ROMA – “Remember this feeling”. È la frase che accompagna il poster di Euphoria 2, la seconda stagione della serie HBO creata da Sam Levinson – dal 10 gennaio su Sky in contemporanea con l’America e dal 17 gennaio in versione doppiata – che arriva a distanza di tre anni dalla precedente e dopo i due episodi “ponte” usciti a cavallo tra lo scorso dicembre e gennaio. Abbiamo potuto vedere in anteprima i primi sette degli otto episodi che compongono questo nuovo capitolo e di sensazioni da ricordare che ci sono rimaste addosso ne abbiamo parecchie. Perché, se possibile, Euphoria 2 è ancor più intensa della prima stagione. Una vertigine fatta di sesso, droghe, lacrime, fughe, urla, tenerezze, amore, bugie e tradimenti.

Il tutto messo in scena da Levinson con una tale forza visiva alla quale è impossibile opporre resistenza. Basta la sequenza iniziale dedicata all’infanzia di Fezco (Angus Cloud) – sulle note di Don’t Be Cruel di Billy Swan, una delle decine di pezzi stupendi che compongono la colonna sonora, tra Orville Peck e i brani di Labrinth – per restare incollati davanti lo schermo, affascinati e a disagio allo stesso tempo da una narrazione in grado di unire scrittura e immagini, racconto ed estetica. Euphoria 2 è un flusso al quale abbandonarsi trattenendo il fiato senza cercare di riemergere. La regia di Levinson in questo è fondamentale.

L’uso massiccio di dolly che donano alla serie un’atmosfera rarefatta e sognante, la rottura della quarta parete, l’immaginario da video clip, la sospensione della “realtà” con intermezzi metanarrativi e teatrali sono tutti elementi che amplificano la potenza di Euphoria e la sua originalità nel mettere in scena le vite di un gruppo di adolescenti alle prese con traumi, perdite e dipendenze. Al centro sempre lei, la diciassettenne Rue interpretata da Zendaya – che con Levinson ha lavorato anche in Malcolm & Marie -, e il suo dolore per la perdita del padre che l’ha portata a trovare un rifugio nelle droghe capaci di anestetizzare quel tormento.

Ma Euphoria 2 dà spazio anche alle linee narrative degli altri personaggi permettendo di realizzare un affresco delle complesse dinamiche che muovono l’adolescenza, tra la ricerca di un proprio posto nel mondo e la presa di coscienza della propria sessualità, tra il tentativo di svincolarsi dalle etichette e il peso del giudizio altrui. Esplicito, dalla nudità al linguaggio, intenso, crudo, il mondo raccontato da Sam Levinson in Euphoria potrebbe sembrare irreale ma non fa altro che mettere in scena una fetta di realtà che non cerca di alleggerire, annacquare o edulcorare la verità.

Apostrofata come trasgressiva, Euphoria ci porta al centro di un buco nero fatto di depressione e solitudine, di mancanze e smarrimento. Lo fa con onestà e amore per quei personaggi dei quali ci mostra le crepe dietro le maschere. Lo sa bene il personaggio di Lexi (Maude Apataw) che in questa stagione si prende finalmente lo spazio che merita. Da sempre osservatrice relegata nell’ombra, qui Lexi si mette letteralmente al centro della scena e (ci) mostra tutto quello che i suoi occhi hanno catturato negli anni, tra disastri familiari, insicurezze e sberleffo, in un settimo episodio – a nostro avviso il migliore di Euphoria 2 – che è una piccola gemma per messa in scena e scrittura. In attesa di un finale che, ne siamo certi, ci lascerà con le ossa rotte.
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Qui potete vedere il trailer di Euphoria 2:
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