Nobel. Tutti fattori in negativo che preoccuparono e non poco il Generale Groves, compensati dall’impressionante e singolare comprensione di Oppenheimer degli aspetti pratici del Progetto dettati dall’ampiezza delle sue conoscenze. Come ingegnere militare Groves sapeva che questo sarebbe stato fondamentale in un progetto interdisciplinare che avrebbe coinvolto non solo la fisica, ma anche chimica, metallurgia, ingegneria e armamenti. A quel punto si trattò solo di scegliere un laboratorio di ricerca segreto e centralizzato in una località remota che permettesse la buona riuscita del Progetto. Oppenheimer propose un sito che conosceva bene, una mesa piatta in New Mexico sede della scuola privata Los Alamos Ranch School.
Qui sorsero i Los Alamos Laboratory in cui Oppenheimer riunì i migliori fisici dell’epoca da lui definiti I Luminari (Hans Bethe, Arthur Compton, Enrico Fermi, Richard Feynman, Klaus Fuchs, Ernest O. Lawrence, Glenn Seaborg, Leo Szilard ed Edward Teller per citarne alcuni). Ben presto tutti si resero conto di quanto fu nettamente sottovalutato il progetto, tanto che la popolazione di Los Alamos crebbe da poche centinaia di persone nel 1943 a oltre seimila nel 1945. Nonostante tutto Oppenheimer si distinse per la sua padronanza nel gestire gli aspetti scientifici del Progetto e per gli sforzi con cui controllare gli inevitabili conflitti culturali tra scienziati e militari. L’obiettivo era di farlo progredire in modo da arrivare per primo alla bomba atomica, prima del programma nucleare tedesco concorrenziale, s’intende. Nel 1943 gli sforzi permisero la realizzazione della Thin Man, un’arma a fissione nucleare al plutonio.
La ricerca iniziale sulle proprietà del plutonio fu condotta utilizzando il plutonio-239 generato dal ciclotrone, che era estremamente puro ma poteva essere creato solo in piccole quantità. Quando Los Alamos ricevette il primo campione di plutonio dal reattore di grafite X-10 nell’aprile 1944 fu riscontrato un problema: il plutonio prodotto dal reattore aveva una maggiore concentrazione di plutonio-240, rendendolo inadatto all’uso e fortemente instabile. Nell’estate dello stesso anno, Oppenheimer abbandonò Thin Man in favore di un’arma di tipo implosivo. Usando lenti esplosive chimiche una sfera subcritica di materiale fissile (l’uranio-235) avrebbe potuto essere compressa in una forma più piccola e densa. Il metallo, riorganizzato in un design più semplice, avrebbe così percorso solo distanze molto brevi in modo che la massa critica sarebbe stata assemblata in molto meno tempo: nacque Little Boy. Nel luglio 1945, il lavoro di Los Alamos culminò nel test della prima arma nucleare al mondo.
Fu scelto il sito Trinity nei pressi di Alamogordo, in New Mexico. Come raccontato dal generale di brigata Thomas Farrell: «Il dottor Oppenheimer, sul quale gravava un fardello molto pesante, si fece più teso con il passare degli ultimi secondi. Respirava appena. Si aggrappò a un palo per tenersi in equilibrio. Negli ultimi secondi, ha guardato dritto davanti a sé e poi quando l’annunciatore ha gridato: Adesso! Poi ci fu questo tremendo lampo di luce seguito poco dopo dal profondo ruggito dell’esplosione, il suo viso si rilassò in un’espressione di tremendo sollievo a cui seguì la frase: Immagino abbia funzionato». I problemi arrivarono dopo per Oppenheimer, quando si rese conto dell’effettiva portata che la sua invenzione avrebbe avuto all’atto pratico: «Se lo splendore di mille soli dovesse irrompere contemporaneamente nel cielo, sarebbe come lo splendore del potente. Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi».
Per i suoi servigi alla Nazione, Oppenheimer fu insignito nel 1946 della Medaglia al Merito dal Presidente Truman. Lo stesso che, quando il 17 agosto 1945 Oppenheimer si recò alla Casa Bianca per consegnare a mano una lettera al Segretario di Stato per la Guerra Henry L. Stimson – lettera in cui esprimeva la sua repulsione verso le armi nucleari e il desiderio di vederle vietate – volle incontrarlo. Durante l’incontro Oppenheimer confidò al Presidente la sua incapacità di gestire la portata atomica del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Cosa a cui Truman reagì dichiarando al sottosegretario di Stato Dean Acheson: «Non voglio vedere mai più quel figlio di put**na in questo ufficio». Ma era chiaro a tutti ormai come Oppenheimer non riuscisse a convivere con le conseguenze dell’Atomica: «Abbiamo fatto una cosa, l’arma più terribile, che ha alterato bruscamente e profondamente la natura del mondo».
Frase a cui aggiunse: «E nel farlo abbiamo sollevato ancora una volta la questione se la scienza sia un bene per l’uomo». Specie perché, dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, il Progetto Manhattan divenne di pubblico dominio. Oppenheimer fu eletto portavoce nazionale della scienza, emblema di un nuovo potere tecnocratico. Come molti scienziati della sua generazione sentiva che la sicurezza dalle bombe atomiche sarebbe arrivata solo da un’organizzazione transnazionale come le Nazioni Unite appena formate. Nella speranza che avrebbero potuto istituire un programma per soffocare la corsa agli armamenti nucleari. La cosa, a Truman e al Governo americano, non piacque per niente. In particolare all’FBI e a J. Edgar Hoover che indagò su Oppenheimer sin da quando iniziò a mostrare simpatie comuniste come professore ordinario a Berkeley. L’FBI sospettava che, proprio come la moglie Kitty e il fratello Frank, anche Oppenheimer fosse un membro del Partito Comunista.
Sospetti che si tradussero in un controllo a tappetto della vita di Oppenheimer che fu messa sotto stretta sorveglianza dall’inizio degli anni Quaranta. Da quel momento tutto, di Oppenheimer, fu controllato: casa e ufficio sorvegliati, telefono e corrispondenza intercettati. L’FBI finì con il servire Oppenheimer su un piatto d’argento ai suoi nemici politici. Tra questi Strauss, che nutriva verso Oppenheimer un profondo (doppio) risentimento sia per la sua attività nell’opporsi alla bomba all’idrogeno sia per un’umiliazione pubblica davanti al Congresso alcuni anni prima. Strauss aveva espresso preoccupazione circa l’esportazione di isotopi radioattivi in altre nazioni, cosa a cui Oppenheimer rispose sarcasticamente: «Beh, sono meno importanti dei dispositivi elettronici ma più importanti, diciamo, delle vitamine». Il 7 giugno 1949 Oppenheimer testimoniò davanti al Comitato per le attività anti-americane della Camera di aver avuto legame con il Partito Comunista Americano negli anni Trenta.
Rivelò inoltre come alcuni suoi ex-studenti di Berkeley (David Bohm, Giovanni Rossi Lomanitz, Philip Morrison, Bernard Peters, Joseph Weinberg) risultassero iscritti al Partito al tempo. Lo stesso fratello di Oppenheimer, Frank, testimoniò davanti all’HUAC di essere un Comunista assieme a sua moglie Jackie. Licenziato in tronco dal ruolo di Assistente Professore in Fisica all’Università del Minnesota, si trasferì in Colorado dove divenne allevatore di bestiame e poi insegnante di fisica in un liceo di San Francisco. Il culmine arrivò il 7 novembre 1953, quando William Liscum Borden, che fino all’inizio dell’anno era stato il direttore esecutivo del Comitato congiunto del Congresso degli Stati Uniti sull’energia atomica, inviò a Hoover una lettera dicendo che: «Più probabilmente si che no, J. Robert Oppenheimer è un agente dell’Unione Sovietica». Eisenhower non credette mai alle accuse contenute nella lettera, ma si sentì obbligato ad andare avanti con l’indagine.
Il 3 dicembre ordinò che fosse posto un muro bianco tra Oppenheimer e qualsiasi segreto governativo o militare. Il 21 dicembre successivo, Strauss comunicò a Oppenheimer che il suo nulla osta di sicurezza era stato sospeso, in attesa della definizione di una serie di accuse delineate in una lettera, e discusse le sue dimissioni chiedendo la risoluzione del suo contratto di consulenza con l’AEC – Commissione Energia Atomica. Oppenheimer scelse invece di non dimettersi e di chiedere un’udienza che fu avviata l’aprile 1954, in assoluto riserbo, dove il suo intero percorso professionale fu vivisezionato. Furono discussi non solo i passati legami comunisti di Oppenheimer, ma anche la sua associazione durante il Progetto Manhattan con sospetti scienziati sleali o comunisti e le prese di posizione in successivi progetti e gruppi di studio. Durante l’udienza furono ascoltati alcuni scienziati suoi collaboratori, tra questi Edward Teller (Benny Safdie).
In Oppenheimer Nolan dà grande risalto a questo momento filmico, cristallizzandolo come una delle scene-chiave da cui si evince la differente percezione che il mondo (e i suoi colleghi) ebbero di lui prima-e-dopo il Progetto Manhattan e il test di Trinity. Specie poi perché l’impostazione della scena voluta da Nolan è tale per cui vediamo Teller/Safdie in primo piano e un Oppenheimer/Murphy minuscolo, ridotto in uno stato catatonico in profondità di campo, come se l’intero peso del mondo poggiasse tutto sulle sue spalle. La testimonianza di Teller comunque, quanto di più vicino a un grande tradimento, costò la credibilità al fisico sperimentale: «In un gran numero di casi, ho visto il dottor Oppenheimer agire in un modo che per me era estremamente difficile da capire. Ero completamente in disaccordo con lui su numerose questioni e le sue azioni mi sembravano francamente confuse e complicate».
Sino, di fatto, a chiederne la rimozione dall’incarico: «Per questo sento che mi piacerebbe vedere gli interessi vitali di questo Paese in mani che comprendo meglio, e quindi di cui mi fido di più». Manco a dirlo Teller fu ostracizzato dalla comunità scientifica per la sua presa di posizione meschina. Per Oppenheimer arrivò l’inevitabile revoca dell’incarico a un giorno dalla scadenza naturale. Privato del suo potere politico, nei successivi quindici anni Oppenheimer continuò a girare il mondo, a tenere conferenze, scrivere saggi (Scienza e pensiero comune, The Open Mind, The Flying Trapeze), e a battersi per il libero e lucido pensiero e sul valore e le implicazioni etiche della bomba atomica. Questo fino alla prematura scomparsa, a 62 anni, per le complicazioni di un cancro alla gola nel 1966. Una storia incredibile che a un certo punto non poteva che essere resa immortale a mezzo filmico.
Non è un caso infatti se Paul Schrader è arrivato a esprimere parole al miele a proposito di Oppenheimer definendolo come: «Il film migliore e più importante di questo secolo. Non mi reputo una groupie di Nolan, ma Oppenheimer fa saltare le porte dai cardini». In funzione del suo genere di riferimento, Oppenheimer è l’ultima frontiera del biopic. Genere caratterizzato da sempre da una grammatica filmica ben precisa, lineare e organicamente ben definita, qui ricalibrata in una a-linearità caotica di piccoli frammenti di tempo resi armonia dalla visione di Nolan. E poi, appunto, c’è Nolan, che scoprì Oppenheimer a quindici anni ascoltando Russians di Sting («How can I save my little boy from Oppenheimer’s deadly toy?») e che tra Inception, Interstellar, Dunkirk e TENET si è servito di principi fisici come la Relatività generale di Einstein e la Teoria assorbitore-emettitore di Wheeler-Feynman per i propri scopi narrativi.
Un film su Oppenheimer non poteva che essere l’unico step possibile dopo venticinque anni di carriera e dodici lungometraggi di quest’intensità. Ed è, incredibilmente, il suo film più compiuto e solido. Nolan non ha bisogno né di trovate narrative elaborate né di twist spiazzanti, né tantomeno di agenti scenici curiosi e incisivi: solo la storia che scorre, la vita di un uomo complesso dilaniato dai dubbi etici e alcune delle interpretazioni più incisive dell’ultimo decennio. In tal senso, se Murphy buca lo schermo alla prima volta da protagonista con Nolan avvicinandosi a grandi falcate alla sua prima nomination agli Oscar, Downey Jr., ricorda ancora una volta come una carriera di alti e bassi fatta di Charlot, America Oggi, Tropic Thunder e di un franchise come il Marvel Cinematic Universe non arriva per caso. Il film dell’anno Oppenheimer, e molto probabilmente il più importante realizzato a Hollywood nell’ultimo decennio.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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