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Rossosperanza | La famiglia, gli anni Novanta e la gioventù secondo Annarita Zambrano

Famiglia, potere politico, musica, borghesia e la coscienza di Zena. Ecco perché dovreste vederlo

Rossosperanza
La coscienza di Zena: Margherita Morellini in Rossosperanza

ROMA – Il vissuto personale che si fa spazio sul grande schermo, la rottura con un periodo storico che si ripresenta oggi, visto però sotto forma di commedia nera neorealistica. E poi il sonoro che premia l’immagine e che riesce nel suo intento più ambizioso: spiazzare. Rossosperanza, scritto e diretto da Annarita Zambrano – in concorso a Locarno e ora al cinema – ci regala l’ennesimo indizio che nonostante una pregnante retorica, talvolta radicata, il cinema italiano è in evoluzione e può trovare spazi imprevedibili. Il potere politico sotto il prisma familiare e poi la gioventù disorientata che coltiva il sano seme della rivolta, con dei tratti noir, horror e surrealistici (non mancano i riferimenti che vanno da Truffaut a Sorrentino), che la Zambrano ha sempre sperimentato nella propria (seppur giovane) carriera da regista.

Rossosperanza
Un dettaglio dell’estetica della gioventù vista da Rossosperanza.

Al secondo lungometraggio (il primo Dopo la guerra del 2017 era stato a Certain Regard di Cannes) la regista romana trae ispirazione della propria vicenda, e da quella volontà di analizzare una rottura familiare che non è altro che una rottura sociale a più ampio respiro. L’epoca? Sono gli anni 90: «Perché? Ma perché oggi, più che mai», spiega la regista a Hot Corn, «c’è un ritorno a quei giorni, a quelle mode, a quello stile». E allora ecco le meschinità stagnanti di alcuni palazzi della capitale, di alcune borghesie e di taluni poteri ecclesiastici e istituzionali, qui a più riprese interpretati dalla freddezza di un bravissimo Andrea Sartoretti. Protagonisti però sono quattro ragazzi mandati dai propri genitori in un’elegante casa di cura romana, Villa Bianca, e in particolar modo protagonista è Zena (Margherita Morellini), giovane silenziosa che vive al confine tra realtà e immaginazione.

Rossosperanza
La borghesia secondo Rossosperanza.

Con i suoi dischi, Zena è capace di farci vivere il passato degli altri ragazzi: tra tutti quello di Marzia (Ludovica Rubino), sua compagna di stanza, di Alfonso (Leonardo Giuliano) e di suo fratello Tommaso (Elia Nuzzolo). Una storia di ribellione più greve, anche manuale, in cui il meccanismo di difesa parte dall’immaginazione fino ad erigersi ad una mancanza di filtri, una ferocia, in cui lo scenario sembra essere quello tipico capitolino ma che in realtà è altro: «Un luogo non
luogo, che mi serviva a dare una scenografia, ma che potrebbe rappresentare qualsiasi altra borghesia dell’Italia. L’intento era raccontare la ribellione dei figli di classi dirigenti, quelle élite avvolte da privilegio e perbenismo radicato». Insomma, una ricerca della distruzione di quello status o macrocosmo che i genitori di fine anni Ottanta e a cavallo dei Novanta hanno creato. Pericolosamente.

I ragazzi di Villa Bianca.

E così arrivano, echeggiando in un crescendo di tonalità e sonorità, le note danzate
da Alfonso di Boys di Sabrina Salerno, inno di libertà e contrasto ad un finto perbenismo, perché ‘’non è un caso che tutta la musica degli anni 90, la moda, riviene. C’è un eco, lo vedi nello stile, ma in tutto. In cui gli attori hanno un disagio che è spesso simile al nostro’’ Un film che vuole essere dichiaratamente rock, ma che raggiunge livelli più alti. Un’opera spartiacque che spiazza e cattura dalle prime inquadrature e in cui ci si diverte pure e non poco. Ma, soprattutto, la conferma di una sensibilità registica e di un’attenzione al dettaglio della Zambrano, un’autrice in grado di utilizzare una qualche forma di psicoanalisi per arrivare ad un messaggio universale. Consigliato.

  • VIDEO | La nostra intervista a Annarita Zambrano
  • VIDEO | Qui il trailer di Rossosperanza:

 

 

 

 

 

 

 

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