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Il buono il brutto il cattivo | Sergio Leone e quel finale che fece innamorare Quentin Tarantino

Eastwood, Wallach, Van Cleef. E poi l’amore di Tarantino e il rifiuto di Charles Bronson. Analisi di un cult

Clint, Eli & Lee: i tre protagonisti di un capolavoro assoluto.

ROMA – «Eppure, per quanto mi sforzi, non credo davvero riuscirò mai a girare qualcosa di così perfetto come l’ultima sequenza de Il buono, il brutto, il cattivo. Proverò a raggiungere quel livello, anche se non credo che ce la farò mai…». A dirlo? Quentin Tarantino che, in quanto a bellezza filmica, l’ha sempre saputa lunga. Perché c’è davvero qualcosa di perfetto – e perché no, anche magico – in quell’ultima sequenza dell’opera di Sergio Leone. Il Triello come avveniristico climax di una narrazione dal respiro maestoso che è anche sublimazione di tradizione e innovazione, ambizione e autocitazione del cinema leoniano. È molto più di un aggiornamento del climax di quel Per qualche dollaro in più (di cui potete vi abbiamo raccontato in West Corn qui) in cui Leone accettò la propria identità di regista western radicandone la poetica Spaghetti di colori e sapori filmici.

Il Triello che fece la storia del cinema

Il Triello de Il buono il brutto, il cattivo è da intendersi quindi come l’apogeo, il punto finale di un processo di ricodifica e riscrittura della grammatica filmica del genere da lui redatto lungo 175 minuti, divenendone, al contempo, mitologia cristallizzata in pellicola per le memorie del tempo. Laddove infatti ne Per qualche dollaro in più il Triello ruota intorno a una già spiccata – per non dire scolastica – dicotomia bene/male e alla valenza psicologico-caratteriale dell’oggetto scenico carillon e della rivelazione in essa contenuta tra le – solo apparentemente – dolci note della sua oscura cantilena, nel maestoso Triello de Il buono il brutto il cattivo vige invece l’incertezza di tre uomini ambigui e complessi, caratterialmente sfumati, tanto nella ragione quanto nel torto, i cui archi narrativi sguinzagliati vivono, fino a quel punto, di intenzioni relazionali dall’inerzia in continuo mutamento.

Clint Eastwood è Il buono in una scena de Il buono il brutto il cattivo
Clint Eastwood è Il buono

Un capolavoro di suspense filmica il Triello, fatto vivere di tensione pulsante e giochi di sguardi, dettagli e particolari di stivali e mani, rivoltelle e cinturoni, di primi e primissimi piani di volti e occhi, in un montaggio serrato di puro dinamismo che finisce con il ribaltare una altrimenti inevitabile fissità scenica dandovi spinta e carattere. Il risultato? Il buono riesce a sparare. Il brutto ci prova soltanto. Il cattivo finisce a terra: il cinema vince. Prima di tutto questo però ci sono le suggestioni de Il buono il brutto il cattivo, di una narrazione cadenzata nel ritmo ma immediata negli intenti che nell’incunearsi tra le maglie storiche della Guerra di Secessione vede Leone far suoi topos cardine del Western classico americano per demitizzarne le fondamenta ora ridicolizzando le ragioni di Nordisti e Sudisti puntando il dito contro gli orrori delle guerre, ora giocando con la Legge del West.

Eli Wallach è Il brutto in una scena de Il buono il brutto il cattivo
Eli Wallach è Il brutto

Eppure non fu per niente facile. Certo, a posteriori, è quasi impossibile immaginare una storia del cinema, del Western, dello Spaghetti-Western, dello stesso opus filmico di Leone e della carriera dei singoli Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef senza l’imprescindibile apporto de Il buono il brutto il cattivo, fosse stato per lui però, per Leone, la Trilogia del Dollaro sarebbe stato un dittico: Per un pugno di dollari (di cui potete invece leggere qui), Per qualche dollaro in più, e tanto sarebbe bastato. Il motivo? Non aveva alcuna intenzione di realizzare l’ennesimo Western. A pensarla diversamente erano i dirigenti della United Artists che nel contattare lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni per acquistare i diritti delle precedenti pellicole e del prossimo Western in produzione, fecero loro – a lui, Leone e al produttore Alberto Grimaldi – un’offerta irrinunciabile: un milione di dollari di budget più il 50% degli incassi.

Lee Van Cleef è Il cattivo in una scena de Il buono il brutto il cattivo
Lee Van Cleef è Il cattivo

Leone accettò al volo. Se le previsioni di guadagno si fossero rivelate tali avrebbe potuto vivere di rendita per il resto della sua vita. Gli andò bene. Dopo essere stato presentato in anteprima, a Roma, il 23 dicembre 1966, Il buono il brutto il cattivo incassò oltre 25 milioni di dollari world-wide. Solo che a quel punto, volendola dire tutta, disse si senza avere un’idea produttivamente spendibile. In suo soccorso venne proprio Vincenzoni che propose alla United Artists: «Un film su tre mascalzoni che corrono dietro a un tesoro attraversando la Guerra Civile». Il titolo? I due magnifici straccioni. Esistono tuttavia varie versioni di come andarono realmente le cose quel giorno. A detta dello stesso Vincenzoni: «Onestamente fu un miracolo, solo facendo un po’ di scena con il tacito assenso di Leone e Grimaldi dissi solo una storia sulla Guerra Civile con tre attori».

I titoli di testa de Il buono il brutto il cattivo
I titoli di testa de Il buono il brutto il cattivo

Di opinione leggermente diversa il co-sceneggiatore Sergio Donati, secondo cui in realtà: «Grimaldi era pronto a vendere i diritti di Per qualche dollaro in più in America. In quello stesso periodo Vincenzoni collaborava con Ilya Lopert ed era ottimo amico di Arnold e David Picker della United Artists. Convinse Lopert a portare gli executives della UA a una grande proiezione del film e riuscì a vendere il film guadagnandoci il 10% dei profitti e una percentuale de Il buono il brutto il cattivo». D’idea totalmente opposta invece Leone che finì con il rivendicarne interamente la paternità: «Mentre riflettevo sulla storia di Per qualche dollaro in più, e su ciò che la faceva funzionare, sulle diverse motivazioni di Van Cleef e di Eastwood, trovai il nucleo del terzo film. Da sempre pensavo che il buono, il cattivo e il violento non esistessero in senso assoluto e totalizzante».

Il cameo di Aldo Giuffré

«Mi sembrava interessante demistificare questi aggettivi nell’ambientazione di un western. Un assassino può fare mostra di un sublime altruismo, mentre un buono è capace di uccidere con assoluta indifferenza. Una persona in apparenza bruttissima, quando la conosciamo meglio, può rivelarsi più valida di quanto sembra e capace di tenerezza. In sostanza era questa la morale che mi interessava mettere nel film» proseguì Leone, così da alzare la cifra stilistica della scrittura caratteriale del racconto. Alla stesura dello script de Il buono il brutto il cattivo collaborarono anche Age & Scarpelli il cui contributo fu definito dallo stesso Leone come disastroso: «Erano battute, nient’altro. Non potei usare nemmeno una delle cose scritte da loro. Mi toccò riprendere in mano il copione con Donati». In undici giorni buttarono giù lo script. A lavoro finito però, qualcosa si ruppe: il rapporto tra Leone e Vincenzoni si incrinò.

L’epica leoniana de L’uomo senza nome giunta a compimento

Il risultato? Il capo-sceneggiatore della Trilogia del dollaro lasciò del tutto la lavorazione de Il buono il brutto il cattivo preferendogli altri progetti, nello specifico altri due preziosi Spaghetti-Western di quella decade: Da uomo a uomo di Giulio Petroni e Il mercenario di Sergio Corbucci. Alla base dello script di Leone e Donati però c’era molto della vita vissuta dal regista romano: «Nel mio mondo, sono gli anarchici i personaggi più veri. Io sono fatto di tutti e tre. Sentenza non ha anima, è un professionista, un robot. Considerando il lato metodico e cauto del mio carattere sono simile al Biondo ma la mia profonda simpatia andrà sempre dalla parte di Tuco. Sa essere toccante con tutta quella tenerezza e umanità ferita. Ma Tuco è anche una creatura tutto istinto, un bastardo, un vagabondo».

Eli Wallach attore chapliniano

Ad emergere infatti è proprio il Tuco di Wallach e del suo talento comico ammirato da Leone nel cameo giocoso de La conquista del West (di cui potete leggere qui) su cui disse: «Era un attore comico di estrazione chapliniana. Un ebreo napoletano. Ci siamo divertiti molto assieme», anche per via di una caratterizzazione meglio delineata. Di questo se ne accorse lo stesso Eastwood nel leggere il copione. Ci vollero due giorni di trattative serrate e un’offerta da 250.000 dollari più il 10% dei profitti per convincerlo ad accettare la parte del Biondo. Alla fine la spuntò Leone ma il risultato non fu dei migliori: recitò comunque svogliatamente e la critica dell’epoca se ne accorse. Non ultimo Sentenza. Leone scrisse la parte per Charles Bronson che dovette rifiutare a causa della lavorazione contemporanea de Quella sporca dozzina (di cui abbiamo scritto qui) per poi virare nuovamente sul già rodato Van Cleef.

Eli Wallach e Clint Eastwood in una scena de Il buono il brutto il cattivo
Eli Wallach e Clint Eastwood

È questo, in fondo, il lascito de Il buono il brutto il cattivo. Un’opera unica, irripetibile a conti fatti, citata ovunque, da Brazil di Terry Gilliam sino ad Hard Boiled di John Woo e Le iene proprio di Tarantino (di cui potete leggere qui), capace di ammaliare intere generazioni di cinefili e cineasti grazie alle sua aura di puro mito filmico. Il capolavoro della prima parte di carriera di Sergio Leone, il primo passo verso l’immortalità artistica e, in minor misura – ma non meno importante – il film del cuore, il western del cuore, di milioni di spettatori.

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  • WESTCORN | Cosa significa rivedere oggi C’era una volta il West?
  • FRESHLY POPPED | Sergio Leone, l’italiano che inventò l’America

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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